Nella fitta vegetazione boschiva, il primissimo piano del profilo di un uomo circondato dal buio della notte assorbe completamente l’inquadratura. Il movimento umano è ridotto al minimo, eppure non può che colpire per la sua singolarità: fischiando attraverso un corno, creato con l’osso di un animale, l’uomo produce una sorta di segnale uditivo, invadendo in modo sinistro l’intera scena. Il richiamo primitivo non è solo un’apertura alle azioni filmiche, ma indirizza lo sguardo spettatoriale sugli eventi; infatti, fin dalle sequenze iniziali di Home Education. Le regole del male (2023) emerge l’idea, quasi magica, di un mondo circostante come continua riflessione del desiderio della mente umana.

Nell’esordio al lungometraggio di Andrea Niada, lo spazio naturale, cioè l’altopiano silano calabrese, trasforma la stessa terra calabra in un perfetto – quanto classico – scenario horror, trattandola come un universo magico. «I motivi che spingono a esercitare la magia sono facilmente riconoscibili: sono i desideri dell’uomo. Ora, basta semplicemente ammettere che l’uomo primitivo ha una straordinaria fiducia nel potere dei suoi desideri. In fondo tutto ciò che egli realizza per via magica deve accadere soltanto perché egli lo vuole» (Freud 2009).  Seguendo Freud, dunque, ci muoviamo nella dimensione dell’animismo che precede la fase religiosa e scientifica, ponendo come fondamenta del suo nucleo l’esistenza dell’anima.

Nella sequenza successiva, seguiamo i corpi di due donne alle prese con una semplice routine quotidiana: l’educazione di Rachel, come suggerisce il titolo, avviene nelle mura domestiche tramite il sapere materno relegando il mondo circostante al di fuori. Il contatto con il mondo esterno, e le regole umane che presuppone, spetterebbero proprio al padre di Rachel, la cui assenza dovuta ad una brutta influenza – come non manca di ripetere sua moglie Carol – costituisce un elemento stridente nell’ecosistema familiare. L’isolamento di Rachel, infatti, produce nel rapporto madre\figlia un campo di forze molto complicato, il cui dualismo, che pervade l’intera narrazione, è destinato a spezzarsi proprio a causa della sottrazione visiva creata dal corpo paterno.

Eppure, la non-presenza della figura paterna invade scenograficamente l’interno della casa, mentre il movimento della macchina da presa sembra rimarcare questa sua assenza: i dettagli dei quadri dipinti dall’uomo, degli animali impagliati e dei libri di testo, creano una mappatura interna del piano terra dell’abitazione, conducendo lo spettatore, misteriosamente, al piano di sopra. Salendo le scale, dietro una porta in legno chiusa, scopriamo che il cadavere del padre Philip giace su un vecchio lettino lontano dagli agenti esterni per essere preservato dalla decomposizione: si tratta dello stesso uomo che nell’apertura del film suonava il corno di origine animale.

Lo spazio diegetico del film crea pertanto una propria coscienza orrorifica che si sviluppa nella separazione tra i pochi corpi vivi dei personaggi e la morte che, naturalmente, li reclama. È in questa vicinanza perpetua con la morte che l’architettura narrativa del film si scinde attraverso la creazione di un dentro e di un fuori: se il primo coincide con la casa ed il mondo reale conosciuto e familiare, il secondo, invece, è un là difficilmente raggiungibile, che corrisponde alla credenza dell’aldilà.

L’anello di congiunzione tra i due mondi, come spesso accade per l’horror, è incarnato proprio dal corpo adolescenziale di Rachel che, attraverso l’oggetto feticcio del cornofischietto, è in grado di individuare l’anima del padre per guidarla all’interno del corpo, nuovamente nel mondo dei vivi. La sonorizzazione del film diventa parte integrante della riacquisizione dell’anima, assalendo rumorosamente il campo filmico attraverso il suono che si propaga dal corno: un vero e proprio urlo, che avvicina l’oggetto alle creature mitologiche che infestano i racconti popolari.

Eppure, il richiamo non basta. Ad esso deve unirsi, non soltanto il sapere quasi sensitivo di Rachel, in grado di percepire l’aldilà, ma anche il pensiero magico che lo favorisce: Rachel, pedinata dalla macchina da presa nella sconfinata cornice boschiva, deve attirare a sé l’anima paterna con la forza della sua stessa volontà, in grado di trasformare la realtà che la circonda. Nel film di Niada ogni cosa, sia essa inanimata o vivente, ha un suo legame, impossibile da recidere, con l’aldilà: è il suono stesso, come già sottolineato, ad oltrepassare fluidamente i confini tra i due mondi.

Il compito di Rachel, spinta dal duro volere materno, è quello di immettersi nell’animismo del regno naturale, per influenzare e cambiare la fine dell’essere. Tuttavia, la minaccia che turba il fragile equilibrio del dualismo madre\figlia, è la letterale intromissione del mondo negli spazi della casa, incarnata dal personaggio di Dan (Rocco Fasano), figlio del datore di lavoro di Philip. La venuta maschile dal folto del bosco cerca di insinuarsi nell’onnipotenza del pensiero della ragazza, manomettendo concretamente il suo volere, spaccandolo in due: la vicinanza di Dan a Rachel e Carol finisce per favorire una battuta d’arresto alla credenza magica, restituendo un brusco e fastidioso ritorno alla realtà, in cui un corpo morto non può che restare tale.

È così che l’arco narrativo del personaggio di Rachel finirà per raggiungere, nel terzo atto, un destino già segnato, rivelando la duplice essenza delle sue radici femminili: la ragazza dimostrerà un’appartenenza naturale ad entrambi i mondi, unendo drammaticamente interno ed esterno, reale ed aldilà, carne e sangue. Solo così si potrà favorire un rovesciamento del potere nel rapporto madre\figlia, solo così tutto l’orrore spaventoso della terra calabrese sarà libero di uscire o tornare alla vita.

Riferimenti bibliografici
P. Cowdell, Practicing Witchcraft Myself During the Filming. Folk Horror, Folklore, and the Folkloresque, Vol.78, No.4, Western States Folklore Society, 2019.
S. Freud, Totem e Tabù, Bollati Boringhieri, Torino 2009.

Home Education. Le regole del male. Regia: Andrea Niada; sceneggiatura: Andrea Niada; fotografia: Stefano Falivene; interpreti: Julia Ormond, Lydia Page, Rocco Fasano; produzione: BlackBox Multimedia, Indiana Production, Warner Bros, Calabria Film Commission, SquareOne Productions; distribuzione: Warner Bros; origine: Italia; durata: 100′; anno: 2023.

Tags     Calabria, Freud, horror
Share