Parafrasando un modo di dire comune, “è passato un secolo” dal verificarsi simultaneo dei seguenti fattori: un pensatore e autore che si intende al dettaglio di matematica (e di teologia, filosofia e arte), se ne serve per interpretare un passaggio della poetica dantesca (il canto XXXIV dell’Inferno), mostrarne la sorprendente connessione (e dunque l’anticipazione) con la “nuova” relatività einsteiniana, al fine di esprimere una originale «visione olistica del mondo» (Florenskij 2021, p. 55) medievale e contemporanea insieme e, proprio per questa, essere perseguitato e infine fucilato dal regime politico (Soviet) del proprio stato. “È passato un secolo” letteralmente parlando, ma anche metaforicamente o, per dirla à la Florenskij, immaginariamente.
I fatti sono i seguenti. Nel 1922 il filosofo, teologo e matematico Pavel Florenskij (1882-1937) pubblica a Mosca un esile libretto dal titolo Mnimosti v geometrii. Opyt novogo istolkovanija mnimostej [“Gli immaginari in geometria. Tentativo di una nuova interpretazione degli immaginari”] la cui gestazione è durata esattamente vent’anni: i §1-7 risalgono al 1902, quando Florenskij studiava alla facoltà di Matematica e Fisica alla Prima Università di Mosca; il §8 è stato aggiunto nel 1921 quale generalizzazione dei risultati dei paragrafi precedenti; infine, con l’occasione della pubblicazione nel 1922, aggiunge il §9 e un “Commento alla copertina del libro” commissionata da lui stesso all’artista russo Vladimir Favorskij, docente e collega al Vchutemas dal 1921 al 1924. Nell’edizione italiana del volume recentemente uscito per Mimesis, dal titolo Gli immaginari in geometria. Estensione del dominio delle immagini bidimensionali nella geometria, magistralmente curato da Andrea Oppo e Massimiliano Spano, troviamo anche, in ultimo, la lettera che Florensnkij scrisse il 13 settembre 1922 alla Censura di Stato per chiarire i «malintesi» derivati dal suo testo.
Di cosa si trattava? Di per sé i primi otto paragrafi del testo presentano una ricerca ultra-specialistica del giovane Florenskij matematico: trasformare «tutti i […] contenuti analitici in immagini geometriche» (ivi, p. 22), in particolare i numeri complessi c, ossia quelli composti da una parte intera a, b e una parte immaginaria i = √-1, tale che c=a+ib. Non solo i numeri, ma anche le figure da essi costruite, quelle con il valore dell’area negativo (facilmente ottenibile nel piano cartesiano canonico cambiando l’ordine dei vertici della forma). La rappresentazione standard dei complessi è quella di Gauss e Cauchy che assegna alle ascisse il valore immaginario e alle ordinate il valore reale. Florenskij intende costruire una rappresentazione che riguardi l’intero spazio complesso e le sue proprietà, non solo i punti, le linee e le figure, concepite nel metodo standard appartenenti solo ad una metà dello spazio reale, e dunque in uno spazio diviso. La soluzione è geniale: il piano complesso non è una parte del piano reale, ma un piano ad esso speculare, simmetricamente invertito: la faccia “superiore” è quella convenzionalmente caratterizzata secondo le proprietà dei numeri reali, positivamente; quella “inferiore” invece negativamente.
Le proprietà geometriche di questa superficie sono tali che i numeri semi-immaginari (con coordinate a, ib) non sono collocati su nessuna delle due facce ma “internamente” al piano (geometricamente risultano dall’intersezione di una retta sul piano reale con una retta sul piano immaginario). Un punto complesso viene infine rappresentato come una intersezione o un passaggio da una superficie all’altra del piano e dunque a seconda della loro natura, immaginaria, semi-immaginaria, complessa o reale, i punti avranno una collocazione superficiale, immersa o tagliata sul piano.
L’esplicitazione che ne fa Florenskij commentando l’immagine della copertina è illuminante: la faccia di superficie (i reali) è quella che si ha guardando una tavoletta di legno o rame incisa: vi saranno rilievi e scavi, zone più e meno illuminate. La faccia inferiore (gli immaginari) è quella che si può sentire tastando con i polpastrelli il retro della tavoletta, dove ogni incisione sulla superficie avrà una profondità, una concavità, una asperità, e viceversa. Ecco, il piano immaginario è come se fosse l’altra faccia del piano reale, la sua dualità rovesciata. Tra i due piani la discontinuità, attraversabile semmai attraverso “porte” e “passaggi” dall’una all’altra dimensione (i numeri complessi).
Il punto critico del testo non riguarda questa ricerca di geometria analitica, ma l’aggiunta del §9 dedicato alla concezione dello spazio nella Divina Commedia di Dante. Commentando Inferno XXXIV, Florenskij cerca di ricostruire su base matematica lo spazio fisico su cui si muove Dante, riconoscendo in esso una geometria non euclidea detta ellittica, ovvero uno spazio nel quale viene meno il V postulato di Euclide (l’assioma delle parallele) ma anche il II che implica l’infinità della retta. Lo spazio cosmico della Commedia è infatti, per Florenskij, un piano di Riemann, contenente rette chiuse, e la sua superficie è unilatera, ossia con la perpendicolare che su di essa si muove, capovolta. Ne è prova proprio il viaggio di Dante e Virgilio al punto più basso dell’Inferno, dopo una lunga discesa ad imbuto con i piedi rivolti verso la terra e la testa al cielo: fin quando
lo duca, con fatica e con angoscia,
volse la testa ov’elli avea le zanche (Inferno XXXIV, 78-79).
Dante e Virgilio ruotano su se stessi per riprendere la salita del Purgatorio ed uscire, dall’altra parte dell’emisfero, “dritti”, ossia con i piedi a terra e la testa in cielo. Essendo avanzati sempre in linea retta ed essendosi capovolti una sola volta lungo il percorso, i due poeti riescono così ad arrivare al luogo di partenza nella stessa posizione in cui l’avevano lasciato.
«Diventa ovvio», conclude Florenskij «che questa superficie è una superficie di Riemann» (Florenskij 2021, p. 57): ovvero una superficie che contiene rette chiuse e, in quanto capovolge la perpendicolare che su di essa si muove, è unilatera. Lo spazio di Dante «è stato costruito secondo un tipo di geometria ellittica» (ivi, p. 58) e «questo fatto», scrive Florenskij, «getta una luce inaspettata sulla concezione medievale della natura finita del mondo», che ha una recentissima nuova interpretazione relativistica secondo la quale «lo spazio deve essere interpretato proprio come uno spazio ellittico e riconosciuto come finito, così come il tempo» (ibidem).
Il passaggio da una superfice all’altra, dunque, non è impossibile, così come si può rompere la barriera del suono o, in linea teorica, superare la velocità della luce. “D’altra parte” vi sarà un altro spazio, non meno reale di quello reale: se in matematica è il piano immaginario, in Dante è il Cielo o Empireo, ossia “l’altra faccia” del mondo e «la Divina Commedia si ritrova inaspettatamente davanti, e non indietro, alla scienza moderna» (ivi, p. 63). Proprio per questa rivalutazione della cosmologia tolemaica medievale, contrapposta allo sviluppo del materialismo dialettico marxista, Florenskij sarà osteggiato e, in ultimo, ucciso.
Dicevamo, “è passato un secolo” da tutto questo e la situazione della ricerca intellettuale sembra, per dirla nella metafora, “rovesciata” rispetto all’approccio florenskijano. Non siamo malinconici del regime che censura e fa violenza, ma di un modo di penetrare la realtà: specialistico e al contempo olistico; analitico e allo stesso tempo sintetico; non ascrivibile ad alcun settore iper-specialistico accademico, ma aperto ad una visione globale del mondo, in cui Dio, la Terra e il Cielo son connessi e si può ancora speculare su di essi. Un approccio di ricerca effettiva sul Reale, che non sia mera compilazione di bibliografia secondaria e terziaria. Forse questo è appannaggio di pochi, i cosiddetti “Grandi”, i “Geni”, che rompono, appunto, le barriere del “già pensato” e del “già detto”. Ma rinunciare del tutto a questo approccio nelle Università (persino nelle Scuole), nei Centri di Ricerca, nelle pubblicazioni scientifiche, è segno di bidimensionalità, piatta e asettica, dell’intelligenza di oggi.
Riferimenti bibliografici
F. Gay, I. Cazzaro, Disegnate riflessioni e riflessioni sul Disegno: le “anti-prospettive” degli astrattisti e dei realisti ai VchuTeMas, in “Diségno”, n. 6, 2020.
A. Oppo, Se la misura di un corpo è un numero immaginario. Florenskij e il concetto di spazio in dante, in “Theologica & Historica. Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna”, n. 24, 2015.
Pavel Aleksandrovic Florenskij, Gli immaginari in geometria. Estensione del dominio delle immagini bidimensionali nella geometria, Mimesis, Milano 2021.