
L’agile volume intitolato Il mondo nell’abisso. Heidegger e i Quaderni neri (Neri Pozza, 2018) appare al termine di un quarantennio di studi (fatto di saggi, edizioni critiche, convegni internazionali) che Eugenio Mazzarella ha dedicato con insistenza e continuità al pensatore tedesco. Ma anche di un concomitante confronto personale con il pensiero di questo pensatore, che lo ha condotto da un lato alla critica, alla revisione e alla verifica dell’attualità delle tesi heideggeriane (sotto il segno della felice espressione “prospettive ontiche dell’ontologia heideggeriana”), dall’altro alla maturazione di un’autonoma proposta filosofica, la cui enunciazione si è via via precisata e articolata in testi e contesti diversi, l’ultimo dei quali è il volume intitolato L’uomo che deve rimanere (Mazzarella 2017). Per restare al primo dei due versanti indicati, è opportuno ricordare, oltre alla raccolta intitolata Ermeneutica dell’effettività (1993), il contributo fondamentale di Mazzarella all’interpretazione complessiva del pensiero di Heidegger, ossia il volume intitolato Tecnica e metafisica (1981), che rappresenta uno degli studi più importanti prodotti nell’ambito del dibattito internazionale su Heidegger e ha esercitato un influsso sicuro e duraturo sugli specialisti italiani formatisi a partire dagli anni ’80.
Tale premessa appariva necessaria per intendere il duplice statuto de Il mondo nell’abisso. Da un lato, un’ennesima verifica circa la bontà e la tenuta di una prospettiva ermeneutica enunciata quattro decenni or sono. Dall’altro, un intervento agile e accessibile, ma puntuale e rigoroso, su una certa “inflessione” assunta dall’attuale dibattito sulla figura di Heidegger (non necessariamente sul suo pensiero), che travalica ampiamente l’ambito degli studi specialistici e filosofico-accademici per svolgersi, in forma talora preponderante, in ambito giornalistico e mediatico.
Rispetto ai rischi più o meno evidenti (e talora calcolati) che tale attenzione si esaurisca in una forma di marketing editoriale senza mai porsi in risonanza, anche critica, con le questioni sostanziali poste dal pensiero di Heidegger, il volume di Mazzarella prende una posizione netta e non negoziabile. Che tuttavia non va intesa come polemica “reattiva” a un liberissimo uso dei testi di Heidegger (come di qualsiasi altro autore), bensì come un monito e un appello, e insieme, ancora una volta, come una sobria nota di metodo, rispetto all’approccio che i testi filosofici richiedono, se possibile più di ogni altra forma “letteraria”. E che si può forse riformulare in questi termini: qualora sia e resti priva di un autentico concernimento, la lettura di un pensatore, chiunque egli sia (ma a maggior ragione se è un pensatore “classico”), non è semplicemente una lettura affrettata, o peggio strumentale, bensì un’attività (certo liberamente praticabile) che non arriva mai a lambire l’esercizio di filosofia e pertanto non consente a un testo filosofico di diventare quello che è, ossia di dispiegare la propria sostanza di pensiero e la propria provocazione al pensiero.
Di quale “inflessione” si tratta? Lo ricordano le note di copertina che accompagnano Il mondo nell’abisso: «Con la pubblicazione nel 2014 dei tre volumi dei Quaderni neri si è di nuovo proposta una querelle classica della vicenda di pensiero di Martin Heidegger: “Heidegger e la politica”. Più precisamente: “Heidegger e il nazismo”. E più ancora: “Heidegger e gli ebrei”». A fronte di una rinnovata (e ovviamente del tutto condivisibile) denuncia di responsabilità e/o carenze umane, politiche, morali di Heidegger – che all’inizio degli anni ’30, come molti intellettuali tedeschi, guardò dapprima con interesse e poi con partecipazione all’ascesa politica del nazionalsocialismo, fino ad accettare nel 1933 l’incarico, simbolicamente cruciale (anche a livello internazionale), di Rettore dell’Università di Friburgo, per poi dimettersi l’anno seguente –, la prospettiva di Mazzarella è insieme quella di una riconduzione dei cosiddetti Quaderni neri al loro preciso statuto filologico (in ciò recependo, sebbene senza alcuna passività e tenendosi a debita distanza da qualsiasi sterile difesa d’ufficio, alcune indicazioni del curatore tedesco delle opere di Heidegger), ma anche quella della loro opportuna ricollocazione cronologico-storiografica nell’ambito della vicenda speculativa heideggeriana. Il che significa anche, al contempo, della loro portata teoretica, posto che quest’ultima va sempre raccordata alla sua specifica modalità enunciativa, a sua volta legata ai diversi tornanti del “cammino di pensiero” heideggeriano. E questo, tra molte altre cose, distingue l’approccio di uno studioso da altri utilizzi, di per sé del tutto legittimi, di un corpus di discorsi scritti che continuiamo a chiamare col nome proprio di un filosofo (“Heidegger”), ovvero a considerare la traccia a noi accessibile della sua esperienza filosofica (“il pensiero di Heidegger”).
E allora, di cosa si parla, quando si parla dei Quaderni neri? Nella sostanza, questo “titolo” dalle risonanze un po’ sinistre, deriva banalmente dal colore della tela cerata, all’epoca piuttosto diffusa, che rivestiva i numerosi quaderni ai quali Heidegger affidò le sue annotazioni in un arco di tempo ultradecennale (dal 1931 al 1969). Esso non rinvia né a uno stile unitario, né a un testo sistematico, né a una continuità speculativa. Presenta anzi un novero di temi di impressionante eterogeneità, in cui si mescolano, ad annotazioni quasi cronachistiche (e spesso di sconfortante banalità) sul mondo contemporaneo e sulle sue tendenze, singole messe a punto di carattere filosofico, affidate ad appunti, chiarimenti, considerazioni retrospettive, passaggi polemici e altro ancora. Non siamo, dunque, di fronte ad alcuna “opera”, né tantomeno a una qualsivoglia unità di discorso, che come tale implicherebbe un minimo di omogeneità cronologica ed enunciativa.
In questo quadro, trarre addirittura dallo “zibaldone” dei Quaderni neri un’interpretazione complessiva del pensiero che Heidegger affidò a “formati” ben diversi – dai grandi testi editi ai molti trattati inediti, dai grandi cicli di lezioni alle numerose conferenze –, costituisce già di per sé un’operazione dubbia. Poiché inoltre la loro pubblicazione è ancora in corso e dovrà occupare, secondo le previsioni, gli ultimi nove dei 102 volumi della Gesamtausgabe, un bilancio di tale forma di scrittura, quasi “diaristica”, così come dei suoi contenuti e della sua eventuale incidenza speculativa, appare da un certo punto di vista prematuro, ma da un altro già predeterminato, se non addirittura morto sul nascere.
Ciononostante, ne Il mondo nell’abisso, Eugenio Mazzarella accetta di misurarsi con le tesi più provocatorie sorte in seno al dibattito suscitato dalla pubblicazione dei primi tre volumi dei Quaderni neri, e in particolare con quelle relative al problema dell’“antisemitismo” di una parte della cultura tedesca ed europea, che vedrebbe Heidegger tra le sue fila, ben oltre l’antigiudaismo teologico che pure ha caratterizzato la sua formazione e più in generale una parte non secondaria della storia culturale occidentale, segnata in tutto e per tutto dal cristianesimo, tanto sul versante del cattolicesimo romano, quanto su quello del protestantesimo. La strategia di Mazzarella è meno quella di ricorrere a circostanze biografiche fin troppo note – dal rapporto personale di Heidegger con Hannah Arendt al suo magistero nei confronti di pensatori come Karl Löwith o Hans Jonas –, che non quella di analizzare i pochi e ambivalenti passi dei Quaderni neri redatti tra gli anni’30 e l’inizio degli anni ’40, ai quali ci si dovrebbe richiamare, nella ricostruzione di taluni interpreti, per formalizzare finalmente una vera e propria accusa di “antisemitismo” nei confronti di Heidegger.
Con tutto il portato, ovviamente, che tale accusa dovrebbe poi veicolare con sé, per coerenza minima, in termini di discriminazione razziale (così paradossale per un pensiero limpidamente anti-biologistico come quello di Heidegger) o di riduzione dell’esperienza speculativa ad esperienza politica (secondo un paradigma, di per sé assolutamente legittimo, ma ancora una volta paradossale, e fondamentalmente inapplicabile, per un pensiero che, al contrario, è rimasto, per gran parte della sua vicenda, su posizioni ingenuamente “platoniche”, se così possiamo ancora definire uno schema culturale in cui il “pensiero” è ciò che precede, la politica è ciò che segue, quand’anche quella volontà di precedere destinasse il pensiero allo scacco della sua inefficacia politica, come mostra a sufficienza il corso del 1934/35 intitolato Gli inni di Höderlin “Germania” e “Il Reno”, che tenta invano un ascolto di parole ormai già del tutto sequestrate dalla propaganda del potere).
È allora tale svolta nell’ineffettuale, nell’analisi proposta da Mazzarella, a dover tenere finalmente il centro del discorso filosofico, che diventa un pensiero solo più preparatorio. Né le ambivalenti annotazioni sull’“auto-annientamento” degli ebrei, né tantomeno le “accuse” di pensiero calcolante, sradicamento globale, oblio dell’essere, nichilismo rivolte alla cultura (teologica e antropologica) ebraica non meno che a quella cristiana, russa o americana, valgono a definire e a circoscrivere il luogo dei “pensieri” che Heidegger affida, talora in modo “notturno”, alle annotazioni degli anni ’30 e dei primi anni ’40 comprese nei Quaderni. La vera radice di questi testi rabbiosi e quasi “apocalittici”, va contestualizzata piuttosto entro una resa dei conti radicale (e anche “personale”) di Heidegger con l’intera contemporaneità, secondo un approccio assai diverso, negli accenti e nei contenuti, dalla giovanile ermeneutica dell’Oggi o dalla storicità ontologico-esistenziale di Essere e tempo. Un approccio che spinge Mazzarella a parlare del “puro abisso” (donde il titolo del volume) di un “anatema gnostico” rivolto non solo al presente, bensì, ormai, alla storia in quanto tale, e di per sé non privo di avvitamenti psicologico-esistenziali che in parte deflagreranno nel tracollo seguito alla catastrofe bellica e all’estromissione dall’insegnamento universitario.
Un anatema che, non solo per Mazzarella, ma per Heidegger stesso, si rivela filosoficamente insostenibile, e che viene finalmente lasciato alle spalle soltanto a partire dagli ultimissimi anni ’40, allorché Heidegger transita oltre l’esserci individuale dell’analitica esistenziale e oltre l’esserci comunitario (il popolo tedesco degli anni dell’impegno “filosofico-politico”), per accedere infine a un discorso sull’“umanità globale” dell’età della tecnica. All’interno della quale – ma qui occorrerebbe entrare a fondo nella prospettiva interpretativa complessiva di Mazzarella – Heidegger coltiva un rapporto assai ambivalente con la “storicità”. Da un lato tornando a farsi carico pienamente, e anzi come mai prima d’allora, dell’Oggi, ovvero del presente nel suo momento storico più estremo e più incidente sui destini di tutti (la tecnica). Dall’altro reincludendo la storia stessa all’interno di un modo di stare al mondo, il quale (dalla techne dei Greci all’“impianto” contemporaneo) si rivela fin dal principio “tecnico”. Ma al quale, paradossalmente, si deve e forse si può, oggi, “sfuggire”, soltanto “restando” al suo stesso interno. Ossia prendendo sul serio, con Hölderlin, il fatto che “laddove il pericolo è” – ovvero si dispiega in modo essenziale, e dunque non semplicemente dove c’è pericolo – “cresce anche ciò che salva”.
Questo elemento salvifico, che salva solo se viene salvaguardato, e che può essere scorto anche se non è integralmente a disposizione dell’uomo (di cui piuttosto definisce e delimita, nel suo avvento, l’umanità possibile, cioè la forma di esistenza e insieme di resistenza), è ciò che Heidegger, non solo sulla scorta di Hölderlin, chiama, in tutta semplicità, il “mondo”, intendendolo come l’insieme raccolto e il tenue rapporto tra “cielo e terra, mortali e divini”. Ed è questo mondo, come ricorda in più luoghi Mazzarella, a poter ancora “lampeggiare” nell’impianto tecnico dell’età globale, e soltanto in esso. È cioè questo il mondo al quale Heidegger fa cenno anche nei termini dell’Evento che sta al centro dell’ultima fase del suo pensiero, che è anche quella, per Mazzarella come per noi, più promettente e più “attuale”, configurando, nell’esperienza di un dichterisches Denken (ossia di un pensiero che insieme parla e tace, e dunque dice in un registro differente, insieme distinto e non separato, alternativo e non autosufficiente, rispetto ai molteplici linguaggi della tecnica) l’unico e forse l’ultimo “compito” ancora a disposizione di un’umanità che “deve rimanere”.
Riferimenti bibliografici
E. Mazzarella, Il mondo nell’abisso. Heidegger e i Quaderni neri, Neri Pozza, Vicenza 2018.
Id., L’uomo che deve rimanere, Quodlibet, Macerata 2017.
Id., Ermeneutica dell’effettività, Guida, Napoli 1993.
Id., Tecnica e metafisica, Guida, Napoli 1981.
*in copertina Hitler – Un film dalla Germania (Syberberg, 1977).