High Fidelity fu per Nick Hornby il romanzo d’esordio, pubblicato nel 1995 in Gran Bretagna (in Italia nel 1999 con il titolo Alta fedeltà) con notevole successo quantitativo e qualitativo: il critico del Guardian lo definì un «libro pop nel miglior senso della parola» e anche un «instant classic». Si trattava della storia di un trentenne degli anni ottanta a Londra, musicofilo al punto da gestire un negozio di dischi, turbato dagli alti e bassi delle relazioni sentimentali e portato a interpretare e ordinare la vita intera attraverso il filtro ossessivo della forma-canzone, come testimoniato da questo passo del romanzo: «Le persone più infelici che conosco, dico in senso amoroso, sono anche quelle pazze per la musica pop; e non sono sicuro che la musica pop sia stata la causa della loro infelicità, ma so per certo che sono persone che hanno ascoltato canzoni tristi più a lungo di quanto non siano durate le loro tristi storie».

Fin dal titolo, il lessico del musicofilo si fonde con le parole della vita: “High-Fidelity”, con la nota contrazione Hi-Fi, è l’espressione che ha indicato per molti decenni l’insieme dei componenti di un impianto stereofonico di qualità per la riproduzione musicale; la fedeltà però è anche il problema delle relazioni sentimentali finite male, che il protagonista del romanzo organizza narrativamente in una classifica delle cinque storie finite peggio, in accordo con una tipica mania classificatoria degli appassionati di musica (i migliori dischi del decennio, i dischi che porteresti sull’isola deserta e via dicendo).

Nel 2000, High Fidelity diventa un film diretto da Stephen Frears nel pieno della sua esperienza americana (che comprende titoli come Le relazioni pericolose, Eroe per caso e Mary Reilly); la sceneggiatura, cui collabora Scott Rosenberg (firma di tanti blockbuster hollywoodiani) trasferisce l’ambientazione da Londra a Chicago e adatta al contesto anche i gusti musicali dei personaggi, interpretati da attori come John Cusack e Jack Black. Nel cast c’è anche Lisa Bonet, nota per aver recitato a lungo nella sitcom The Cosby Show (in Italia intitolata I Robinson) e in seguito per aver sposato la rockstar Lenny Kravitz. In una delle più celebri scene di Alta fedeltà, Lisa Bonet interpreta il ruolo di una giovane cantante che si accompagna al protagonista solo per una notte, dopo che lui la sente cantare in un club una cover di “Baby, I Love Your Way” di Peter Frampton.

Nella vita reale, dall’unione tra Lisa Bonet e Lenny Kravitz era nata nel 1988 una bambina, Zoë Isabella, per cui il padre aveva scritto una ninnananna da disco di platino, Flowers for Zoë, pubblicata sull’album Mama Said del 1991. Oggi Zoë Kravitz è un’attrice affermata, al cinema (X-Men: First Class, Mad Max: Fury Road) e in televisione (Big Little Lies). Proprio per l’adattamento televisivo di High Fidelity, che prevede addirittura un cambio di genere per il protagonista, la scelta cade sulla figlia di Lisa Bonet, il cui ruolo pur marginale nel film di Frears aveva comunque dato un contributo all’iconografia di questo mondo narrativo.

Oltre al cambio di protagonista, l’adattamento seriale (in 10 puntate da 30 minuti) prevede un nuovo setting, il quartiere di Crown Heights a New York; e soprattutto un differente repertorio musicale. L’orizzonte di riferimento per i protagonisti del romanzo di Hornby e del film di Frears era sostanzialmente quello del rock, una musica bianca, con saltuarie incursioni nel soul di matrice Motown. La serie High Fidelity inverte completamente l’approccio. Le showrunner Veronica West e Sarah Kucserka (provenienti dall’esperienza condivisa in Ugly Betty) si rivolgono a un consulente musicale d’eccezione (Questlove, gigante della cultura hip hop) che plasma il campo sonoro assegnandogli una dominante afroamericana, con tutte le sfumature del nero, dagli Outkast a Prince, da Tina Turner ai Bad Brains, con occasionali frequentazioni di altra estrazione, purché molto inventiva e mutante (Bowie, Zappa).

La serie, pensata originariamente per la piattaforma Disney+, è stata dirottata durante lo sviluppo su Hulu, i cui utenti sono mediamente coetanei di Zoë Kravitz e del suo personaggio. Ciò che rimane invariato, fin dal romanzo di Hornby, è l’opzione per il racconto in prima persona, che nel film di Frears e nella serie di West e Kucserka impone la rottura della quarta parete e introduce la figura dell’interpellazione. Proprio così comincia High Fidelity, con Zoë in primo piano che si rivolge allo spettatore, proponendogli la propria “Desert Island All-Time Top Five Most Memorable Heartbreaks”; da qui un flashback ci mostra la scena in cui l’ultimo fidanzato la lascia, e poi segue il primo appuntamento con un nuovo ragazzo dopo un lungo intervallo di tempo.

La serie imposta molto distintamente il tono da dramedy in base al quale, spiega Luca Barra, «le battute e l’approccio leggero della sit-com sono ampiamente ridimensionati, […] con sentimenti dolceamari che si sostituiscono agli inneschi comici». Inoltre High Fidelity assegna immediatamente alla musica un ruolo strutturale, di costruzione dello spazio sociale dei personaggi: al primo appuntamento con il nuovo ragazzo, la protagonista si ritrova a parlare del brano Dreams dei Fleetwood Mac, mettendolo in relazione agli altri brani del celebre album Rumours e alla tensione palpabile che si percepisce sotto la superficie di quella musica apparentemente innuocua. Il tutto avviene senza pedanteria, in scioltezza, e con una ripetizione dell’aggettivo “cool” usato spesso anche per intercalare, in un clima di “newyorkness” molto ricercato.

L’arena di High Fidelity è incentrata ovviamente sul negozio di dischi a Crown Heights e sull’interazione fra i due commessi, la proprietaria e la clientela, con competenza iperbolica (lo snobismo settario che contraddistingueva già il romanzo di Hornby), tematizzazione dei nuovi dispositivi digitali e molto humour, che va e riequilibrare la parte comedy rispetto alla parte drama.

La struttura episodica si compone come un mosaico di passato e presente, che esplora le relazioni concluse mentre mette a fuoco quelle nascenti, con un interessante gioco di rime interne enfatizzato dal montaggio. Lo spartito di Hornby (assecondato da Frears), molto calato nell’universo maschile del nerd, è efficacemente scompaginato da questo cambio radicale di prospettiva, e sebbene i personaggi di High Fidelity seriale tengano lo spettatore un po’ a distanza, in fondo non si comportano diversamente da quando approcciano l’acquirente nel negozio di dischi: l’acquisto devi meritarlo, e il cliente non ha quasi mai ragione.

Riferimenti bibliografici
L. Barra, La sitcom. Genere, evoluzione, prospettive, Carocci, Roma 2020.
N. Hornby, Alta fedeltà, Guanda, Milano 1999.
Playlist ufficiale delle musiche della serie televisiva High Fidelity.

High Fidelity. Ideatore: Sarah Kucserka e Veronica West (dal romanzo di Nick Hornby); interpreti: Zoë Kravitz, Jake Lacy, Da’Vine Joy Randolph, David Holmes; produzione: Midnight Radio, ABC Signature Studios; origine: Stati Uniti d’America; anno: 2020-in produzione.

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