Che cos’è la cinefilia nel 2018? A una domanda così diretta, Il Cinema Ritrovato – l’affollatissimo festival bolognese ideato dalla Cineteca di Bologna – sembra dare una risposta diretta: una settimana di storia del cinema in sala, con film che spaziano dal 1898 (i ritrovamenti dell’anno tre della settima arte) fino al 1998 degli ultimi restauri (Central do Brasil di Walter Salles). E infatti – oltre alla sezione più amata (i Ritrovati e Restaurati dove si sono potuti ri-assaggiare film di Ray, Wilder, Lubitsch, Clair, Bergman, Aldrich, Marker, Cimino, Friedkin e praticamente un mezzo vocabolario della cinefilia mondiale) – c’erano anche sezioni meno giustificate dal punto di vista di restauri o riedizioni, come le proiezioni vintage del Technicolor e della pellicola, nuovo luogo della passione cinefila, un po’ come il vinile per gli amanti della musica: in tal senso la folla che gremiva la sala per la proiezione di Incontriamoci a St. Louis (1948) di Vincente Minnelli, con ondate di risate e applausi a scena aperta in un clima al tempo stesso entusiasta e paludoso per il calore umano, ha raccontato più di ogni altra cosa la potenza quasi da “live” di questa auratica flagranza.
Eppure, lo stesso, bisogna chiedersi: è questa la cinefilia oggi? Certamente ne è una parte, anche importante. Ed ecco perché il report da un festival può diventare l’occasione per una riflessione più teorica. La cinefilia si esprime pienamente nei festival, come noto. I festival rappresentano il luogo carismatico della cinefilia, quello più rituale poiché in essi coincidono diversi aspetti della stessa, a cominciare dalla condivisione (sociale e culturale) e a proseguire con la dimensione della pratica, che spesso è una pratica tecnica – cioè il luogo dove si verifica l’esperienza culturale (la sala) e il supporto attraverso la quale si attualizza (la pellicola o il 4K o il vintage del Technicolor o ancora, persino, la proiezione con lampada a carbone) contano tanto quanto il film.
Nel caso di un festival retrospettivo come Il Cinema Ritrovato (dove le uniche novità vere e proprie sono costituite da documentari recenti sulla storia del cinema), si aggiunge anche l’aspetto degli ospiti, sui quali il festival offre traiettorie molto concrete: da una parte le figure storiche ancora in grado di raccontare la “vita dietro i film” (da Anna Karina a Patricia Birch, la leggendaria coreografa di Grease), dall’altra studiosi e conservatori chiamati a spiegare il proprio lavoro – talvolta le due categorie coincidono, come nel caso di Michel Ciment, storico critico di Positif, il cui racconto della rivista vale senz’altro più come testimonianza artistica che come analisi per addetti ai lavori (peraltro accurata), con aneddoti su Fellini, Germi e altri autori internazionali.
Anche la valutazione del film viene investita dal rapporto tra cinefilia e curiosità, che non sempre coincidono. Prendiamo il caso di Ciò non accadrebbe qui (1950), il ben poco conosciuto film di Ingmar Bergman, da lui stesso ripudiato in quanto pellicola di propaganda anti-comunista su commissione. Dal punto di vista storiografico, l’opera non può che suscitare l’entusiasmo di studiosi e ricercatori poiché riconsegna un tassello importante della produzione di un maestro riconosciuto, che il regista stesso disconobbe (dopo l’uscita nelle sale fece di tutto per impedirne la proiezione).
Inoltre, l’elemento auratico è confermato dal fatto che solo in occasione del centenario della nascita del regista, la Svensk Filmindustri e la famiglia Bergman, detentori dei diritti, hanno acconsentito a un numero limitato di proiezioni. Tuttavia, il pubblico è rimasto in gran parte deluso dal film, considerato un thriller impersonale e gravemente limitato dal suo obiettivo principale. Ed ecco allora scattare l’opzione cinefila. Uno scritto di Peter von Bagh, il rimpianto direttore del Cinema Ritrovato ora scomparso, legittima Ciò non accadrebbe qui all’interno del voluminoso e imperdibile Catalogo del festival, in base al principio della rivalutazione dell’opera minore e della politica degli autori, tipici della pratica Cahiers e post-Cahiers. Ne citiamo qualche riga:
Il film funziona soprattutto come un muto. Dato che non c’è una lingua comune e che gran parte della comunicazione è comunque illusoria, ancora una volta abbiamo di fronte una comunità bergmaniana tormentata, enigmatica e alienata che si fonde con una geografia sintetica, i suoi non-cittadini condannati a una solitudine incurabile proprio come in Sete, Il silenzio (1962) e La vergogna (1968). (…) La problematica della colpa può essere paragonata ai finali di alcuni film di Hitchcock (Sabotaggio) e perfino di opere successive come Il sipario strappato e Topaz, che trascendono la loro mediocre reputazione (pp. 227-228).
Questo “trascendere la reputazione” è una delle routine critiche più cinefile in assoluto, poiché permette di esercitare non solamente la pratica celibe dello scambio, dell’opinione e dell’erudizione volatile ma anche una legittimazione di gusto cui siamo ben abituati – e che ha poi anche prodotto, in epoca postmoderna, le legittimazioni dal basso, diverse da questa per il fatto di non esplorare la filmografia minore di autori già nobilitati ma eguali per strategie retoriche.
Sia chiaro, Il Cinema Ritrovato non è e non è mai stata una macchina di rivalutazioni storiche, se non forse di registi e di produzioni che sono comunque già circondate dal rispetto di chi opera nella cultura cinematografica (di fatto la Hollywood classica, quest’anno con la retrospettiva sulla Fox Film Corporation, in collaborazione con il MoMA; e la retrospettiva sul John Stahl sonoro, che verrà poi seguita da un analogo omaggio – ma sulla produzione muta – alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, ottobre 2018).
Aggiungendo che anche la cinefilia militante e il cinema politico avevano il loro spazio – grazie alla sezione Cinemalibero e ai restauri della Martin Scorsese World Cinema Foundation – si capisce perché dire che Il Cinema Ritrovato è un festival cinefilo non basta. È un festival delle cinefilie: delle pratiche, delle tracce, dei suoi discorsi, e delle negoziazioni di esistenza nel contemporaneo.
Riferimenti bibliografici
Il Cinema Ritrovato 2018. Catalogo. Edizioni Cineteca di Bologna, Bologna 2018.
R. Menarini, Il discorso e lo sguardo. Forme della critica e pratiche della cinefilia, Dabasis, Parma 2018.