Narcisismo. Ambizione. Disturbo dell’attenzione. Ottimismo e determinazione. Attacchi di rabbia. Depressione ad altissimo funzionamento. Ossessività. Incapacità a impegnarsi per portare a termine qualcosa. “Tristezza al mattino, manipolazione nel pomeriggio”. Attacchi imprevisti, a qualsiasi ora, di una creatività incommensurabile. Questo è Marc, il protagonista del film di Michel Gondry. Marc rifiuta l’autorità in tutte le sue forme: le medicine che gli bloccano le idee, il direttore d’orchestra, i produttori che non capiscono il film. Allora scappa in campagna col film con gli hard disk e i computer, dove può essere il capo davvero, il regista davvero, il sindaco addirittura. Marc fa tutto questo per qualcuno da cui è ossessionato: prima è Charlotte, la montatrice a cui si dichiara, poi è la zia, “la persona che ama di più al mondo”, poi è Gabrielle, il vero amore, anche se non ci ha mai parlato.

Marc è Gondry stesso, ovviamente. Il film è ispirato alla difficoltà che le persone creative provano verso la creatività stessa. La mania o smania che si prova per le ambizioni, le idee geniali o strane, e i problemi, i problemi che montano e diventano insormontabili, fino a causare una paura così forte come quella che Marc prova verso il film che ha fatto, che non riesce a rivedere, bloccando la lavorazione ed esasperando i suoi collaboratori e amici che non riescono più a sopportarlo. Tuttavia, sono difficoltà verso la vita stessa. E infatti Marc si deve scusare continuamente, ma poi fallisce anche in quello, perdendo progressivamente la fiducia degli altri. Per questo il tema della creatività è trattato in modo patologico. La storia si ispira alla vita vera di Gondry, quando smise di prendere stabilizzatori dell’umore sul set de La schiuma dei giorni (2013) e non riusciva più a completare il film, e poi fu diagnosticato bipolare. In quel periodo visse una fase di mania, un’ondata di idee lo sopraffaceva e credeva di essere un genio, risultando narcisista e intrattabile.

Il libro delle soluzioni è una commedia però, fa ridere tanto. È più leggero di tanti altri film del regista: forse che la prospettiva “patologica” liberi una leggerezza prima schiacciata dalla serietà con cui si affrontano Arte e Depressione? Si torna un po’ all’atmosfera de L’arte del sogno (2006), ma con meno psicanalisi (il tema delle mani e dei piedi però resta). I problemi e il carattere del protagonista sono simili: succube-tiranno di donne amorevoli che non riesce a trattare bene; succube-tiranno di una creatività quasi autistica – lì quella infantile dei giocattoli, qui quella adulta del falegname. Ogni mattina Marc è al lavoro su qualcosa di completamente scollegato dal film; un giorno afferma perentorio: “Non sei un uomo finché non hai costruito una sedia”. Se quella era una fase depressiva, causata dalla morte del padre del protagonista Stéphane, questa è la fase maniacale, energica, di un protagonista ancora senza genitori ma non più inetto; il tema del padre affiora solo un secondo in un altro film che inizia a progettare, con relativo sconforto di tutti.

C’è ancora il tema fortissimo dell’indistinzione di sogno/allucinazione e realtà. La realtà qui, nonostante tutto, è più stabile che ne L’arte del sogno: anche se resta il sospetto che alcune scene possano essere frutto della fantasia del protagonista, ci crede così tanto che risultano vivide, fluide, accettate anche dagli altri. Anche le sue idee diventano reali: “Fa tutto quello che dice”, commenta qualcuno. La folle determinazione e l’ottimismo pazzo di Marc lo spingono a cercare la collaborazione di Sting per la colonna sonora, tra gli scherni degli altri. E invece ci riesce contro ogni aspettativa. Al momento di registrare, riesce persino a suggerirgli una nota diversa. A quel punto la sua faccia impassibile è accoppiata a un dialogo interiore: “Certe volte le vittorie sono così eclatanti che non hanno neanche bisogno di commenti”. È strano come l’iperattività spontanea di Marc possa essere il rovescio della medaglia del pensoso Stéphane. Sting parla un po’ di francese e, mentre suona, chiede “ça va?” (sottinteso, la musica) e Marc immediatamente risponde “ça va et toi?” (tutto bene, tu?). Una comicità quasi slapstick, buffonesca. È bello vedere un film profondo causare risate così forti in sala.

Però c’è anche una tragedia, anche se più apatica che triste. Gli altri si allontanano dal protagonista, le sue idee a volte non sono geniali ma francamente folli (per fortuna si accorge in tempo che sua zia dopotutto non ha bisogno di un rapporto sessuale), le persone che gli sono più vicine sono sempre più esasperate, deluse, bloccate, impossibilitate a relazionarsi con lui. Sono deluse perché non guarda mai, neanche alla prima ufficiale, il film per cui si è impegnato tanto e per il quale fa lavorare tanto gli altri. E sono confuse da un mix di atti contraddittori: insulti, scuse, regali non richiesti fatti più per se stesso, dichiarazioni d’amore, atti di preoccupazione e insieme insofferenza per gli altri da parte di Marc.

Per fortuna c’è “Il libro delle soluzioni”. Il libro che non ha mai scritto da piccolo, come tanti altri progetti. Progetti che non vengono dimenticati e restano archiviati nel cervello, spinti in fondo alla mente da una marea di ostacoli che vengono più dall’interno che da fuori, come i dubbi sulla giusta direzione, l’improvvisa mancanza di entusiasmo, la difficoltà a trovare aiuto. I progetti restano. Il libro è il progetto originario, e infatti viene dall’infanzia. C’è solo il titolo. Ora diventa un quaderno di appunti che raccoglie le macerie dei castelli in aria che continuano a crollare. Qui appunta delle regole che gli sembrano possano dare una direzione e una stabilità alla vita, canalizzarla. Tra le regole ci sono “iniziare un progetto”, ovvero fare quello che si vuole a discapito di tutto, e poi anche “non ascoltare gli altri”, ovvero allontanare tutti quelli che dicono “non si può fare”, come quella volta che Gondry licenziò un collaboratore giapponese che faceva così.

Il principale suo difetto è proprio non ascoltare gli altri, letteralmente non ascoltarli. È così centrato su se stesso che a volte crede di aver detto qualcosa che in realtà ha solo pensato. A un certo punto se ne accorge e appunta: “ascoltare gli altri”. Il libro delle soluzioni è così, contraddittorio. Ma non per questo indica un’evoluzione del personaggio. I desideri non portano a veri e propri cambiamenti, i progetti non terminano (di certo non grazie al protagonista: il film è portato avanti dalle collaboratrici). In fondo Marc non impara niente, non evolve, anzi dimentica. Se si guarda al film come fosse una narrazione classica, non succede quasi niente: tutte le azioni portate avanti dal protagonista non riescono a seguire un obiettivo forte, quello di completare il film, che anzi fin dall’inizio era praticamente finito; la linea narrativa sentimentale quella sì evolve, ma non promette niente di buono.

La scena più potente è quella che ricalca una vero episodio avvenuto realmente alle Cévennes, quando Gondry diresse l’orchestra per La schiuma dei giorni. L’assistente alla produzione ha trovato lo studio di registrazione per Marc, ha trovato perfino un’orchestra, anche se il regista non ha nessuna partitura, nessuna competenza in merito. Ma non si fa fermare. Improvvisa. Si ispira al momento, raccogliendo frammenti di musica dai cd che si trovano sul posto, e poi inizia a dirigere. Capisce che gli altri hanno bisogno di sentirsi diretti, hanno bisogno di un senso di fiducia, di credere che il regista abbia la situazione sotto controllo. Allo stesso modo aveva complimentato la ragazza per farle trovare l’orchestra, allo stesso modo aveva pensato di far sentire in colpa il direttore del supermercato per indurlo a vendere i suoi dvd: in realtà Marc capisce come pensano gli altri e li sa anche manipolare – forse è per questo che crede sempre di essere manipolato. Una volta preso il controllo della situazione, però, una volta sgomberato il campo dagli ostacoli, l’artista è solo ed è lì che mostra la sua potenza. Entra in estasi e crea arte dal nulla, senza competenze, strumenti, ispirazioni. Gli basta muoversi e l’orchestra lo segue in base a due regolette inventate sul momento (mani in basso toni bassi, mani in alto toni alti, braccia strette silenzio, braccia larghe intensità). Una disciplina così codificata e specialistica come la musica, in mano al refrattario direttore d’orchestra che viene cacciato da Marc, viene completamente aperta, liberata: si può fare! Senza vincoli, l’artista può produrre – con tutto ciò che ne consegue in termini di distanza dagli altri.

L’artista prende il potere, diventa uno sciamano, la musica un rito, le due collaboratrici tornano a fidarsi per un breve momento, lo guardano e sembrano quasi fidarsi di nuovo. Marc è collegato a qualcosa di alto e di diverso che solo lui può pensare solo perché gli altri non ne hanno il coraggio (“non hai il coraggio delle tue ambizioni”, dirà a una delle due, che poi lo abbandona): Marc ha il coraggio di venerare il dio della modernità, il sé megalomane e artista. Di credere alle proprie idee, a se stesso, contro la realtà, se necessario.

Il libro delle soluzioni. Regia: Michel Gondry; sceneggiatura: Michel Gondry; produttore: Georges Bermann; montaggio: Élise Fievet; fotografia: Laurent Brunet; musiche: Étienne Charry; scenografia: Pierre Pell, interpreti: Pierre Nivey, Blanche Gardin, Françoise Lebrun, Frankie Wallach, Camille Rutherford, Vincent Elba, Sting; produzione: Partizan Films; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: Francia; durata: 103’; anno: 2023.

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