«Non si sfugge all’aderenza al proprio corpo» (Stimilli 2023, p. 142) scrive Elettra Stimilli in Filosofia dei mezzi. Per una nuova politica dei corpi (Neri Pozza, 2023). Di fronte all’espansione incontrollata delle tecniche di controllo della vita e dei corpi (la gestione medico-amministrativa della pandemia di Covid-19 non ha fatto che rendere evidente quanto da anni stava già succedendo), di fronte al predominio mondiale di una economia prevalentemente finanziaria, astratta e disincarnata, di fronte, infine, all’ossessione generalizzata per quello che chiamiamo, con una espressione terribile, il “nostro” corpo, ebbene i corpi sono finalmente in campo.

Per questa ragione non possiamo più fare finta che i corpi siano solo un “mezzo” di cui possiamo liberamente disporre. In questo senso il libro di Stimilli è una riflessione filosofica sui “mezzi”, e in particolare sul “mezzo” più importante di tutti, il corpo. Un corpo da intendere, appunto, non come strumento per fini e progetti che può solo subire, al contrario, sul corpo – e anzi sui corpi, ché i corpi sono sempre insieme ad altri corpi – come agente autonomo. Ma perché parlare di corpi e non di soggetti politici? Proprio le manifestazioni in Iran, seguite alla morte di Mahsa Amini il 16 settembre 2022, mettono in evidenza che la nuova politica non può che partire dai corpi. Sono le masse dei corpi che impauriscono le polizie (e le organizzazioni sanitarie), perché i corpi incarnano una potenza elementare, concreta, massiccia, che non sa che farsene di parole e astrazioni. I corpi ci sono. Ma questo significa che i mezzi non sono mai, soltanto, mezzi: «Mezzi sono il concetto filosofico che rende invisibili i corpi in una logica che non li contiene – sia essa quella dei fini ultimi o quella strumentale» (ivi, p. 106). Ché i corpi siano visibili, allora.

Mettere al centro i corpi significa, prima di tutto, mettere al centro le vite reali degli esseri viventi, vite che sono sempre situate e sessuate. Perché non esiste il corpo, ma esistono appunto i corpi, ognuno con una sua voce caratteristica e inconfondibile. Ma questo significa mettere in discussione una tradizione metafisica, assorbita inconsciamente dalla psicologia e oggi dalle scienze cognitive, che separa la mente dal corpo, e che lo assoggetta alla prima:

Il corpo è luogo senza luogo, fragile materialità che ci dà forma. Sensibilità che si impone e ci appartiene, da cui dipendiamo e che da noi dipende. Il rapporto con questa dimensione non può che essere ambiguo e altalenante. Sicuramente difficile. Non è un caso che nel mondo occidentale abbia prevalso una sua semplificata elaborazione, che vede in gioco due dimensioni nettamente distinte – il corpo e l’anima, il corpo e l’intelletto – di cui l’una, considerata superiore, o più forte, deve trovare il modo di dominare l’altra. Per quanti tentativi l’anima abbia fatto per liberarsi dal corpo, ci ritroviamo sempre e comunque schiacciati in esso (ivi, p. 139).

Si tratta, allora, da un lato di ricostruire una tradizione di pensiero che assegna al mezzo, a soprattutto al corpo, una funzione soltanto strumentale, e dall’altro di provare a immaginare una politica basata sulla libertà dei corpi e la intrinseca creatività dei corpi. Si tratta di liberare i corpi dalla presa di una politica, e di un regime economico, che vede sempre i corpi in vista di qualcos’altro, come mezzi, appunto, per raggiungere un fine. Serve una “teleologia senza fini”, come diceva Benjamin: “l’intento” del libro «è quindi quello di puntualizzare lo statuto cruciale che può essere assunto dai mezzi autonomizzati dalla logica finalistica, che li ha dominati nella metafisica e nella visione della storia con cui il mondo occidentale si è autoimposto» (ivi, p. 12). Ma che significa, realmente, “autonomizzare” i corpi? Si pensi al corpo più immenso che ci sia, il mondo naturale. Per la tradizione metafisico-finanziaria che modella le nostre esistenze e i nostri pensieri, l’unico modo per pensare la natura è come mezzo – come risorsa economica, soprattutto – per realizzare i nostri fini.

Il corpo della natura – non a caso spesso identificato con il corpo femminile, oggetto di un analogo processo di sfruttamento come mezzo per la riproduzione della specie – esiste solo per noi, non è appunto nient’altro che un mezzo. O si pensi, appunto, al caso del corpo femminile, non a caso oggi vero e proprio campo di battaglia politica, corpo la cui funzione principale deve comunque essere la riproduzione (le politiche antiabortiste di molti stati autoritari lo affermano esplicitamente). Corpi solo come mezzi per fini che non hanno scelto e non possono mettere in discussione. Ecco perché per la nostra tradizione metafisica:

La natura non può da sola realizzare il suo stesso fine ultimo. Non è cioè la natura che realizza la libertà, ma il concetto di libertà che si realizza nella natura. In questo senso bisogna “usare la natura come mezzo” per realizzare in essa la libertà. L’attuazione della libertà nel mondo sensibile ha origine, per Kant, da un’attività originale e inventiva dell’‘uomo’ in grado di usare la natura come mezzo: tale attività è la cultura (ivi, p. 78).

La cultura e la natura, lo spirito e la materia, la mente ed il corpo. Per spezzare questi dualismi occorre, allora, prima di tutto liberare i corpi:

Dare visibilità alla materialità dei corpi, alla loro sessuazione, vuol dire allora seguire le orme di un cantiere aperto ormai da tempo e potenziare la forza politica di mezzi, implicitamente presenti nel discorso dominante, ma resi invisibili o neutralizzati, in vista di una radicale ridefinizione della politica e di un agire all’altezza dei tempi. Imprescindibile, da questo punto di vista, è l’ottica di genere […] in quanto campo trasformativo in grado di riarticolare dinamiche di potere e culture politiche differenti, senza mai perdere di vista il corpo come “principio sessuato” di divisione della società, matrice di un dominio – quello maschile sulle donne – teso a trasformare il fatto corporeo del sesso in un dominio naturale, simbolicamente valorizzato come criterio di organizzazione sociale (pp. 106-107).

In questa operazione di liberazione svolge un ruolo fondamentale il pensiero femminista, proprio perché è questa tradizione che ha saputo per prima pensare la non universalità del soggetto umano (che in realtà è l’universalizzazione nascosta del soggetto maschile bianco e ricco), il suo carattere incarnato, locale, sessuato. Solo restituendo ai corpi la loro intrinseca potenza, a partire dal corpo della natura, sarà possibile immaginare una politica diversa. Ecco perché un corpo liberato dalla condizione di semplice mezzo implica anche – è l’altra faccia di una stessa operazione – la critica un “un soggetto che”, invece, «si vuole sovrano, che agisce liberamente e valuta le sue azioni in base all’intenzione e agli scopi a esse sottese; che si autodefinisce universale, pur coincidendo, in realtà, con il modello di soggettività che l’uomo bianco occidentale ha dato di sé, determinando per secoli il suo predominio sul mondo» (ivi, p. 85).

Corpi senza padrone, terribili e imprevedibili, finalmente liberi. Solo un corpo del genere, in effetti, sembra in grado di sfuggire alla presa della razionalità economica e amministrativa che, invece, non ammette alcuna resistenza alla sua presa: «Scardinare la logica finalistica […] vuol dire allora minare dall’interno la struttura attraverso cui l’uomo bianco occidentale ha costruito la sua preminenza sulla natura e sulla storia, vuol dire compiere una vera e propria rivoluzione […]; un lavoro di resistenza e di trasformazione, in cui lo spazio pubblico non può essere tale senza che il privato sia già politico» (ivi, p. 104). Questa è una precisazione importante, perché il corpo non più mezzo non è un corpo “naturale” (non dimentichiamo che la Natura è il mezzo per eccellenza, e che tutte le volte che si parla di corpo naturale si vuole costringere le donne all’unico ruolo di riproduttrici), al contrario, è un corpo sempre in relazione con altri corpi, e quindi è sempre un corpo sedizioso e contaminato, un corpo politico appunto.

Corpi del genere sono in realtà “corpi mutanti”, insieme ai quali «potremmo […] contribuire alla formazione di strutture in interazione costante con il divenire della natura. […] Ma che ne sarà allora del rapporto tra gli umani e gli ambienti naturali? Quali le risorse per possibili nuove interazioni? E soprattutto quale politica all’origine di una nuova sessuazione dei corpi?» (ivi, pp. 143-144). A queste domande non si può rispondere che come facevano Deleuze e Guattari in Mille piani: “sperimentate”. I corpi, finalmente:

Un enorme processo è in atto, dilagante. Sta dando forma a un nuovo ordine simbolico della politica, mai univoco, antigerarchico, che ha immesso nel circolo delle significazioni la presenza attiva dei corpi. È composto da soggetti multiformi, soggetti imprevisti, che esistono da sempre, ma che oggi sono espressione di un’autonomia difficile da arginare. Basti pensare alle donne che, nel 2022, hanno invaso senza velo le strade delle città in Iran. Il cambiamento è radicale, forse avrà bisogno di tempo, ma non si arresterà (ivi, p. 204).

Elettra Stimilli, Filosofia dei mezzi. Per una nuova politica dei corpi, Neri Pozza, Roma 2023.

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