La Sapienza (Green, 2014).

“La sapience est plus active que tout action, car c’est un reflet de la lunière eternelle”: è questa una delle epigrafi che aprono La Sapienza, film di Eugène Green del 2014. L’altra è tratta da Rabelais («Sapienza non entra in anima malevola, e la scienza senza coscienza non è che rovina dell’anima»). È subito sorprendente questo accostamento del libro biblico della Sapienza con la frase d’uno scrittore considerato epitome del più crasso materialismo.

Da una parte Salomone, dall’altra l’autore preferito da un regista come Ferreri. Si affaccia il sospetto dell’inconfessabile: il segreto materialismo verso il quale parecchi autori e registi cattolici (anche se Green non ama definirsi tale) o comunque cristiani, trasportano loro malgrado l’istanza religiosa. O ne sono trascinati? È un effetto inevitabile del cinema, questa incarnazione paradossale di fantasmi? Nato a New York, presto trasferitosi in Europa, e naturalizzato francese, Green studia le tecniche del teatro barocco, forma un’apposita compagnia (Le Théâtre de la Sapience) per metterlo in scena, lavora come attore con Bresson e approda al cinema come autore relativamente tardi, col film Toutes les nuits (uscito nel 2001), molto apprezzato da Godard.

Per capire il suo cinema, naturalmente, bisognerebbe rileggere Paul Schrader, e magari, con riferimento specifico a La sapienza, meditare a lungo su First Reformed (2017), dato il posto preponderante che vi assume l’architettura stessa della chiesa in cui officia padre Toller: è una chiesa costruita appena 250 anni fa nei pressi di New York, niente di paragonabile ai capolavori barocchi di Bernini, Borromini, Guarini, ma qualcosa in comune comunque c’è, ed è, secondo Green, la sensazione d’una presenza misteriosa, veicolata soprattutto dalla luce. L’architettura è progettazione di spazi, gli spazi non sono che vuoti, ma questi vuoti debbono essere riempiti dalla luce. In questo senso, esiste un’intima corrispondenza tra architettura e cinema.

È fondamentale anche seguire la lunga conversazione che Federico Francioni ha auto con Green, riportata nel volume Il mondo vivente, dove lo stesso Green insiste su questo parallelismo:

C’è un rapporto importante tra l’architettura e il cinema. L’architettura introduce il fedele in un tempio, in uno spazio, proprio come fa il cinema. Ed esattamente come il cinema condiziona il modo di vedere la luce e permette di scoprire gli aspetti nascosti del mondo (Francioni 2017, p. 42).

 

Ma di che architettura si parla qui? In La sapienza, il celebre architetto Alexandre Schmidt, riceve un premio prestigioso per la sua attività. Ha progettato e costruito case, uffici e fabbriche, ma rivela, nel suo discorso di ringraziamento, di non aver mai voluto costruire chiese e neppure sinagoghe, in quanto non credente. Tuttavia, non osa confessare neppure a se stesso da un lato l’insoddisfazione per quanto ha finora realizzato, dall’altro il fascino che esercita su di lui la grande architettura delle chiese barocche.

Ad Alexandre, che viaggia con la moglie Aliénor, psicoterapeuta, è stato chiesto di scrivere un libro su Borromini. Il rapporto tra i coniugi si è fatto difficile, venato di freddezza. Siedono a tavola l’uno di fronte all’altra, sorseggiando vino, e non hanno niente da dirsi, con la rigidità di modelli bressoniani, finché per caso (ma niente avviene a caso) non si verifica l’incontro fortunato con una coppia di giovani, Goffredo e Lavinia, fratello e sorella. Lavinia è fragile, di salute cagionevole, e Aliénor decide di restare con lei e assisterla finché non si sarà rimessa. Goffredo vuole studiare architettura, e farà compagnia ad Alexandre in un viaggio a Torino e a Roma sulle tracce di Guarini, Bernini e Borromini.Man mano che si sviluppa, il rapporto tra Alexandre e Goffredo diventa un rapporto di reciproca illuminazione. Alexandre spiega al giovane le tecniche costruttive di quei maestri; Goffredo apprende, ma non rinuncia a tenere un punto per lui (e per Green) fondamentale: ogni architettura è un tempio, e in ogni tempio si deve sentire una presenza – una presenza che l’architetto deve saper convocare. Come? Tramite la luce.

Si incontra qui una delle idee forti di Eugène Green, ribadita più volte anche nella conversazione con Francioni: «Durante il periodo Barocco, dalla fine del XVI secolo all’inizio del XVII, l’uomo ha vissuto un ossimoro: pur continuando a seguire il pensiero razionalista, ha creduto ancora nell’esistenza di Dio come entità suprema» (ivi, p. 53). L’ossimoro barocco rivela tutta la potenza della sua suggestione appunto nell’architettura: l’intreccio geometrico-matematico che sorregge le volte della Cappella della Sindone a Torino o di Sant’Ivo alla Sapienza a Roma è un frutto meraviglioso del pensiero razionale.

D’altra parte, la cupola impedisce, si, di vedere il cielo, ma al tempo stesso un percorso ineluttabile ci conduce verso l’alto, alla sorgente della luce. L’ellisse si rivela allora, nella visione che Green ha del barocco, una sorta di metafora dell’operare divino: è un cerchio, forma perfetta, stabile e autosufficiente, che si disfa per diventare perpetuo movimento, geometria della luce, proprio come, nel cinema, un’inquadratura si mette in moto, legandosi alle precedenti e alle successive. Siamo di fronte, in tutti i casi, all’avvento di qualcosa di misterioso. Sono fantasmi, sono presenze invisibili, che il regista, come l’architetto, deve saper evocare. D’altra parte, si tratta sempre di fantasmi benevoli, richiamati dalla luce, anche nelle parentesi d’oscurità più profonda del bianco e nero.

Ma Borromini si è suicidato. Perché? Green non rinuncia a rispondere, in una pantomima in costume inserita all’interno del film: si è suicidato perché un servo troppo zelante, ligio agli ordini dei medici, gli portò via la lampada che gli serviva per disegnare. Come scrive Francioni: «Nei film di Eugène Green, il mondo diventa, o torna a essere se mai lo è stato, in un circuito di opposizioni che non generano conflitto, ma unità: maschio e femmina, luce ombra, terra e cielo; e, soprattutto, desiderio e spiritualità» (ivi, p. 24). È la mancanza di luce a uccidere.

Riferimenti bibliografici
F. Francioni, Il mondo vivente. Conversazione con Eugène Green, Artdigiland, Dublino 2017.

Share