Dopo lo speciale dedicatole dalla Mostra Internazionale del Nuovo cinema di Pesaro nel 2021, Liliana Cavani ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera in occasione dell’ottantesima edizione della Mostra del cinema di Venezia, dove ha presentato fuori concorso il suo ultimo lungometraggio, L’ordine del tempo, liberamente ispirato al saggio di Carlo Rovelli. Oltre alle ricorrenze e celebrazioni in ambito festivaliero, anche il mondo accademico negli ultimi anni è tornato sull’opera di Liliana Cavani a partire, ad esempio, da un ciclo di incontri e seminari organizzati dal Dipartimento di Italianistica dell’Università di Princeton e dall’Istituto italiano di cultura di New York nel marzo del 2023.

Nata nel 1933 a Carpi, figlia di un architetto mantovano e di una casalinga carpigiana, Cavani si laurea in lettere antiche presso l’Università di Bologna nel 1959, e successivamente si iscrive al Centro sperimentale di cinematografia di Roma dove incontra, tra gli altri, Marco Bellocchio e Silvano Agosti. Il cortometraggio di diploma La battaglia (1962) vince il “Ciak d’oro” che il Centro conferiva al miglior saggio di fine corso. Inizia dunque a realizzare documentari e film-inchieste di stampo sociale e politico per la Rai: La storia del Terzo Reich (1961), Età di Stalin (1962), La casa in Italia (1964), La donna nella Resistenza (1965), Philippe Pétain: processo a Vichy (1965), che ottiene il Leone d’Oro nella sezione documentari della Mostra del cinema di Venezia. L’anno successivo dirige, sempre per la televisione, il film Francesco d’Assisi (1966), primo delle tre opere sulla figura del santo, a cui si affascina dopo la lettura del testo del teologo protestante Paul Sabatier. La vita di San Francesco, interpretato da Lou Castel, viene messa sotto una luce nuova, facendo emerge l’attualità e la forza rivoluzionaria del personaggio. Nonostante il ritorno ad una figura storica come quella di Galileo, il film del 1968 più che un biopic sulla vita dello scienziato si tratta di un lavoro sulla libertà di pensiero e un ragionamento sul potere della Chiesa, che richiama il conflitto interno al mondo cattolico in tempo di crisi della DC. Abbandona le figure storiche per entrare nella sfera del mito con I cannibali (1970), una rilettura del personaggio di Antigone, un’opera allegorica sul potere e la rivoluzione in piena contestazione, ambientato in un regime totalitario contemporaneo.

Nell’anno successivo la regista torna realizzare un film per la Rai, L’ospite (1971), che affronta e riflettere su un tema di estrema attualità per l’epoca, ovvero la malattia mentale e il trattamento nei manicomi. L’onda di radicali trasformazioni culturali ed economiche così come l’attivismo delle proteste studentesche del 1967-1968 fino alle lotte operaie dell’autunno caldo nel 1969 porta una svolta radicale verso una più ampia riorganizzazione assistenziale dei servizi alla salute e sociali, alimentando idee e pratiche tese a stravolgere il sistema manicomiale la cui logica fondante era basata sulla repressione, contenimento e separazione.

Il portiere di notte (1978), tra i suoi film più celebri, segna un punto di svolta. La critica sembra dare maggiore riconoscimento, partendo da quest’opera, anche ai film precedenti, cogliendo la maturità di uno stile coerente che si sta confrontando con un mutamento dello sguardo e dell’immagine. Paolo Bosisio scrive un ritratto dell’artista cogliendo come il realismo critico presente nei film della regista, fin dal primo, raggiunga l’apice ne Il portiere di notte. L’interesse per la biografica psicologica che emerge esplicitamente nel film, come afferma il critico, è un tratto saliente che contraddistingueva anche le altre opere, aspetto però spesso frainteso dalla critica, specialmente di sinistra, viziata dalle attese di un cinema che per forza di cose doveva essere necessariamente rivoluzionario, che vede il soggettivismo psicologico come una mancanza di schieramento, di precisa collocazione ideologica o di linea di presenza interpretativa. Definita una “cattolica del dissenso” da Tullio Kezich in una recensione di Galileo, Cavani si è sempre mossa su due terreni che negli anni Sessanta e Settanta hanno raggiunto la massima conflittualità, l’urgenza delle battaglie politiche e sociali portate avanti dalla sinistra, basti vedere i documentari per la televisione realizzati nei primi anni di carriera, o film come I cannibali o L’ospite con l’interesse verso figure storiche provenienti dal mondo cattolico, fino ai confini della spiritualità. Tuttavia, nel cinema della Cavani, la Storia, nonostante venga posta alla base con alcune delle sue figure più illustri, non è votata alla ricerca dell’agiografia ma un terreno ricco di mistificazioni e convenzioni da abbattere attraverso l’analisi di personaggi di opposizione. Seppur presente, l’allegoria storico-sociale non vuole essere forma predominante, ma un punto di partenza per indirizzare l’analisi direttamente all’uomo attraverso un’analisi spettrale della realtà, tra avventura sentimentale e psicologica, si pensi alla figura di Francesco, libera dal realismo storicistico, dal sacro, al di là del bene e del male.

Riferimenti bibliografici
P. Bosisio, Ritratti critici di contemporanei: Liliana Cavani, in «Belfagor», n. 2, marzo 1978.
T. Kezich, Galileo, in «Bianco e nero», n. 5-6, maggio-giugno 1969.
A. Mariani, La ricezione critica di un cinema inquieto, in P. Armocida, C. Paternò, a cura di, Liliana Cavani. Il cinema e i film, Marsilio, Venezia 2021.

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