Felicità è il film d’esordio da regista di Micaela Ramazzotti, attrice che ha dato un contributo estremamente riconoscibile al cinema italiano degli ultimi quindici anni. Il film racconta un anno nella vita di una parrucchiera che lavora sui set cinematografici, Desirè, interpretata dalla stessa Ramazzotti, autrice anche della sceneggiatura in collaborazione con Alessandra Guidi e Isabella Cecchi.

La storia si sviluppa in un arco temporale individuato, sfrondato da ellissi e interpolato da grafiche informative che restituiscono l’avvicendarsi dei mesi. In tal senso, Felicità è strutturato come un film-calendario, un diario dell’incomprensione e della disaffezione, in contrasto con il suo titolo che non ha niente a che vedere con la ricerca della felicità della commedia, di cui ci ha parlato Stanley Cavell, ma sembra più affine a L’esilio e il regno di Albert Camus. In quest’ottica, la vita della protagonista è un esilio da sé, una condizione di transito perenne, nel tentativo vano di accedere a quello che Camus chiama il Regno (della possibile felicità).

Ambientato nella Roma del presente, Felicità si apre con una panoramica verticale che ci mostra un set cinematografico, mostrandoci subito la protagonista della vicenda. Questo processo di individuazione marca l’intero sistema dinamico della ripresa, con la camera che esplora costantemente gli spazi alla ricerca di Desirè, ora avvicinandosi a lei, ora allontanandosene. La dinamica che intercorre tra la donna e la macchina da presa si riflette nel continuo e rapido movimento che ella percorre tra i luoghi abitati dagli altri personaggi del film, nel transito permanente tra l’abitazione dei genitori, l’appartamento del compagno e le diverse situazioni ospedaliere del fratello, senza dimenticare il set cinematografico presso cui lavora. Il problema drammaturgico, evidente sin da subito, è dunque un problema spaziale, che consiste nell’estenuante tentativo di conciliare tre realtà umane molto lontane fra loro: la sua chiusa famiglia d’origine, il fragile rapporto con il compagno e infine l’ambiente lavorativo.

La protagonista proviene da una famiglia disfunzionale in cui il legame fra genitori e figli sembra basato non tanto su rapporti di complicità affettiva quanto su conflitti e negoziati di natura economica. Questo complesso rapporto è sottolineato su un piano luministico dalla fotografia di Luca Bigazzi, che costruisce forti contrasti e colori desaturati per le scene familiari in interni. Al contrario, in esterni la protagonista appare isolata, inquadrata staticamente in campo lungo: quando la mente di Desirè non è occupata dalle vite degli altri, anche il suo corpo si ferma. Per il resto, le relazioni interpersonali di Desirè disegnano il già descritto moto perpetuo da un interno all’altro, attraverso una serie di spazi che incasellano e perimetrano i rapporti.

Il padre di Desirè, interpretato da Max Tortora, incolpa i figli del proprio fallimento e dunque impone loro il dovere di sostenerlo economicamente. La madre è un personaggio irrisolto, nostalgico della sua vita passata, o della versione edulcorata che le piace immaginare; cerca allora di colmare i suoi vuoti nell’unico modo che conosce, riaffermando il suo ruolo di madre, anche se questo significa sostituirsi ai medici nella prescrizione di farmaci al figlio minore Claudio (Matteo Olivetti), che porta sulle spalle il peso di anni di silenzio rispetto a un ambiente familiare ormai intollerabile. Il ragazzo arriva a tentare il suicidio, ed è proprio a partire da questo gesto che emerge il contorto quadro familiare di Desirè, unico sostegno pragmatico e affettivo del fratello.

Mentre i genitori negano la delicata situazione del figlio, cercando di alleggerirsi la coscienza, Desirè investe le sue energie e le sue finanze nel tentativo di allontanarlo dal contesto familiare, affidandolo a un centro specializzato. Proprio nella sala d’attesa dell’ospedale dove è ricoverato Claudio, osserviamo il funzionamento della rappresentazione costruita da Felicità: per restituire la chiusura ermetica dei genitori di Desirè, la macchina da presa si avvicina al padre, intento a sparlare delle persone in attesa; al carrello in avanti fa seguito un movimento circolare che isola geometricamente il personaggio e i suoi familiari. La macchina da presa dunque circoscrive esplicitamente il trio composto dai genitori con Desirè nel mezzo, per poi allontanarsi nuovamente nella direzione opposta con un carrello all’indietro nel momento in cui il medico li interpella e l’attenzione del padre è ancora una volta attratta al di fuori della propria bolla familiare.

L’altro polo spaziale del film è costituito dalla relazione sentimentale, anch’essa in crisi, tra Desirè e il compagno Bruno (Sergio Rubini), professore universitario in feroce contrasto con la famiglia e le origini di lei. Bruno appare come l’unico personaggio che prova ad aprire gli occhi a Desirè sulla condizione di sfruttamento economico a cui la sottopone il padre. L’uomo, però, non perde mai occasione per esprimere quanto si vergogni della compagna rimarcando la diversità dei loro mondi di provenienza e lamentandosi di come il loro rapporto si esaurisca nella mera attrazione sessuale. Anche in questo caso le scelte di messa in quadro cercano di connotare la natura del rapporto di coppia.

L’appartamento di Bruno e Desirè è infatti uno spazio marcatamente tridimensionale, esplorato da lunghi e frenetici carrelli che assecondano la tensione tra i personaggi. Non si tratta però necessariamente di movimenti subordinati agli attori; più spesso i soggetti si svincolano dalla macchina da presa, che rimane a distanza, restituendo le due figure reinquadrate dalle cornici delle porte, come se l’uomo e la donna fossero ormai intrappolati in ruoli di facciata e non più di sostanza. A sottolineare, non senza ridondanza, il distacco tra Desirè e Bruno è un’altra inquadratura significativa che li immortala in primo piano seduti sui sedili posteriori di un’autovettura, mentre guardano in direzioni diametralmente opposte. Se la preposizione costitutiva del sentimento amoroso è il “tra-due”, non data per sempre ma in costante oscillazione, questa parte del film si concentra sul “cadere in disuso” del “tra”, e dunque su quella che Roberto De Gaetano chiama «l’aggressività reattiva dell’uno» (De Gaetano 2022).

Desirè è in fondo una persona, una donna che esiste per gli altri, e vive per raggiungerli e accedere agli spazi in cui vivono arroccati. Il film ci offre una traduzione sintattica di questa difficoltà esistenziale. Pensiamo soprattutto a tre sequenze costruite dal montaggio di Jacopo Quadri. Nella prima, Desirè e Bruno discutono di notte sotto un porticato illuminato soltanto dalle vetrine dei negozi; uno stacco lievemente fuori asse sposta Desirè verso sinistra, lasciando Bruno al centro dell’inquadratura. La seconda sequenza vede la donna alla ricerca del fratello, in preda a un’angoscia che viene trasmessa, prima ancora che dalla microdrammatica del volto, da un montaggio spaesante di poche e brevi inquadrature girate da angolazioni completamente diverse, come se la donna perdesse traccia dei suoi stessi movimenti. Nella terza sequenza, Desirè, intenta a scendere dall’auto, fa appena in tempo a sfiorare la portiera che l’inquadratura cambia e la vediamo camminare già per strada, come se le mancasse sempre il tempo, come se il tempo non le bastasse mai.

Il costante, impossibile tentativo di aggregare ciò che non vuole essere aggregato si sfalda nella parte finale del film; il flusso dromomaniacale che sembrava dare un senso alla vita di Desirè si interrompe. Ora la donna dovrà andare alla ricerca di quel Regno che è «amore di vivere acquistato attraverso la caduta» (Leparulo 1975), e allora il fallimento della sua rincorsa verso gli altri sarà (forse) la premessa per la sua felicità.

Riferimenti bibliografici
A. Camus, L’esilio e il regno, tr. it., Bompiani, Milano-Firenze 2018.
R. De Gaetano, Le immagini dell’amore, Marsilio, Venezia 2022.
W.E. Leparulo, Albert Camus a Praga e a Vicenza, “South Atlantic Bulletin”, 40, 1 (1975), pp. 9-14.

Felicità. Regia: Micaela Ramazzotti; sceneggiatura: Micaela Ramazzotti, Isabella Cecchi, Alessandra Guidi; montaggio: Jacopo Quadri; interpreti:  Micaela Ramazzotti, Max Tortora, Anna Galiena, Matteo Olivetti, Sergio Rubini; produzione: Lotus Production con Rai Cinema; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia; durata: 104′; anno: 2023.

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