Pazienza, Coraggio, Prudenza. Onore, Sovranità, Saggezza. Tutte queste parole corrispondono ai titoli di alcuni dei saggi che il Mulino ha deciso di lanciare nell’ambito di un progetto editoriale sulle “Parole controtempo”. Ideologia, di Carlo Galli, è una di queste. Parola dall’estrema flessibilità culturale, capace di riunire sotto il medesimo sguardo i fenomeni più disparati.
È un compito dunque di estrema complessità quello di definire il senso del termine “ideologia”. Potremmo forse cominciare in modo assertivo, e vedere pian piano cosa ricavarne; e allora scriviamo, o meglio, citiamo quanto, all’inizio del volume, riporta lo stesso Galli: l’ideologia è un modo “efficace” di far le cose con le parole e con le passioni. In questa formulazione si mostrano elementi importanti: la prassi (il “far le cose”), l’idea (le “parole”, ossia i concetti) e l’emozione (le “passioni”). Alla base delle azioni, dunque, troviamo tanto una componente razionale, quanto una emotiva, impulsiva. Fare le cose, per l’uomo, significa anzitutto coniugare queste due sfere. Già solo questo ci permette di illustrare un primo, fondamentale punto: l’“ideologia” si presenta come la coniugazione di movimenti uguali e contrari al tempo stesso. Da un lato, essa sta in sé, nella misura in cui cerca l’identità, tenta costantemente di affermarsi. Dall’altro, si pone fuori di sé, presuppone l’Altro, il diverso da sé, «un avversario da criticare» (Galli 2022, p. 15). Si tratta, d’altronde, di un movimento di tipo hegeliano, nella misura in cui l’idea, per tornare a sé inverata, necessita anzitutto di fare esperienza del diverso. Si tratta di un continuo scambio dialogico. Al movimento centripeto dell’identità si sovrappone quello centrifugo della differenza. Affinché il discorso non perda solidità e concretezza, è necessario però concepire il concetto di ideologia in senso storico. In questo senso la sua comprensione, scrive l’autore, «non può essere solo formale (strutturale, funzionale, intellettuale): deve essere una genealogia». E questa origine, continua, non ha da essere sociale, né tantomeno economica, ma «epocale» (ivi, p. 65).
Il movimento dell’idea, cioè, si fa concreto, assumendo un aspetto umano e storico. Ma questa “concretezza” non viene ricercata attraverso un’analisi delle strutture economiche e sociali delle organizzazioni umane, alla maniera marxiana, né tantomeno attraverso un ricorso ad argomentazioni “ordo-liberiste”, nei confronti delle quali l’autore pure si mostra critico, «l’ideologia neo-liberista è dilagata come senso comune, come macchina mitologica complessiva, […] si è evoluta dalla stabilità alla “mobilitazione totale”» (ivi, pp. 135-136). Piuttosto, la “genesi” delle ideologie va rintracciata nell’uomo stesso, nel suo modo di relazionarsi esistenzialmente al mondo. Si tratta di una posizione filosofica che, riuscendo elegantemente a sganciarsi da un vocabolario fin troppo compromesso dalla politica, mette in atto, diremmo, un decostruttivismo spinto che in ogni suo punto mantiene una prospettiva descrittiva. Si tratterebbe, in certo qual modo, della coniugazione tanto dello sguardo storico-epocale dell’ontologia heideggeriana, quanto soprattutto dell’uso nietzschiano della genealogia, come unico modo di fare filosofia in senso storico.
Il concetto di ideologia, intesa non come lo strumento determinato di perpetuazione di un sistema di potere, ma come una categoria tipico-ideale di lettura delle singole epoche storiche dell’uomo viene appunto da Galli rintracciato in quei filoni della filosofia tardo-ottocentesca e novecentesca che in un modo o nell’altro girano intorno ai nomi di Friedrich Nietzsche e Martin Heidegger. Qui “ideologia” è intesa in senso ontologico e metafisico come quella forma umana di comprensione prospettica del mondo che assume di volta in volta, nel corso della storia, delle flessioni specifiche. Non ci sono “le” ideologie, ma “la” ideologia, ossia lo stare-nel-mondo dell’uomo nel modo della “situatività” e della progettualità comprendente.
«Ideologia è insomma la bolla metafisica, onto-teologica e gnoseologica, pratica e linguistica in cui vive l’umanità occidentale da Platone in poi, ossia l’immensa finzione del raddoppiamento del mondo, la coazione a pensare che esista una realtà essenziale (ideale) da scoprire nella teoria e da implementare praticamente attraverso il declassamento dell’esistente a “apparenza”» (ivi, p. 44). Sarebbe infatti proprio nel decentramento relativistico della speculazione nicciana che si trova la forma più radicale di questa concezione. Nell’autore dello Zarathustra, la natura è prospettica, la volontà di potenza impone forme prospettiche di dominio e l’uomo viene definito colui che sta in un angolo. Questo stare-in-un-angolo è la condizione esistenziale primaria, nella misura in cui non esiste azione conoscitiva umana in cui non si dia una antropomorfizzazione. Si tratta, diremmo, di interpretazioni esistenzial-ontologiche dell’ideologia che vedono in questa la rappresentazione filosofica ideale di processi storici reali: se, stando ad un celebre esempio heideggeriano proveniente dalle sue lezioni su Nietzsche, si dovesse distinguere tra l’“ideologia” dell’antico Protagora («l’uomo è misura di tutte le cose») e quella del moderno Cartesio, si constaterebbe anzitutto la differenza teoretica di approccio nei confronti degli enti (Heidegger 2018, pp. 672-677).
Mentre in Protagora, infatti, l’uomo è sì misura delle cose, ma è al contempo descritto come incapace di enunciare giudizi nei confronti di ciò che eccede rispetto alle sue possibilità conoscitive (l’uomo è misura delle cose che conosce; ma non di quelle che non può conoscere, come gli Dèi), in Cartesio c’è la volontà di dominare conoscitivamente ogni cosa, anche Dio stesso. La differenza fondamentale tra i due modi di intendere la comprensione umana, tra il greco ed il francese, sta nel rapporto e negli effetti che questa stessa comprensione produce nei confronti della scienza e della tecnica. Se l’“ideologia” moderna pretende di poter padroneggiare conoscitivamente tutto l’essere, allora la “scienza” moderna è conseguentemente una scienza fondata sul dominio calcolante dell’ente, nel senso di una volontà di potenza che mette-al-sicuro le cose in una rappresentazione esatta. È questo il senso heideggeriano di Ge-stell. Tutte le ideologie specifiche di un’epoca vengono allora intese come derivanti recta via dal generale modo storico-epocale che l’uomo ha di comprendere sé stesso e il proprio posto nel mondo.
Quest’accettazione del modo storico-epocale di intendere le forme ideologiche umane mediante una lettura filosofica e per così dire monofiletica dell’ideologia (cioè: tutte le ideologie sono rami di un medesimo tronco, ossia l’esistenza umana come tale) viene declinata da Galli attraverso la genealogia, anch’essa figlia di Nietzsche. Si tratta, peraltro, di una lezione che proviene da Umano, troppo umano: la filosofia è anzitutto filosofia storica (Nietzsche 1965, p. 16), filosofia “della” storia (si badi ad intendere il genitivo in modo tanto oggettivo quanto soggettivo). Nel Nietzsche maturo, poi, si metteva a punto il metodo genealogico nel senso di un’analisi estremamente rigorosa volta al realmente accaduto, all’oggettivamente constatabile.
L’impostazione veniva intesa dal filosofo in senso anzitutto polemico nei confronti delle impostazioni genealogiche utilitaristiche (Nietzsche 2017, p. 57) inglesi, che all’epoca operavano una sorta di metafisica storica, che pretendeva di dedurre a ritroso le condizioni di origine di un fenomeno a partire da ipotesi sui fini di una certa realtà presente. Si trattava cioè di genealogie fin troppo “ideologiche” e troppo poco “filosofiche”, se è vero, come scrive Galli, che la filosofia «è strutturalmente simile a un’ideologia certa di sé», autocosciente (Galli 2022, p. 18). Intesa in senso “esistenziale”, l’ideologia è dunque qualcosa di cui l’uomo non può fare a meno, nella misura in cui non può fare a meno di proiettarsi prospetticamente sul mondo che conosce. Tuttavia, s’ha da distinguere una ideologia “buona”, felice, da una ideologia per così dire cattiva. Questo ultimo è il caso delle ideologie non consapevoli di sé, diremmo con un tono nicciano: dei ragionamenti privi di senso storico.
«Insomma», per concludere, «ideologia è veramente una parola controtempo, […] un concetto inattuale», o è piuttosto inattuale, anzi pericoloso, al nostro tempo, l’«epoca della mancanza di alternative», non sottoporre mai sé stessi e gli eventi mondani ad un giudizio critico e storicamente indirizzato? Se, infatti, si producesse maggiore autocoscienza, allo stesso modo, per citare un’immagine del saggio nicciano su Verità e menzogna, del sognatore che si rende conto di star vivendo in un sogno, magari si opporrebbe un contrasto efficace ed efficiente alle «identità ideologizzate» e alle «cieche» proteste dei nostri giorni. Ci consentirebbe di «guardare meglio il mondo» (ivi, p. 24), nella misura in cui fare autenticamente filosofia significa proprio «comprendere il mondo come una cosa umana» (Nietzsche 2015, p. 24).
Riferimenti bibliografici
M. Heidegger, Nietzsche, Adelphi, Milano 2018.
F. Nietzsche, Umano, troppo umano, vol. I, in Opere di Friedrich Nietzsche, Vol. IV tomo II, Adelphi, Milano 1965.
Id., La Gaia Scienza e idilli di Messina, Adelphi, Milano 2017.
Id., Su verità e menzogna in senso extramorale, Adelphi, Milano 2015.
Carlo Galli, Ideologia, Il Mulino, Bologna 2022.