La recente pubblicazione della traduzione italiana di un testo di Alain Badiou ed Élisabeth Roudinesco è un’occasione per riflettere laicamente sull’attualità di Jacques Lacan. La storia e le potenzialità del suo pensiero sono esaminate in un appassionante confronto tra due protagonisti di primo piano del pensiero francese contemporaneo. Lacan, a loro parere, «oltre ad aver ridato slancio al pensiero freudiano, è stato […] capace di attualizzare una politica del soggetto, del desiderio e dell’inconscio» (Badiou, Roudinesco 2019, pp. 24-25).
La “storia degli effetti” del pensiero di Lacan si potrebbe articolare in tre fasi rispettivamente caratterizzate da successo, disseminazione e rinascita. La prima inizia nel 1964 con la fondazione della Scuola Freudiana di Parigi (EFP) e prosegue negli anni sessanta e settanta del secolo scorso quando Lacan raccolse attorno al suo insegnamento seminariale gran parte dell’intellettualità francese del tempo (Napoli 2019, p. 7). Uno dei suoi apici si può collocare nel 1966, definito dalla Roudinesco come «anno mirabile dello strutturalismo», quando escono gli Scritti di Lacan e Le parole e le cose di Michel Foucault (ivi, p. 39). Il pensiero di Lacan produsse un vastissimo dibattito che caratterizzò la crescita della conoscenza filosofica di quel periodo.
La seconda inizia nel 1980, quando Lacan scioglie la sua scuola, per concludersi con l’inizio del nuovo millennio. Quella dissoluzione non è solo l’estrema manifestazione della refrattarietà del pensiero di Lacan a ogni forma di istituzionalizzazione e dogmatizzazione. La divisione dei suoi allievi in un enorme numero di piccoli gruppi, spesso in conflitto tra loro, dimostra anche la vastità del suo patrimonio intellettuale del quale nessuno, come ha osservato Michel de Certeau (2002, p. 240), può considerarsi erede esclusivo. Lo dimostra la terza fase contrassegnata, negli ultimi vent’anni, dalla fioritura di numerose ed eterogenee correnti culturali ispirate dal suo insegnamento che abbiamo definito “rinascita lacaniana”.
Questo non significa che il suo pensiero sia indifferente alle impostazioni filosofiche e, per questo, entrambi gli autori ne sottolineano il carattere strutturalista. Condividiamo questa importante precisazione anche perché contrasta con alcune recenti e popolari interpretazioni neoesistenzialiste italiane di Lacan. Badiou, in particolare, evidenzia come sia stata proprio la lettura dello psicoanalista francese, insieme a quella di Louis Althusser, a indurlo ad abbandonare la sua giovanile adesione al marxismo sartriano.
Il filosofo francese ribadisce che lo strutturalismo trova il “suo compimento” nell’“antiumanismo” althusseriano e nella “morte dell’Uomo” foucaultiana (Badiou, Roudinesco 2019, pp. 30, 36). Il pensiero di Lacan non può essere, tuttavia, appiattito sullo strutturalismo come dimostra la centralità nella sua riflessione della “problematica filosofica del soggetto”. Lo psicoanalista francese si distingue da altri strutturalisti per la sua peculiare interpretazione che indebolisce la categoria filosofica moderna di soggettività senza giungere alla sua abolizione.
La riflessione sul soggetto motiva anche il grande interesse di Lacan per la paranoia come manifestazione di «una follia logica che simulava la normalità e non aveva alcuna causa […] organica […] ma derivava dalla psicogenesi». Roudinesco ritiene che anche il privilegio attribuito da Lacan alla psicosi paranoica evidenzi «la portata filosofica della sua impresa» (ivi, pp. 40-41). Queste coordinate devono essere tenute presenti per valutare il particolarissimo rapporto tra la psicoanalisi lacaniana e la filosofia. Lacan, secondo la Roudinesco, si sarebbe «trovato al centro di un incontro inatteso e spesso conflittuale tra le due discipline. Da una parte, ha cercato di far capire ai filosofi che la psicoanalisi era portatrice di una rivoluzione filosofica. Dall’altra, ha indotto gli psicoanalisti a rivolgersi alla filosofia». La studiosa francese sottolinea come, per tutti, sia stato possibile riscoprire il valore teorico della «psicoanalisi in un’epoca in cui quest’ultima sembrava schiacciata tra la psicologia e la medicina» (ivi, pp. 37-38).
Da qui deriva una relazione di estimità (per usare il lessico lacaniano) tra filosofia e psicoanalisi che esprimono una sorta di reciproca “esterna intimità”; l’una abita le più significative conquiste dell’altra senza che le due discipline possano essere gerarchizzate praticamente o gnoseologicamente. Potremmo dire, con altre parole, che non si può stabilire, nel sistema di pensiero lacaniano, un primato assoluto della clinica sulla teoria o viceversa. Questa complessa relazione tra le due discipline viene purtroppo trascurata, almeno in Italia, dalla formazione degli analisti lacaniani che, per rispettare le norme di legge, trascura lo studio della filosofia. Questa situazione non rappresenta (forse) un problema per gli analisti d’altre scuole ma costituisce un formidabile ostacolo per quelli lacaniani che si trovano impreparati ad affrontare il florilegio di riferimenti filosofici contenuti nei testi del fondatore del loro movimento.
La studiosa francese non teme d’affrontare gli aspetti più controversi del lacanismo come quello riguardante la durata variabile delle sedute che caratterizzano il suo setting. Roudinesco sottolinea come, nell’ultima fase della sua pratica clinica, Lacan abbia «favorito una concezione dogmatica della cura, con sedute estremamente brevi, che portava nel paziente solo frustrazione e spesso confinava con la truffa. A forza di criticare il ricorso alle emozioni, i lacaniani integralisti […] rischiano di perdere di vista la sofferenza dei pazienti» (ivi, p. 46).
Molto interessante e controversa è anche l’eredità politica del pensiero di Lacan. Lo psicoanalista francese era una sorta di conservatore illuminato che si lasciava raramente coinvolgere dalle vicende politiche sebbene ne fosse costantemente informato. Molti dei suoi allievi, al contrario, si collocarono, negli anni settanta del secolo scorso, sulle posizioni della sinistra radicale al punto che Badiou paragona la sua figura a quella di Wilhelm Friedrich Hegel. Infatti, neppure il filosofo tedesco «avrebbe pensato troppo bene dell’idea di rivoluzione proletaria del suo discepolo Marx e, quando Lacan è morto, ho scritto che era il nostro Hegel» (ivi, p. 53).
Roudinesco sottolinea, al proposito, quanto le sue posizioni etiche fossero lontane da quelle reazionarie richiamando questioni di stretta attualità. La studiosa francese, più in particolare, critica severamente quelli psicoanalisti che «lo hanno tirato in ballo per opporsi al matrimonio gay o all’omogenitorialità sostenendo che queste misure comprometterebbero la funzione simbolica del padre». Simili interpretazioni travisano il pensiero di Lacan trascurando che la «funzione simbolica del padre può essere assunta da un uomo come da una donna, quindi, in una coppia omosessuale, dall’uno o dall’altro partner».
Non bisogna dimenticare, inoltre, che «Lacan è stato uno dei primi a prendere in analisi gli omosessuali senza volerne cambiare l’orientamento sessuale e addirittura autorizzandoli a diventare psicoanalisti» (ivi, p. 53). Il dialogo tra Badiou e Roudinesco, in conclusione, è capace d’evidenziare in modo limpido e coinvolgente la vitalità del pensiero di Lacan come riferimento teorico di quanti non si arrendono al pensiero unico, scientista e oscurantista (ivi, p. 48), del nostro tempo.
Riferimenti bibliografici
A. Badiou, É. Roudinesco, Jacques Lacan, passato presente. Un dialogo, Mimesis, Milano 2019.
M. de Certeau, Lacan, in Storia e psicanalisi. Tra scienza e finzione, Bollati Boringhieri, Torino 2012.
M. Foucault, Le parole e le cose, BUR, Milano 2016.
J. Lacan, Scritti, Einaudi, Torino 2012.
D. Napoli, “Presentazione”, in Badiou, Roudinesco, Mimesis, Milano 2019.