Herzog incontra Gorbaciov: già nel titolo sta inscritto il gesto intorno al quale tutto il film è organizzato, e che si costituisce come modello della sua forma cinematografica, l’incontro, appunto. Il cinema di Herzog è composto infatti da una serie di pratiche, di gesti che di volta in volta vengono sperimentati, articolati in modo diverso. Gesti e pratiche che diventano allora forme del cinema, nuove possibilità, o declinazioni. Una di queste è sicuramente il ritratto che, nel cinema del regista bavarese non è la rappresentazione di un soggetto, né il tentativo di una descrizione di un singolo, ma è sempre un tramite, un rapporto, un corpo a corpo persino.
Il ritratto herzoghiano può essere l’immagine di un uomo irraggiungibile (perché è in prigione, come Bokassa in Echi da un regno oscuro; o perché è morto, come Bruce Chatwin in Nomad: In the footsteps of Bruce Chatwin, film realizzato successivamente a questo, ma non ancora uscito in Italia), immagine che dunque costringe lo sguardo a farsi interrogazione delle tracce, delle testimonianze, delle memorie disperse; che costringe il film a cercare un’immagine a partire da una mancanza, da una assenza.
Il ritratto, in seconda istanza, può essere specificamente l’incontro, il corpo a corpo appunto tra Herzog e il suo interlocutore – come Reinhold Messner in The Dark Glow of the Mountain –; anche in questo caso il ritratto non è mai confinato al singolo, ma ne eccede in qualche modo i limiti e diventa, anche qui, costruzione di un mondo, sia esso mentale, culturale, storico o immaginario. Questa logica (o pratica) dell’incontro è ciò che possiamo riconoscere in Herzog incontra Gorbaciov, diretto da Herzog e dal documentarista inglese André Singer (che per sua stessa ammissione ha un ruolo più defilato rispetto al regista bavarese).
Il film è appunto la descrizione di un incontro, a Mosca, tra Herzog e Mikhail Gorbaciov (che continua a vivere nella città russa proprio per dare fastidio a chi, in fondo, ne ha voluto l’allontanamento dal potere). Herzog raggiunge l’anziano statista, si siede di fronte a lui e il film ha inizio. Ed ecco che allora, parallelamente alle immagini, il gioco può iniziare, perché incontro è una parola che implica anche il gioco, stabilire delle regole, confrontarsi, rilanciarsi la parola l’un l’altro, scoprirsi. Le domande di Herzog sono puntuali o a volte spiazzano, sembrano andare in direzioni diverse. Le risposte di Gorbaciov sono lucide, ironiche, commosse, amare. Soprattutto, ogni volta, danno la possibilità a Herzog di deviare, di mostrare altro, di farle scontrare con gli eventi mondiali e la loro rappresentazione, di rileggere la Storia della fine del Novecento.
Ed ecco la sequela dei segretari del partito comunista sovietico che si avvicendano uno dopo l’altro in pochissimo tempo, raccontato come in un film chapliniano; ecco l’incontro con Reagan e gli accordi di pace per il disarmo. Ecco Raissa, la prima first lady sovietica visibile, dotata di personalità e carisma. Ecco gli attacchi, la burocrazia e i centri di potere che cercano di scalzare dal suo posto quella figura scomoda, oppure sognatrice, utopica secondo altri (rinnovare il socialismo dall’interno, l’utopia irrealizzabile). Ma ecco anche la storia personale, il piccolo paese d’origine, i ricordi della guerra (“i primi tedeschi che ho visto in vita mia facevano dolci nel villaggio vicino ed è ancora un ricordo bellissimo”), ancora Raissa, il loro rapporto, la sua morte.
Herzog ascolta, interviene, fa domande strane, a volte scomode. Le immagini scorrono, immagini d’archivio e interviste. Margaret Thatcher, Lech Walesa e altri protagonisti di quegli anni (come l’allora segretario di stato americano George P. Shultz, l’ex primo ministro britannico John Major, o la cancelliera Angela Merkel) apportano il loro sguardo, la loro visione. Essi – le loro parole – funzionano come commento, controcanto del racconto che scaturisce dall’incontro tra il cineasta e lo statista.
Come in una sorta di cortocircuito vengono in mente le immagini di un altro grande incontro tra un cineasta e un uomo di stato, La forza e la ragione (1973), in cui Rossellini dialogava in Cile con Salvador Allende. Anche lì, come in Herzog incontra Gorbaciov, tutto nasceva da una stima reciproca, da un rispetto che permise l’incontro. Ma mentre in Rossellini era il qui e ora dell’incontro a contare, erano le parole e lo scambio, il racconto di entrambi ad essere importante, in Herzog, lo si è detto, l’incontro serve ad aprire altro, a chiedersi, a interrogarsi su come disegnare il mondo in cui il soggetto è vissuto, che il soggetto ha contribuito a cambiare, in piccolo come in grande. L’archivio, le testimonianze diventano allora per Herzog il modo per riflettere, riscrivere le parole di Gorbaciov, costruire un ritratto cinematografico che sia individuale e collettivo al tempo stesso, personale e pubblico.
Emerge un teatro della Storia, una rappresentazione che attraverso le testimonianze e l’intervista a Gorbaciov accade di fronte ai nostri occhi come il racconto di una tragedia antica, una tragedia del potere che si svolge però in un momento chiave della nostra (collettiva) Storia. Gorbaciov è una figura tragica, afferma Herzog, e lo è ancora di più a partire dai suoi gesti più umani, come la passione per la cioccolata e i dolci, o la malinconia dei suoi ricordi. Come nella tradizione shakespeariana, la tragedia ha i suoi momenti comici, come il già citato racconto dell’avvicendarsi dei segretari del PCUS dopo la morte di Breznev, di cui Herzog mostra la dimensione di teatro collettivo (e qui si innesca un altro potente cortocircuito con lo straordinario State Funeral di Sergej Loznitsa, sullo spettacolo epico e tragico della morte di Stalin). Ma mentre Loznitsa svolge da tempo un lavoro in cui il cinema si pone come grande dispositivo in grado di filmare la collettività, Herzog non può non partire dai gesti e dalle parole dei suoi personaggi, che sono, o possono essere, al tempo stesso motore della Storia e vittime della stessa.
Il ritratto si svolge dunque sotto la forma del racconto. Narrare è in Herzog un altro gesto fondamentale (lo è sempre, ovvio). Ma la narrazione è qui la modalità con cui il regista costruisce un’immagine, disegna appunto il mondo. L’incontro, il ritratto, la narrazione. Tre parole che si dispiegano in modo particolare nel film e che contribuiscono a farne un’opera politica, nel senso di una interrogazione possibile della Storia, e della sua complessità.
Herzog incontra Gorbaciov. Regia: Werner Herzog e André Singer; sceneggiatura: Werner Herzog; fotografia: Richard Blanshard, Yuri Barak; montaggio: Michael Ellis; musiche: Nicholas Singer; produzione: Svetlana Palmer, Lucki Stipetic; distribuzione: A&E Networks; origine: Stati Uniti; durata: 90′.