Quando si valica una soglia, si scoprono sempre mondi sconosciuti, nascosti appena al di là della realtà per noi più familiare. È ciò che succede ad Alice, quando cade nel buco nero che la conduce dritta, verso il paese delle meraviglie. Il cassetto segreto – l’ultimo film di Costanza Quatriglio, presentato al 74esimo festival di Berlino – è, in questo senso specifico, un film d’avventura, suddiviso in capitoli dai titoli fantasiosi, come quelli di un libro per l’infanzia. Racconta le peregrinazioni di una bambina, da grande diventata regista, alla scoperta di un mondo fantastico, celato proprio in un angolo misterioso di casa sua, nello studio di suo padre giornalista, stracolmo di carte, libri e oggetti di ogni tipo.
Quella bambina si chiama Costanza: di lei appena nata, ascoltiamo il pianto, nelle prime inquadrature del film. Lo ha registrato suo padre su nastri, gelosamente custoditi nel cassetto segreto che dà il titolo al film. La rivediamo, più avanti ragazzina accanto a personaggi come Ignazio Buttitta e Leonardo Sciascia, amici intimi di suo padre, e infine donna, regista e interprete di questo film che è un oggetto complesso e multiforme.
Il cassetto segreto è, innanzitutto, un documentario su uno degli intellettuali italiani più raffinati del Secondo dopoguerra, Giuseppe Quatriglio, per anni inviato del Giornale di Sicilia nel mondo. Attraverso di lui il film lascia emergere il ritratto di un’epoca che ha alimentato – in Italia e non solo – un sogno di benessere, di riscatto e grandi speranze. Gli articoli e le lettere, le fotografie e soprattutto i filmini realizzati nei viaggi di tutta una vita (a Parigi, subito dopo la fine della guerra; a Berlino, durante la costruzione del muro; nei Paesi Scandinavi e in Russia; negli Stati Uniti, dove Quatriglio ha abitato a lungo) diventano, nelle mani di Costanza, un materiale vivo, attorno al quale costruire una tessitura narrativa in cui convivono tempi diversi: quello in cui il film è girato (i mesi che, dopo la pandemia, sono stati per tutti un ritorno alla vita) e quello a cui invece si riferiscono i materiali recuperati, che testimoniano di un mondo ormai lontano, che il lavoro della regista consegna a una nuova esistenza.
Sono lampi di un’epoca passata, della quale Giuseppe Quatriglio si è fatto portavoce e interprete, così come si legge nei suoi reportage. Parte dalla Sicilia, precisamente da Palermo, quando è ancora molto giovane, per farvi ritorno ogni volta, con uno sguardo più ricco di esperienze, incontri, visioni. Fra tutti i Paesi del mondo, la Sicilia è forse il più bello: lo sostiene Carlo Levi in una conversazione di cui Quatriglio conserva una registrazione, che trova il suo posto in mezzo ai tanti materiali di riuso che fanno il film. Certamente, grazie alla sua storia millenaria, la Sicilia è un punto d’osservazione privilegiato per chi del mondo vuole comprendere criticamente i misteriosi modi di funzionamento.
E così, Il cassetto segreto è insieme il documentario su un uomo e il mondo che ha vissuto e raccontato, con l’acutezza e il pudore che si riconoscono nei grandi intellettuali. Un uomo, uno studioso, un padre, che Costanza Quatriglio racconta con gli strumenti che le sono più familiari: quelli del cinema. Mondi fisici e mondi interiori si mescolano dentro le mura di una casa che è essa stessa scrigno, perché è stato il luogo in cui si sono incontrati affetti, alimentate passioni, in cui si sono accumulati, negli anni, oggetti, volumi, memorie: la casa in cui una bambina è cresciuta per diventare la donna che infine scopre di essere, nascendo una seconda volta, forse proprio quando gira questo film.
In quella casa, Costanza rientra qualche anno dopo la scomparsa dei genitori, quando ha ormai deciso di donare l’intera biblioteca di suo padre, oltre che le sue fotografie e le centinaia di pagine scritte, e mai pubblicate. Comincia a filmare nel momento in cui gira una chiave e si inoltra fra le piante ormai incolte, del giardino della casa, quasi fosse una “selva oscura” quella che deve attraversare per arrivare a scoprire qualcosa di suo padre e quindi anche di sé. Continua poi mostrando il lavoro dei bibliotecari e degli archivisti, arrivati per catalogare tutto il materiale prima che venga trasportato nei locali della biblioteca regionale siciliana, dove il fondo potrà trovare una nuova collocazione e di conseguenza una nuova vita.
Quando il trasloco finisce, la casa rimane quasi del tutto vuota, e mostra per la prima volta un volto che neppure Costanza aveva mai visto prima. Si legge quasi incredulità nei suoi occhi, quando scopre che il posto in cui è cresciuta non è più lo stesso: forse per questo decide di mettersi a ballare, una danza solitaria che è insieme un commiato, un ringraziamento e un gesto di rinascita. La decisione che l’ha portata a donare tutti i libri di suo padre comporta sì una rinuncia, ma è anche l’occasione per portare a termine un lungo e doloroso lavoro del lutto.
Da regista, Costanza Quatriglio non può che affidare al cinema la testimonianza di questo lavoro, tanto più che il cinema (soprattutto quello che fa uso di materiali d’archivio) coincide proprio con l’operazione complicata, grazie alla quale la morte, oltre che fine, può diventare ragione di un nuovo inizio. I film portano sullo schermo fantasmi di un tempo che non c’è più. Permettono così di convivere pacificamente con il passato, sinonimo non di ciò che non accadrà “mai più”, ma di ciò che è destinato a ripetersi “per sempre”. Il cinema, tanto più quando lavora con materiali d’archivio, come in questo caso, disseppellisce i morti, per dare loro una nuova sepoltura, che consente a noi (che siamo qui a occuparcene) e a loro di vivere insieme, gli uni accanto agli altri.
Il film di Costanza Quatriglio assume su di sé tutta la responsabilità di questo gesto, come solo il grande cinema sa fare. Profanando il cassetto segreto di suo padre, la regista compie un gesto che è già in sé stesso cinematografico e che il film porta a compimento. Ritrova vecchi filmati dimenticati e restituisce loro movimento, dai volumi della biblioteca del padre tira fuori migliaia di pagine scritte e le rende leggibili, tira giù dagli scaffali migliaia di libri, li inscatola e li dona alla biblioteca della sua città in modo che qualcuno, oltre a lei, possa goderne. Esuma persino l’urna con le ceneri di suo padre, seppellita ai piedi della magnolia che domina il giardino della casa: sa che suo padre vivrà, da quel momento in poi, nel film che sta girando.
Quella di Costanza Quatriglio è un’operazione complicata, arrischiata e coraggiosa: ha qualcosa a che fare con l’intervento che Alberto Burri realizza a Gibillina, dopo che il terribile terremoto del ’68 ha raso al suolo i paesi del Belice. Da giornalista, Quatriglio aveva raccontato, nell’immediato, lo scenario devastato di quella parte di Sicilia, quando ancora i morti andavano tirati fuori dalle macerie. Racconta Gibellina attraverso le lettere d’amore di due fidanzati lontani, che non si incontreranno più, ma continueranno ad amarsi. Più avanti, quando nel 1984 comincia la costruzione del cretto, Quatriglio riconosce immediatamente la forza etica ed estetica di un’opera artistica che è insieme un atto di sepoltura e di rinascita. È lì che Costanza e suo padre si incontrano, sulle immagini di una Sicilia ferita, ma pronta a risollevarsi. È in quel momento che Costanza scopre di avere molte cose in comune con suo padre, molte di più di quelle che forse aveva immaginato. Anche grazie a quelle è diventata la donna e la regista che è. Il cassetto segreto è una dolcissima lettera d’amore – come quelle che i due innamorati di Gibellina si scambiano e che il giornalista ritrova fra le macerie – indirizzata, in questo caso, a un uomo, suo padre, e al cinema.
Il cassetto segreto. Regia: Costanza Quatriglio; sceneggiatura: Costanza Quatriglio; fotografia: Sabrina Varani; montaggio: Letizia Caudullo; produzione: Indyca; origine: Italia, Svizzera; durata: 132′; anno: 2024.