Nella prima sequenza di Falcon Lake, un corpo galleggia nel lago evocando un’atmosfera mortifera: sembra senza vita fino a quando, in un balzo, si rianima espirando. È il corpo di Chloé, enigmatica e spigliata ragazza di sedici anni che trascorrerà le vacanze estive con la sua famiglia in Québec; qui incontrerà Bastien, un taciturno ragazzo di qualche anno più piccolo col quale inizierà un romantico rapporto di amicizia.

Una vacanza estiva in Québec, con le proprie famiglie, è il luogo d’incontro per due ragazzi che divengono il simbolo da un lato dell’ingresso nell’adolescenza e, dall’altro, della fuoriuscita. “Annegare è una sensazione fantastica” afferma Chloé, ed è anche lo stato d’animo che i due condividono: una sensazione di soffocamento, causata dalla transizione, dall’essere in bilico tra la vita e la morte, tra rinascere o lasciarsi andare. In entrambi i casi, l’adolescenza è un punto di rottura nel dispiegamento della storia del soggetto: è il travalicamento di una soglia che confina da un lato con l’esplosione del desiderio della vita e, dall’altro, con il suo placarsi nella morte.

La dimensione della vacanza, nella storia del cinema, ha sempre rappresentato l’alterità rispetto al quotidiano: un tempo sospeso che predispone a un’atmosfera di leggerezza, lasciando emergere da essa sempre un qualcosa di perturbante. La regista, mescolando le atmosfere rohmeriane con quelle del cinema horror, racconta la perdita dell’immagine di sé e l’irruzione del corpo pulsionale come dei movimenti soffocanti del processo di identificazione adolescenziale. L’oscurità non familiare, all’interno della dimensione intima della famiglia, emerge fin dalle prime sequenze dell’ingresso nello chalet: la mancanza della luce, la polvere e, successivamente, l’incombere del temporale, designano un’atmosfera spettrale e fantasmatica.

Il livello del fantasmatico, come condizione a cavallo tra la vita e la morte, è evidente non solo nell’atmosfera (la fotografia, i rumori, la colonna sonora), ma soprattutto negli snodi narrativi e nei dialoghi dei protagonisti: la storia del fantasma che Chloé continua a raccontare a tutti, il cervo morto che Bastien incontra per strada, l’ossessione per il sangue che dovrebbe fuoriuscire dal morso alla mano, la foto in cui Chloé vuol fingere di esser morta e il classico travestimento da fantasma che spaventa Bastien. I dialoghi divengono momenti in cui i due ragazzi ragionano sulle soglie, sui confini, in un movimento anticipatorio dello stesso finale: “Pensi che lo diventerai?” “Un fantasma?” “Non credo tu possa scegliere”.

Cosa simboleggia in un film coming of age la dimensione evanescente del fantasma? Fin da Freud, l’immaginario è composto da phantasien (termine tedesco tradotto in italiano in fantasie o anche in fantasmi), cioè da scene che fanno parte della storia dell’individuo sin dai primi momenti della sua vita. Esse sono immagini mentali che forgiano l’immaginario umano nella vita diurna cosciente, nei sogni notturni e in qualunque scenario immaginativo. Come ricordano Menarini e Montefiori, è complesso parlare di immaginario se non si conosce la distinzione tra immaginario etiologico e immaginario simbolopoietico. È di nostro interesse, in questo caso, l’immaginario simbolopoietico che, al contrario di quello etiologico (patologico, in quanto deriva dalla mancata risoluzione del complesso edipico), è creativo e permette l’espressione della propria realtà psichica, divenendo la base della costruzione della propria identità personale.

Nella zona liminale, attraversata dai due protagonisti, il fantasma è la necessità di re-inventare il loro immaginario simbolopoietico: i desideri, le paure, le incertezze vengono simbolizzate in immagini, storie, gesti e ossessioni ricorrenti (come far sanguinare la mano attraverso un morso). È grazie alla creazione di configurazioni visive e narrative che, i soggetti, interpretano i significati affettivi dei comportamenti propri e altrui.

Secondo una prospettiva lacaniana, l’asse dell’immaginario è il modo in cui ognuno costruisce il proprio modo di esistere in rapporto alle proprie rappresentazioni immaginarie che si producono sempre nel rapporto che il soggetto ha con gli altri che lo circondano. Chloé è per Bastien l’Altro che permette di costituire il proprio fantasma, un singolare schema inconscio, attraverso il quale il ragazzo articola il suo desiderio. «Diciamo che il fantasma, nel suo uso fondamentale, è ciò grazie a cui il soggetto si regge a livello del proprio desiderio evanescente, evanescente perché la stessa definizione della domanda gli sottrae il suo oggetto» (Lacan 2002, p. 633). Il fantasma si crea da sé, determinando la vita del soggetto, ma il suo essere punto fermo dell’invenzione soggettiva, non gli impedisce di essere determinato sempre dall’Altro e nell’Altro.

In definitiva, il fantasma fondamentale che infesta il Falcon lake è la linea del destino di Bastien e di Chloé: la creazione dell’immaginario assume, però, una forma negativa, in quanto è funzionale al soggetto al fine di compensare una carenza del Reale. L’eccesso del Reale emerge dalla superfice del lago come un’ombra che l’esplosione della vita si porta inevitabilmente dietro. Nonostante l’improvvisa scomparsa di Bastien, Chloé non sarà più sola: “Avrà sempre il suo fantasma”.

Riferimenti bibliografici          
R. Menarini, V. Montefiori, Nuovi orizzonti della psicologia del sogno e dell’immaginario collettivo, Studium, Roma 2013.       
J. Lacan, La direzione della cura, in Scritti, Einaudi, Torino 2002.

Falcon Lake. Regia: Charlotte Le Bon; sceneggiatura: Charlotte Le Bon. François Choquet; fotografia: Kristof Brandl; montaggio: Julie Lena; musiche: Klô Pelgag; interpreti: Joseph Engel, Sara Montpetit, Karine Gonthier-Hyndman, Monia Chokri; produzione: Cinefrance, Ley Line Entertainment. Sons of Manual; origine: Francia, Canada; durata: 100’; anno: 2022.

Share