Generare Dio Massimo Cacciari
Il Vangelo secondo Matteo (Pasolini, 1964).

«Exéste: è fuori di sè» (Marco 3, 21): così i discepoli di Gesù, mentre la folla si accalca attorno a Lui, attratta dai suoi miracoli, ancor prima che dalle sue parole. Egli non è mai qui, fa sempre esodo da ogni domestica consuetudine. Questo essere fuori di  è il problema dell’ultimo lavoro di Massimo Cacciari, Generare Dio. L’esteriorità del divino, ossia la relazione che il Dio infante stabilisce con Maria, con il corpo che lo accoglie e lo conduce a farsi corpo: questo il simbolo sul quale si interroga Cacciari, a integrare e a ripensare il problema teologico e al contempo gnoseologico della sua opera centrale, Dell’Inizio (1990), e in particolare la terza parte, L’Età del Figlio, nella quale il nodo del rapporto tra il “tradimento” del Figlio e il sacrificio della Madre occupava soltanto una nota.

Nelle prime battute di Generare Dio Cacciari ricorda come l’idealismo tedesco di Hegel e Schelling non abbia mai seriamente interrogato questo nodo. Indirettamente ci permette di comprendere come mai Dell’Inizio, costruito attorno a quella tradizione, lasciasse ai margini un simbolo che invece dà così da pensare a tanta pittura occidentale, da Beato Angelico a Masaccio, da Piero della Francesca a Bellini, che difatti costituisce il cuore della ricerca di Cacciari. Teologicamente, la relazione tra Maria e il Figlio complica perciò il disegno di Dell’Inizio e di Della cosa ultima (2004), che avevano come obiettivo teorico quello di slegare l’idea di Inizio da quello di Demiurgo. Cacciari in quei testi insisteva sul simbolo della kenosi del Figlio, simbolo che rivelava la libertà del dono da parte del Padre ma, al contempo, l’impossibilità di qualsiasi certezza, a partire dalla Croce, riguardante la redenzione escatologica, resa possibile, ma non assicurata dall’incarnazione di Cristo.

Il simbolo della relazione tra Maria e il Figlio è stato esplorato dalla sofiologia russa, in particolare da Sergej Bulgakov e Florenskij, da Cacciari ricordato attraverso il suo capolavoro, La colonna e il fondamento della verità (1914). Se la kenosi libera del Dio-Padre interroga il problema del potere, la generazione del Figlio dal ventre della Madre illumina la domanda sullo splendore della verità, il suo farsi luce e carne, a partire da una nube luminosa, da un Inizio che non inghiotte in sé ogni alterità, ma proprio in quanto nube fa spazio, permette che le figure assumano un contorno: siano fuori di sé. Questa immagine è d’altro canto l’inciampo attorno al quale Cacciari può interrogare il rapporto tra pensiero e immaginazione, che è a sua volta il motivo conduttore della nuova collana del Mulino, Icone –Pensare per immagini, da lui stesso diretta e di cui Generare Dio è il testo inaugurale.

In gioco è la realtà dell’immagine, rispetto a cui può essere distinta una tradizione gnostica, che caratterizza anche i vangeli apocrifi o la tradizione mistica di Böhme e Meister Eckhart, e una iconica, su cui Cacciari riflette dai tempi di Icone della Legge (1985). L’immagine non è il mero velo che nasconde o addirittura fraintende la verità del Logos. Non è il rilucere di una Luce già-sempre illuminante, rispetto alla quale non sarebbe altro che astrazione e invenzione mito-poietica, segno imperfetto dell’Uno. Al contrario, l’immagine-icona è realtà che avviene e che proprio nell’apparire, nel prendere corpo, nell’essere guardata, ascoltata, meditata, ha l’essenziale. Per questo, la natività è il simbolo attorno a cui si decide lo scontro tra iconoclasti e iconofili, attorno a cui si decide se l’immagine sia soltanto manifestazione imperfetta di un pensiero chiaro e distinto, da raggiungere muovendo oltre di essa, o se piuttosto l’immagine sia ciò che dà da pensare, sia ciò che attesti il trauma dell’imprevisto, di qualcosa che quaggiù, sulla terra, rompe ogni ordine costituito: sia ciò senza il quale nessun Logos potrebbe prendere carne.

Come già ricordato, Cacciari interroga il simbolo della natività perlopiù attraverso le immagini della pittura e della poesia (Dante, Auden, Hölderlin), lasciando inesplorato il campo di quelle riproducibili meccanicamente, ossia il luogo nel quale si decide oggi lo scontro tra iconoclasti e iconofili. La stagione del cinema moderno, inaugurato dal neorealismo, ha in più momenti avvicinato il mistero della natività, il mistero attraverso il quale la carne si fa grembo di un infante, in cui si rompe il meccanismo economico che riconduce tutto a uno scambio retribuito, assicurato, governato dalla legge, per un dono gratuito, libero, nel quale in quell’infante, ancora senza parola, trova compimento la kenosi del Padre. Si potrebbe ricostruire una genealogia di opere che hanno interrogato il mistero della natività, per risalire così al problema ontologico del cinema moderno, quello di un’immagine che non sia soltanto la fabbrica di illusioni del cinema hollywoodiano o totalitario, ma che sia attestazione, testimonianza di qualcosa che è realmente accaduto.

Come sempre, è stato Rossellini a riorientare il nostro sguardo, con il mediometraggio Il Miracolo, uno dei due episodi di L’Amore (1948), con Anna Magnani, in cui l’invasamento si rende indistinguibile dalla grazia del concepimento, ed è Pasolini a riattraversare quel mistero, portando ai piedi della croce del suo Vangelo secondo Matteo (1964) la madre Susanna, a ricordare che in quella passione e crocifissione sta proiettando il proprio martirio, la lotta per aver accesso alla parola. A partire da questa costellazione, Godard ha ricercato la verginità dell’immagine, e vi ha dedicato uno dei suoi film più “ortodossi”, Je vous salue, Marie (1984); verginità dell’immagine, che sempre più rivela come contraccolpo al furto della nostra identità di umani, come attestano i film dei Dardenne, in particolare L’enfant (2005) e Il Matrimonio di Lorna (2008). Tale verginità è l’altra faccia della novità dell’immagine, della sua natività, come ha saputo mostrarci il vertiginoso movimento, da specchio in specchio, con cui Tarkovskij ne Lo Specchio (1974) è risalito dalla proprie vicende famigliari, attraverso quelle della Madre Russia, fino all’istante del concepimento, in cui lo sguardo della madre Maria che con il marito prova a immaginare il sesso del nascituro sembra già colmarsi della tristezza per il calvario del figlio e del presagio del suo abbandono. Come appunto ricorda Cacciari, ripensando alle Marie dipinte da Masaccio o da Piero della Francesca, in quell’istante il corpo del logos, la Madre, si mostra come potenza umile: ferma non oltre, ma nel patire.

Riferimenti bibliografici
E. Bianchi, Maria, terra del cielo, Introduzione a Maria, a cura della Comunità di Bose, Mondadori, Milano 2000.
M. Cacciari, Dell’Inizio, Adelphi, Milano 1990.
Id., Generare Dio, Il Mulino, Bologna 2017.
P.A. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, a cura di E. Zolla, Rusconi, Milano 1974.
A. Tarkovskij, Scolpire il tempo. Riflessioni sul cinema, Ist. Internazionale Tarkovskij, Firenze 2015.

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