Hai mai raccontato la tua storia?”, chiede il regista Jonas Rasmussen. “No”, risponde Amid Nawabi, profugo afgano che adesso vive a Copenaghen. Tuttavia, l’uomo, fin da subito, appena arrivato in Europa, ha dovuto raccontare una storia, che ha fatto propria nonostante si discostasse dalla realtà dei fatti accaduti. Amin, infatti, si è attenuto a raccontare quello che il trafficante che ha organizzato il viaggio gli ha ordinato, al fine di ottenere l’asilo, ovvero di aver perso l’intera famiglia, uccisa nella traversata durata più di un anno. “Questa storia mi colpisce anche se non è vera, piango in modo incontrollabile, le lacrime continuano a scendere”, confessa l’uomo al regista.

Passati più di quindici anni, ormai Amin è inserito nella comunità danese, si è ambientato, padroneggia la lingua e sembra lanciato verso la carriera accademica in una prestigiosa Università statunitense. È pronto, dunque, a restituire una nuova testimonianza attraverso un processo di rielaborazione dell’accaduto. Risulta inoltre necessario revisionare la storia passata dal momento che il diario che aveva scritto, in cui c’erano anche gli appunti su quello che doveva dire, comincia a diventare illeggibile, una traccia labile verso l’oblio. Dopo tanti anni, Amin ha difficoltà a leggere il Dari così come a decifrare la calligrafia di quando era adolescente. Se nella maggior parte dei casi, l’animazione nel cinema documentario viene utilizzata per ricostruire e ricreare eventi, episodi storici che non sono stati documentati o di cui la documentazione non è più disponibile, in Flee questo approccio fantasmatico nella rimessa in scena dell’accaduto occorre anche a celare la vera identità del protagonista, i suoi tratti, il suo volto e il suo nome.

Il film predilige prevalentemente quella che Roe (2013) definisce mimetic substitution, che si distingue dalla non-mimetic substitution e dalla interpretive function del documentario animato. Tuttavia, nonostante in prevalenza l’animazione mimi la realtà, per accedere al passato e per figurare specifici contenuti dislocati, frammentari e fantasmatici della memoria traumatica viene adottato un approccio antimimetico. Decostruendo il legame indessicale tra l’immagine animata e il suo corrispettivo referenziale, il film riflette su un rispecchiamento dell’esperienza traumatica, per natura, secondo la concezione proposta dalla scuola di Yale, irrappresentabile (Caruth 1996), un evento non assimilato cognitivamente nel momento del suo accadimento.

Amid ritorna con la memoria ad alcuni dei momenti più dolorosi del suo viaggio da Mosca a Copenaghen, l’arresto del padre in Afghanistan o i trafficanti che caricano uomini, donne e bambini nei container per attraversare il Baltico. L’immagine del trauma in questi casi è un’immagine distorta, parziale, figure in bianco e nero prive di lineamenti, sfocate, frammentarie come la memoria traumatica. In merito alla produzione del ricordo di un evento traumatico, Janet Walker conia il termine disremembering, ovvero ricordare con una differenza, il che consiste in un processo caratterizzato da immagini e suoni mentali relativi ad eventi passati ma alterati per certi aspetti. I falsi ricordi e le costruzioni fantasmatiche nella memoria sono parti e suddivisioni del processo, elementi fondamentali nella riconciliazione e ri-elaborazione del passato traumatico. La memoria traumatica presenta quindi uno scenario fantasmatico di forme ibride, un terreno friabile dove la produzione del ricordo non coincide con una realistica registrazione degli eventi trascorsi. L’utilizzo dell’animazione porta, oltre che all’abiezione della pretesa apparente di oggettività fornita dal cinema documentario, una riflessione sulle forme di figurazione dell’esperienza traumatica, la sua natura temporale ritardata e latente, difficilmente riconducibile ad uno schema narrativo lineare.

Come per Valzer con Bashir (Folman 2008), La strada dei Samouni (Savona 2018), o Ancora un giorno (de la Fuente, Nenow 2018), ad esempio, l’animazione instaura inoltre un rapporto dialogico e intermediale con l’immagine di repertorio, che si differenzia dalla prima per formato e risoluzione, richiamando un archive effect (Baron 2013). L’animazione diventa terreno di esposizione e strumento autenticativo (Montani) per i servizi dei telegiornali e network occidentali che raccontano prima la guerra civile in Afghanistan, dopo il ritiro delle truppe sovietiche, poi le morti di profughi nella rotta baltica.

Nel finale, ad alternarsi con l’immagine animata non c’è più un filmato di repertorio che mostra il conflitto o la sofferenza dei profughi. Di spalle vediamo Amin e il fidanzato Kasper, giusto per un attimo prima che escano dall’inquadratura. Sentiamo ancora le voci dei due uomini fuori campo mentre stanno andando a raccogliere dei lamponi nel bosco davanti alla loro abitazione. La macchina da presa si sofferma sulla calma di un paesaggio bucolico, che circonda la casa acquistata dalla coppia, pronta a trascorrere il futuro insieme. Amin nel ri-raccontare la propria esperienza, procede infatti sia verso l’elaborazione del trauma dovuto alla fuga dalla guerra e dalla miseria, sia verso l’accettazione della sua sessualità, pronto a ri-prendere in mano la propria vita e la propria storia.

Riferimenti bibliografici
J. Baron, The Archive Effect: Found Footage and the Audiovisual Experience of History, Routledge, London-New york 2013.
C. Caruth, Unclaimed Experience, Johns Hopkins University Press, Baltimore-London 1996.
P. Montani, L’immaginazione intermediale. Perlustrare, rifigurare, testimoniare il mondo visibile, Laterza, Bari 2010.
A.H. Roe, Animated Documentary, Palgrave Macmillan, London 2013.
J. Walker, Trauma Cinema. Documenting Incest and the Holocaust, University of California Press, Berkeley 2005.

Flee – Flught. Regia: Jonas Poher Rasmussen; sceneggiatura: Jonas Poher Rasmussen, Amin Nawabi; fotografia: Mauricio Gonzalez-Aranda; montaggio: Janus Billeskov Jansen; musiche: Uno Helmersson; interpreti: Daniel Karimyar, Fardin Mijdzadeh, Milad Eskandari; produzione: Sun Creature, Final Cut for Real; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: Danimarca; durata: 97′; anno: 2021.

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