Una grande confusione sotto i cieli, ma una situazione per niente eccellente. Il famoso detto di Mao sulle possibilità rivoluzionarie offerte dai tempi caotici non sembra più valere per gli strani giorni in cui viviamo: si potrebbe riassumere così il messaggio lanciato da Slavoj Žižek nel suo ultimo lavoro, Heaven in Disorder, tradotto in italiano per i tipi di Ponte alle Grazie. In quella che è a tutti gli effetti una raccolta ragionata degli ultimi interventi sull’attualità più stringente del filosofo sloveno, apparsi in Rete e sulla carta stampata dal 2020 ad oggi, assistiamo – come e più che in passato – a un tentativo di posizionamento nel dibattito ideologico sulla crisi (sanitaria, climatica, economica, culturale geopolitica) che ci attraversa. Diversi sono i bersagli polemici di Žižek, a partire da un atteggiamento di fondo che egli stesso definisce il «coraggio della disperazione», riprendendo il titolo di un suo testo del 2017.
Nell’evoluzione della posizione di Žižek rispetto alla pandemia di COVID-19, dallo «stato di emergenza paneuropeo in cui viga una disciplina rigorosa e l’economia sia subordinata in funzione dei nostri mali», una sorta di «“comunismo di guerra”» (Žižek 2022, p. 18), invocato alla fine del 2020, si passa, con l’acuirsi della seconda ondata, all’enfasi sulle conseguenze psico-sociali del perdurare dell’emergenza. Viene giustamente evidenziato come «dalla paura siamo passati alla depressione. […] Tale senso di disorientamento è determinato dal fatto che l’ordine chiaro della causalità ci appare perturbato» (ivi, p. 23). Non possiamo non concordare con queste affermazioni, osservando lo Zeitgeist. È questo il sentimento che si respira, ad esempio, in due documentari italiani costruiti a cavallo tra la prima ondata pandemica e il senso di confusione e malessere che ne è seguito in virtù della recrudescenza del virus: Molecole (2020) di Andrea Segre e Futura (2021) di Pietro Marcello, Francesco Munzi e Alice Rohrwacher rappresentano perfettamente il senso di sgomento, seguito dalla frustrazione e dal difficile adattamento alla nuova, dolorosa situazione, in termini esistenziali.
Quello che viene documentato attraverso questi spaccati del presente, è nientemeno che l’ingresso nell’epoca del postumano, di cui Žižek ha trattato diffusamente in Hegel in a Wired Brain (2020). Tornando al testo del 2022, quando si parla di postumanità, c’è principlamente in gioco «l’atteggiamento di fondo nei confronti della vita umana» (ivi, p. 25). È su questo terreno che Žižek ingaggia battaglia con alcuni teorici, noti per le loro posizioni problematicamente “divergenti” rispetto all’analisi dell’emergenza Covid. Ovviamente il riferimento più immediato è a Giorgio Agamben; per quest’ultimo, «se accettiamo le misure governative per combattere la pandemia, di conseguenza abbandoniamo lo spazio sociale aperto in quanto nucleo del nostro essere-umani e ci trasformiamo in macchine per la sopravvivenza isolate, controllate dalla scienza e della tecnologia al servizio dell’amministrazione statale» (ibidem). A questa visione, che porta alle estreme conseguenze la cornice di pensiero biopolitica in spregio al dato di realtà, Žižek si oppone recisamente, contrapponendo alla libertà di morire agambeniana il dovere di vivere intensamente.
Mentre Agamben paventa l’abolizione dell’uomo in nome della vita, Žižek vede bene come abolire la vita in nome dell’uomo – o, in altre parole, in nome di una vuota libertà di morire, staccata dalla responsabilità sociale del legame d’amore –, porti infine ad abolire l’uomo: «Se la medicina è abolita in nome della libertà, l’unica libertà che resta è quella di morire». Il richiamo di Žižek è alla canzone dei Rammstein Dalai Lama, e in particolare ai versi: «Avanti, avanti nelle rovine. / Dobbiamo vivere finché non moriamo». È questo imperativo morale, lo stesso che risuona ne Il cimitero marino di Paul Valéry (“Si alza il vento, bisogna tentare di vivere”), a segnare la tensione etico-politica della risposta žižekiana all’interrogativo leniniano Che fare? in questi tempi drammaticamente nebulosi. C’è bisogno di una spinta disperatamente coraggiosa o coraggiosamente disperata, che tende all’avvenire piuttosto che al futuro, in quanto «futur è qualunque cosa succeda dopo il presente, mentre avenir punta verso un cambiamento radicale» (ivi, p. 29).
Il compito per l’avvenire è per noi quello di fare l’impossibile (ivi, p. 41), perché fare il possibile non basta in un’epoca caratterizzata da instabilità e imprevedibilità, nel senso che Albert Camus, ne Lo straniero, attribuisce all’avvenire quando parla di «annate che non erano ancora venute» e di «annate non meno irreali che stavo vivendo». Non è un caso che queste parole di Camus siano presenti in esergo al film di Segre. Il tempo emergenziale è quello dell’irruzione dell’evento, che è virale, biologico, climatico, digitale, e assume i tratti di una violazione e di uno stravolgimento radicale dell’umano, ponendoci di fronte a una responsabilità che non è quella di una specie tra le altre, ma di una sorta di custodi della vita sul pianeta. Ciò proprio in virtù dell’irreversibile mescolanza tra naturale e artificiale, in quello che è ormai un mondo dominato da “iperoggetti”, secondo la definizione di Timothy Morton. Su queste premesse, per Žižek, «dobbiamo accettare che siamo una delle tante specie sul pianeta, ma al tempo stesso dobbiamo agire come supervisori della vita sulla Terra» (ivi, p. 77). Questa “vocazione universalistica” è assegnata dal pensatore sloveno anche all’Europa, purché la si intenda in un senso assolutamente non eurocentrico. Solo svuotandosi di qualsiasi residuo post-coloniale, l’Europa può infatti porsi come soggetto politico “universalistico” in grado di ispirare processi emancipatori globali, a livello di politiche sanitarie, climatiche e di costruzione della pace.
Torniamo al nesso ecologia-salute, tema decisivo del volume qui esaminato. Il rapporto tra catastrofe ecologica ed emergenze pandemiche si rivela a conti fatti centrale, se pensiamo al fenomeno dello spillover (“salto di specie”) e alla sua decisività per l’emergere di nuovi patogeni da agenti virali precedentemente legati ad altre specie. Tout se tient, ed è per questo che il compito dell’essere umano si configura allo stesso tempo come titanico e segnato dall’accettazione della nostra fragilità. È una dimensione agonica dell’esistenza, per cui Žižek può dire, con profonda empatia: «C’è qualcuno più vivo oggi dei milioni di lavoratori sanitari che, in piena coscienza, rischiano la vita tutti i giorni? Molti ne sono morti, ma finché non sono morti erano vivi. Non solo si sacrificano per noi. E ancor meno sono macchine di sopravvivenza ridotte a nuda vita. Oggi sono i più vivi di tutti» (ivi, p. 52).
Non si può immaginare una maggiore distanza da Agamben. Žižek aderisce, appunto con il coraggio della disperazione, a quello che mi azzardo qui a definire un “sentimento tragico della vita”. Non che manchi, però, un orizzonte per questo “scontro quotidiano”, per dirla con Manu Larcenet. Žižek parla infatti di un “Grande Reset”, un nuovo inizio che però sia un vero cambiamento, e non una semplice patina progressista che metta da parte le rivendicazioni sociali misconoscendo l’intreccio tra le lotte. Un vero risveglio, dunque non da intendersi nei termini limitati di quella che oltreoceano viene definita «cultura woke» (ivi, p. 327). È su questi temi, come su quelli legati alla cultura femminista, che, però, Žižek si muove su un terreno sdrucciolevole, rischiando degli scivoloni. E tuttavia, anche in questi ambiti, non manca di fare le debite puntualizzazioni.
È questa attenzione particolare al non venir associato in alcun modo alle posizioni dell’alt-right e della destra populista che contraddistingue a dire il vero quest’ultimo lavoro žižekiano, ed è una novità a dire il vero gradita, visto il rischio costante di equivoco cui si sono esposti alcuni suoi saggi, articoli e interventi sui media nel recente passato. Queste doverose cautele e precisazioni costellano anche i capitoli dedicati alla crisi ucraina. Pur sottolineando le responsabilità globali di tutte le super-potenze – dipinte, con le parole di Mao, come «tigri di carta», ma estremamente pericolose proprio per la loro «fragilità narcisistica» –, ed altresì evidenziando alcune ombre nelle vicende storiche più o meno recenti dell’Ucraina, si tratta tuttavia per Žižek di non transigere su un’affermazione fondamentale: la Russia si è resa responsabile di una brutale aggressione a un paese sovrano: «Certo, c’è una complessità, ma rimane il fatto fondamentale: è stata la Russia» (ivi, p. 376). Difficile essere più netti e chiari.
Non è questa lezione di “semplicità” la morale di fondo del film Don’t Look Up? Un monito al “credere ai propri occhi” che è poi la traduzione del lacaniano Les non-dupes errent: bisogna credere alla potenza dell’ovvio e non farsi avvitare nella spirale perversa della post-verità e del complottismo, che fanno solo il gioco di ideologi come Aleksandr Dugin, filosofo di corte di Putin. Chi crede di svelare l’inganno – les non-dupes –, è in realtà il più sciocco perché è il più ingannato, finendo, come nel caso dei no vax, per mettere a repentaglio la propria salute e quella altrui: «Ecco dove risiede il potere materiale dell’ideologia […] Ci inganna proprio mentre ci mette in guardia contro gli inganni» (ivi, p. 94). Proprio per questo Žižek è in disaccordo anche con la spiegazione marxista ad opera di Fabio Vighi dei presupposti economici della gestione della pandemia in termini di politiche di salute pubblica. Secondo Vighi, afferma Žižek, misure come il lockdown o i programmi di vaccinazione di massa sarebbero stati introdotti come rimedio alla crisi dei mercati finanziari. Ma questo non può essere affermato senza cadere in qualche modo in una perversione dei rapporti causali.
Žižek vede giustamente un fatto fondamentale: non è che il capitale sfrutti le catastrofi sanitarie ed ecologiche o addirittura le crei ad arte – secondo un’impostazione tipica dei teorici del complotto o dei profeti delle post-verità –, ma piuttosto la crisi sanitaria e quella ecologica sono conseguenze complesse delle contraddizioni immanenti del nostro modello di sviluppo (ivi, p. 90). In altre parole: il lockdown non è stato messo in atto per risolvere una crisi finanziaria, ma per cercare di porre un argine a una pandemia dilagante, le cause del cui insorgere sono sicuramente complesse e legate alle caratteristiche dell’Antropocene, e come tali andranno scientificamente studiate.
Scrive Francesco Bianconi nel recente brano Perduto insieme a te: «La fede è già crollata da un po’ […] / e tutti i giorni piove malinconia […] / E naufrago in aumenti d’entropia». Sembra essere questa la condizione in cui viviamo, disperatamente cercando di sentirci “soli ma insieme”, di non sentirci “insieme ma soli”. Sta qui la differenza tra la deriva di un post-umano che cancelli le relazioni e la ricerca coraggiosa, pur in una realtà straniante, di legami di solidarietà. È questa, forse, la cifra autentica del cristianesimo ateo di Slavoj Žižek.
Riferimenti bibliografici
S. Žižek, Hegel e il cervello postumano, Ponte alle Grazie, Milano 2021.
Slavoj Žižek, Guida perversa alla politica globale, Ponte alle Grazie, Milano 2022.