Per produrre la serie di dipinti Matinée sur la Seine (1896-1897), Monet lavorò con grande disciplina, svegliandosi ogni mattina prima dell’alba per situarsi, con l’aiuto di un piccolo gommone, nella stessa esatta posizione occupata nei giorni precedenti. Nei pressi della sua casa di Giverny, per più di un anno l’artista cerca di registrare in dettaglio le variazioni della luce e dei colori, l’attività del fiume e il passaggio delle stagioni. L’ultimo film di Assayas, Hors du temps, presentato in concorso alla 74° edizione del festival di Berlino vede il regista francese impegnato in una simile attività di osservazione: “Il covid era i miei blocchi di ghiaccio” commenterà Assayas a partire dalla serie di Monet.

Perché raccontare della pandemia oggi, dopo quasi quattro anni? Per Assayas, il lockdown si presenta come un’inedita sospensione temporale che gli permette di dedicarsi alla contemplazione della realtà che lo circonda. Trovandosi in una situazione di stallo, il regista francese decide di annotare con cura gli eventi straordinari che man mano andavano a trasformare la sua vita quotidiana. La struttura formale di Hors du temps è costruita in funzione di questa istanza contemplativa; lo dimostrano le riprese statiche della campagna francese e degli interni della casa della famiglia Assayas, cadenzate dalla voce narrante dello stesso regista.

L’intreccio commedico sulla convivenza forzata durante la pandemia dei fratelli Étienne e Paul nella villa della loro infanzia ha una matrice evidentemente autobiografica. Gli stessi personaggi sono i doppi dei fratelli Assayas. In particolare, il personaggio di Étienne è interpretato da Vincent Macaigne, già alter ego del regista nella serie HBO Irma Vep. Nei dialoghi, Étienne si appropria del vissuto di Assayas e in maniera ludica ricorda il viaggio a Cuba realizzato per le riprese di Wasp Network (2019) o fa riferimenti alla collaborazione con Kristen Stewart (Étienne dice di voler fare un film in cui l’attrice interpreti una monaca portoghese).

La rottura temporale del Covid ha un effetto liberatorio in Assayas: la pandemia è vista come un nuovo inizio, un anno zero, al quale deve corrispondere un rinnovamento delle forme cinematografiche. Una delle vie proposte dal regista è quella del ritorno alla natura, lezione che egli trae dai libri di storia dell’arte commentati attraverso degli inserti intermediali. Nonostante le intenzioni dichiarate dalla voce narrante e l’inserimento di sequenze paesaggistiche, questa possibilità sembra ancora prematura. Infatti, l’atteggiamento dei personaggi nei confronti della campagna francese che li circonda è di tipo strumentale: l’ambientazione naturale è usata come sfondo di sedute terapeutiche telematiche, oppure come spazio aperto, in opposizione alla chiusura domestica, dove è possibile fare jogging e rispondere a chiamate lavorative.

È invece tra le mura domestiche che prende avvio la riflessione sulla dimensione fantasmatica che pervade il cinema di Assayas e di cui è anche permeata la casa di famiglia. Se il fratello Paul decide di modernizzare la stanza che va ad abitare, Étienne, in quanto intercessore del regista, compie una regressione al grembo materno, immergendosi nella camera una volta appartenuta alla madre. Gli oggetti della casa sono esaminati nella loro densità temporale e richiamano le presenze passate di genitori, nonni e lontani antennati.

Il passato immobile dello spazio familiare è messo in relazione con il mondo esterno mediante device tecnologici o l’acquisto compulsivo di prodotti futili. L’esplorazione del passato non può quindi sottrarsi alla mediazione radicale del presente (Grusin 2017). Nel film di Assayas, saranno proprio questi stessi dispositivi ad esorcizzare la paura della morte: la compagna di Étienne ascolta un podcast in cui Jean Renoir racconta gli ultimi istanti della vita del padre; il fratello Paul ricorderà in un programma radio gli artisti musicali scomparsi nel corso della pandemia; infine anche Étienne vede sé stesso come una rimediazione di sintomi, quelli del Covid e quelli derivanti dalle proprie pulsioni. L’epilogo propone un happy end che possa mettere fine al terrore della morte: quando la figlia di Étienne scoprirà d’essere diventata ereditiera della villa di famiglia, la possibilità della scomparsa del padre non la spaventa. Che la vita continui è l’ordine naturale delle cose.

Riferimenti bibliografici
R. Grusin, Radical Mediation. Cinema, estetica e tecnologie digitali, a cura di A. Maiello, Pellegrini 2017.

Hors du temps. Regia: Olivier Assayas; sceneggiatura: Olivier Assayas; fotografia: Eric Gautier; montaggio: Marion Monnier; interpreti: Vincent Macaigne, Micha Lescot, Nine D’Urso, Nora Hamzawi; produzione: Curiosa Films, Vortex Sutra; origine: Francia; durata: 106’; anno: 2024.

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