L’obiettivo del volume Il paesaggio degli autori. Cinema e immaginario meridiano, a cura di Roberto De Gaetano, Daniele Dottorini e Nausica Tucci, è provare a delineare le caratteristiche paesaggistiche del Mezzogiorno, non come esclusivo esito iconografico, ma come portato di interrogazioni sul sociale e sull’antropologico.
Il libro fa percepire da un lato come la questione della riflessione sui paesaggi del Sud sia coessenziale ai territori meridionali così come sono indagati al cinema; dall’altro il testo segnala come, in una potenziale ricostruzione dell’albero filogenetico della rappresentazione del paesaggio meridiano nel cinema, il Secondo dopoguerra e i modi di rappresentazione del cinema di non-fiction di allora siano una sorta di radice del diagramma tassonomico.
Il testo è diviso in tre sezioni. Nella prima si collocano due saggi di inquadramento teorico della questione della definizione della nozione di paesaggio in un paradigma visuale e della rappresentazione di uno spazio meridionale. Felice Cimatti sottolinea del paesaggio l’essere contemporaneamente sempre perfetto e conchiuso e, ossimoricamente, anche l’essere sempre inafferrabile. La sua non riconducibilità al nostro controllo, richiamerebbe l’umana impermanenza. Cimatti ci ricorda in sostanza, paradossalmente e provocatoriamente in esordio al volume, l’inanità dell’impresa di una ricostruzione di “un paesaggio” da parte delle operazioni ermeneutiche, ma allo stesso tempo sottintende come ciascun periodo storico, e interpretazione di un territorio specifico, tenda a porsi come “integrale” e “compiuta”. A ricostruire questi tentativi sono i saggi della seconda e terza parte del libro dedicati ad autori e lavori specifici. Il saggio di Roberto De Gaetano propone un possibile quadro complessivo per il paesaggio visivo del Sud. Per De Gaetano, nel cinema meridiano, il paesaggio ha una dimensione performativa: non è ciò che si vede, ma ciò che si fa. Esso si istituirebbe attraverso azioni, rituali, pratiche dell’umano, rispetto ad un paesaggio ottico e prospettico del Centro Italia e un paesaggio tradotto cromaticamente nel Nord.
Queste prospettive teoriche generali trovano poi declinazione in specifici studi su singoli registi. La seconda parte del libro, la più ampia, si occupa di alcuni autori che hanno affrontato il Sud con uno sguardo meridiano nella non-fiction, ritenendoli centrali per l’immaginario meridiano. Fra essi figurano nomi noti, come figure più periferiche, sottoposte a una riscoperta.
Nel primo saggio della sezione, di Antioco Floris, dedicato a quello che è considerato il principale documentarista che si è occupato di Sud Italia, Vittorio De Seta, si mettono in chiaro le radici antropologiche, ma anche il lavoro formale del regista. Emerge una costante: l’immagine del Sud come luogo cristallizzato del mito, cui nei lavori più recenti si contrappone un presente storico fatto di un progresso che il regista rigetta, ritenendolo in realtà regressivo.
La presenza di condizioni oniroidi nelle immagini del Sud di Luigi Di Gianni, in cui il festivo, il rituale, il mitico, negli spazi della possessione e dell’estasi, diventano spesso tratti di natura ostile, vengono analizzate da Massimiliano Gaudiosi. È un Sud definibile in base a una irriducibile “alterità” rispetto alla realtà nazionale.
Il saggio di Alessia Cervini e Giacomo Tagliani dedicato a Cecilia Mangini fa percepire come, partendo da opzioni di chiara impostazione antropologica, la regista viri verso il poetico, l’estetizzante, il mitico, divenendo parte integrante dei riti che riprende sulla soglia della loro scomparsa, affinché si eternino. La regista con la stilizzazione sottolinea le forme di resistenza al moderno del paesaggio del Sud, facendo emergere nettamente la propria personalità artistica, e non limitandosi, dunque, a una mera registrazione del dato.
La suggestione del lavoro degli antropologi che si occupano del Sud in quegli anni è una variabile molto presente nei saggi che compongono il volume. Nello studio di Mariangela Palmieri su Gianfranco Mingozzi si evidenzia la matrice demartiniana dei lavori del regista. In aggiunta Palmieri sottolinea come Mingozzi del Sud voglia restituire un’immagine che ne denunci la povertà, l’abbandono, l’isolamento, l’aridità, che trovano correlativi oggettivi nelle espressioni paesaggistiche.
La copiosa produzione di documentari di Florestano Vancini è stata oggetto dell’analisi di Angela Maiello, che ha evidenziato quanto il regista non indulga alle pratiche convenzionali della “formula dieci”, accompagnando alla scarsa sperimentazione formale una acritica ideologia del boom. Piuttosto il regista si rivela, per l’autrice, attento al legame fra umanità e paesaggio, mostrando come alla apparente immobilità del secondo, risponda l’operosità di uomini e donne che provino a migliorare le proprie condizioni. In particolar modo nei documentari calabresi si verifica quanto la relazione essere umano-natura appaia essere più risolta, proprio per la minore prossimità al progresso della regione.
L’opera di Ugo Saitta è stata analizzata da Lucia Di Girolamo e Stefania Rimini che hanno evidenziato come l’autore catanese si dedicasse alla costruzione di una mappa dei luoghi siciliani, incrociando racconto e paesaggio in modo che l’uno e l’altro traessero senso reciprocamente. Le due autrici sottolineano l’importanza dell’Etna per Saitta, il quale sarebbe stato in grado di fare emergere dallo spazio geografico del vulcano la sua pregnanza geosimbolica.
Il testo di Simona Arillotta ripercorre il lavoro da cineasta dedito alla sua regione, la Calabria, di Elio Ruffo, in un saggio costruito con serrata progressione argomentativa, quasi narrativa. Arilotta individua alcuni elementi formali e tematici – lo sradicamento, lo spostamento collettivo, lo scontro/incontro terra-acque, i movimenti orizzontale/verticale – che imbevono la filmografia calabrese del regista, ma possono essere anche utilizzabili come elementi identitari della regione, che dunque Ruffo rappresenta nel suo nucleo di configurazione iconografica, inscindibile da alcuni temi sociali (emigrazione, alluvioni, irruzione del cemento armato come nuova icona sociale e architettonica).
Infine l’intervento di Nausica Tucci getta luce sul lavoro da regista di Mario Gallo, quasi del tutto misconosciuto. L’autrice suddivide per tipologie i diversi paesaggi presenti nei sette dei nove corti di Gallo reperiti, che si occupano anzitutto dei luoghi calabresi e dei modi di abitarli degli autoctoni.
Nella terza sezione, con saggi di Canadè, Busni, Dottorini, Zucconi, Coviello, Bandirali, che, per ragioni di spazio siamo costretti a sintetizzare, si cerca di mostrare come le poetiche del paesaggio del cinema meridiano osservate nella sezione precedente siano accostabili a quelle paesaggistiche di alcuni grandi autori del cinema di finzione (De Santis, Antonioni, Pasolini), o fungano da matrice per autori attivi in anni più prossimi alla contemporaneità (Crialese, Carpignano, Ammaniti).
Infine il volume propone una breve appendice con un saggio sul paesaggio in Zanzotto di Denis Brotto, apparentemente eccentrico, ma che in realtà presenta una possibile visione nazionale integrata del paesaggio. Essa sarebbe individuabile nella rottura avvenuta con l’antropizzazione onnipervasiva conseguente la Grande Trasformazione a seguito del boom economico ed edilizio. Si dimostra così quanto i paesaggi meridionali da un lato apportino questioni specifiche, dall’altro possano essere inseriti in una coerente condizione generale dell’intera penisola.
Il testo, pur nella ovvia ampiezza di metodi proposti dai singoli autori (estetologico, storico, filologico, iconologico) si dimostra estremamente compatto nella tesi di fondo: la presenza di una costante riflessione sul Sud al cinema, e la inscindibilità di essa da una speculazione metapaesaggistica, poco o punto presa in considerazione dagli studi di settore, anche in conseguenza della collocazione prevalente nel Centro-Nord delle sedi di ricerca accademica sul cinema. In questo senso il volume ha un valore di ordine euristico, storico, ma anche di politica interna agli studi di cinema, provando a rimodulare il baricentro degli oggetti indagati dalla storia e teoria del cinema nazionale. Il testo si pone come nuovo considerevole formante, assieme ad altre proposte di ricerca degli ultimi anni, di un sempre più corposo processo di analisi sul Sud e dal Sud, che potrà fungere da necessario strumento d’integrazione, rimodulazione e riequilibrio territoriale degli studi sulla storia del cinema nazionale. In ultimo, è da registrare come alcuni saggi nel volume possano servire anche ad integrare e meglio precisare la ricostruzione del canone del cinema meridiano, ampliandolo e collocandovi figure meno note, ma certamente meritevoli di un ruolo (Gallo, Ruffo, Saitta).
Roberto De Gaetano, Daniele Dottorini, Nausica Tucci, a cura di, Il paesaggio degli autori. Cinema e immaginario meridiano, Pellegrini, Cosenza 2023.