Roberto Esposito è senza dubbio uno dei filosofi che ha contribuito a dare forma alla scena del pensiero italiano contemporaneo. La ripresa originale da Michel Foucault del concetto di biopolitica è la stella polare della la sua riflessione. Il compendio di questo percorso di pensiero torna oggi in un’edizione aggiornata. Si tratta di Termini della politica (2018) che l’editore Mimesis ha deciso di ripubblicare in due volumi: il primo dal titolo Comunità, immunità, biopolitica; il secondo Politica e pensiero. L’ambizione che accompagna questo testo non è solo quella di presentare un paradigma di pensiero, ma anche di indicare implicitamente un prima e un dopo nella riflessione dell’autore. Sta al lettore dare un nome a questa svolta, come tenterò di fare senza pretesa di esaustività alla fine dell’articolo.

Il libro ha una struttura ibrida: per metà saggio e per metà “enciclopedia filosofica”. Il concetto di biopolitica è un termine ombrello abbastanza largo, sotto il quale è possibile far rientrare uno spettro di fenomeni e di discipline piuttosto ampio. Fin dalla pubblicazione di Communitas nel 1998, Esposito individua due criteri per definire il suo approccio alla biopolitica. Il primo, condiviso con una linea di ripensamento del concetto foucaultiano di biopolitica che ha inizio con Giorgio Agamben (1995), è quello di valorizzare la polisemia del termine “vita”, che dice molte cose diverse. Sotto questo profilo la filosofia biopolitica resta nell’alveo della decostruzione del pensiero greco inaugurata da Martin Heidegger e proseguita autonomamente dai suoi allievi. Anzi, Esposito, al pari di Agamben, convoca una pensatrice politica del calibro di Hannah Arendt (1964) per ricordarci che in greco “vita” si dice sia bios, la vita qualificata – ad esempio, per l’essere umano la vita nella polis – sia zoe, la “nuda vita” biologica che sembra affacciarsi per la prima volta come categoria politica nel saggio giovanile di Walter Benjamin Per la critica della violenza (1962).

Il secondo criterio è più importante, perché definisce in modo specifico l’orizzonte del progetto filosofico di Esposito. Il filosofo napoletano ha ripetutamente affermato, ad esempio in Bios (2004), di voler distinguere tra “biopotere negativo” – che trova nella “tanatopolitica” dei totalitarismi, cioè nell’arrivare a concepire l’immunizzazione della comunità solo nei termini di uno sterminio di tutti gli elementi avvertiti come una minaccia alla sua purezza – e “biopolitica affermativa” (Esposito 2004). In Termini della politica l’alternativa è posta tra una biopolitica sulla vita e una della vita. È forse l’affermazione filosoficamente più originale e feconda di Esposito. È anche quella che l’autore affida a una promessa di successivi sviluppi. Ed è di conseguenza una tra le piste che possiamo seguire per tentare di comprendere il senso della svolta nel pensiero di Esposito. Va aggiunto che accanto alla forma enciclopedica il testo mantiene quella saggistica. Non si tratta di una enciclopedia filosofica nel senso sistematico di Hegel; piuttosto, siamo di fronte a una sorta di Encyclopédie della vita umana sub specie politica. Tuttavia, il rigore del pensiero è addolcito dallo stile dell’essai, del tentativo, della prova, del saggiare l’oggetto su cui si riflette.

In questo andamento coerente ma libero possiamo cogliere alcune indicazioni sul significato dell’impresa filosofica di Esposito. La più importante riguarda a mio avviso quello che si potrebbe definire il movente che ha dato avvio a tale impresa, rintracciabile in una certa insoddisfazione – non esplicitamente affermata, ma chiaramente percepibile – per la scena filosofica a lui coeva, in particolare in quell’area di studiosi che si collocano a cavallo tra il post-strutturalismo francese e la sua ricezione italiana. Esposito cita un nome, quello di Jean-Luc Nancy, e il titolo del libro che all’epoca sollevò un dibattito tra gli addetti ai lavori, La comunità inoperosa (1992). Da una parte, la discussione dei concetti di munus, communitas e immunitas svolta da Esposito era ancora coerente con le premesse del discorso di Nancy, il quale – al tramonto delle ideologie capitaliste e operaiste del Novecento, vincolate alla centralità politica della produzione o del lavoro (dunque dell’opera) – tentava di pensare il legame comunitario come qualcosa di dato al soggetto, indipendentemente dal dispiegamento di qualsivoglia “ragione operativa”. Epperò nella riflessione di Nancy c’è ancora un residuo trascendentale, qualcosa dell’ordine di una ricerca del Mitsein originario, che Esposito intendeva superare.

Si può dire che la potenza del dispositivo di pensiero di Esposito sta proprio in questo: egli non è un filosofo della critica, nel senso di una ricerca delle condizioni di possibilità della vita comune o dell’agire politico; è, piuttosto, un filosofo della crisi, nel senso di chi fa i conti con il dissolvimento di una determinata forma di vita comune e si dispone a osservare ciò che ne resta, in vista della costruzione di una nuova forma. Non è un caso se tra i classici del pensiero politico moderno torni costantemente su Thomas Hobbes. È seguendo questa pista, a mio giudizio, che dobbiamo cercare il senso della svolta interna al pensiero di Esposito, di cui il secondo volume di Termini della politica dà testimonianza, facendo non a caso riferimento fin dal titolo al rapporto tra politica e pensiero.

Questo rapporto è concepito da Esposito tutto sotto il segno della genealogia: è segnatamente il modo in cui il concetto, anzi il dispositivo, della persona è entrato nel linguaggio giuridico e politico occidentale con i romani e si è sviluppato in chiave teologica con l’avvento del cristianesimo (Esposito 2007). Si tratta di dispositivi, più che di concetti, perché al filosofo napoletano interessano le logiche di presa sulla realtà e di trasformazione della medesima che vengono in tal modo dispiegati. Egli impegna la filosofia italiana – non solo la propria, ma un’intera tradizione, insieme a una linea di pensiero a venire – nel dare seguito a questa concezione del fare filosofia. Proprio il pensiero italiano fornirebbe, tra le diverse tradizioni europee, quella più attenta a cogliere le potenzialità del contingente senza chiudersi in un sistema. Non sfugge l’ambizione di questo programma, che dunque non può dirsi concluso, bensì solo avviato. Termini della politica non è una sintesi ma un programma di lavoro.

Riferimenti bibliografici
G. Agamben, Homo sacer, Einaudi, Torino 1995.
H. Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1964.
W. Benjamin, Angelus novus, Einaudi, Torino 1962.
R. Esposito, Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi, Torino 1998.
Id., Bios, Einaudi, Torino 2004.
Id., Terza persona. Politica della vita e filosofia dell’impersonale, Einaudi, Torino 2007.
J.-L. Nancy, La comunità inoperosa, Cronopio, Napoli 1992.

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