Facciamoci Sentire! Manifesto per una nuova ecologia, così viene tradotto e pubblicato in Italia per Einaudi l’ultimo lavoro del recentemente scomparso filosofo Bruno Latour, scritto con l’aiuto del giovane Nikolaj Schultz. Il titolo è di stampo rivoluzionario e richiama il carattere di pamphlet, è infatti evidente la trasmissione di un’esigenza etica e politica. Come se tale lavoro costituisse l’ultimo tentativo dell’eclettico Latour di indirizzare la nostra attenzione sulla necessità di lottare per un avvenire migliore. Sennonché, è il sottotitolo che si avvicina maggiormente all’originale francese, ossia, Mémo sur la nouvelle classe écologique. Leggendolo non è possibile non pensare che il tono sia assai meno pretenzioso, come se Latour prima di lasciarci, quasi con un’apparente timidezza, ci avesse ricordato ancora una volta ciò che andò ricercando per tutta la sua vita, come se sapesse che questo era il suo ultimo gesto e che sta adesso a noi sopravvissuti decidere di ascoltarlo o meno. Il messaggio che il libello veicola è grossomodo il seguente: è necessario suscitare una nuova classe ecologica, o classe geosociale, che sia cosciente di sé e capace di affrontare le esigenze conseguenti l’intrusione di Gaia.

La stretta complicazione che articola politica ed ecologia era già stata segnalata fin dall’antecedente Politiche della natura; laddove il principale compito politico era definito come «composizione progressiva del mondo comune» (Latour 2000, p. 11). Il mondo deve essere prodotto attraverso un’operazione di composizione. Nell’universo latourriano la natura non è data a priori, non esiste indipendentemente dall’azione umana, come sfondo inerme a nostra disposizione, quanto piuttosto si deve immaginare una natura agente e diveniente, che si forma di pari passo alla composizione dei collettivi. Societas sive natura (ivi, p. 253). Ciò che Latour intende per natura è in realtà Gaia, nuova immagine del globo, termine introdotto dal chimico britannico Lovelock nel 1979 e successivamente ripreso da gran parte dei pensatori interessati alle questioni ecologiche, come appunto Bruno Latour o Isabelle Stengers. Attraverso gli studi di Lovelock emerge come sia ormai stata superata l’idea di un Mondo, o Sistema Terra, per approdare a quella di Gaia, “entità” di difficile definizione. Si potrebbe dire che Gaia è il risultato dell’implicazione reciproca delle molteplici agency – umane e non- presenti nella realtà, fa saltare in aria la distinzione tradizionale tra Natura e Cultura. Gaia è la figura che consente di superare tutte le polarizzazioni possibili, permettendo così di pensare la profonda implicazione di ogni organismo con l’ambiente che lo circonda e con gli altri organismi.

Comunque sia, all’interno del suo ultimo pamphlet, il filosofo francese riprende in maniera chiara e concisa molti dei temi trattati precedentemente. Come si è detto, l’obiettivo è chiaramente pratico e politico, ciò che preme è il risvegliare i suoi coetanei, smuoverli dalla loro inazione e renderli capaci di superare l’immobilità che dilaga in merito alle questioni ecologiche. Il messaggio di Latour porta con sé una chiara idea di speranza, non dobbiamo ritenere di non poter più far nulla, come vorrebbero farci credere certi politici pessimisti, quelli che Deleuze avrebbe forse chiamato i militanti tristi. Siamo portati a pensare ciò solo per colpa della mancata presa di coscienza di ciò che realmente siamo. Nelle parole di Latour: «non siamo più esseri umani nella natura, ma esseri viventi in mezzo ad altri esseri viventi in libera evoluzione con e contro di noi, che partecipano tutti allo stesso processo di terraforming» (Latour 2023, p. 39).

Per parlare di una nuova classe geosociale cosciente di sé stessa sarà allora necessario prendere atto del fatto che l’uomo non è un essere privilegiato all’interno della natura, ma che al contrario egli è un vivente circondato e costituito da una molteplicità di altri viventi che co-evolvono insieme a lui, e in tale operazione di co-abitazione e co-evoluzione consiste proprio la terra-formazione di Gaia. Ecco perché Gaia potrebbe essere il nome col quale riferirsi al nuovo rapporto che si va ad instaurare col territorio, una posizione non più di sfruttamento, ma di alleanza. Ed è proprio la possibilità di un’alleanza a permetterci di poter ricostruire il nostro rapporto con l’ambiente che ci circonda, a portarci a parlare di una nuova ecologia, la quale è immediatamente già politica.

Qualsivoglia azione diviene possibile solo successivamente a questa presa di coscienza che Latour definisce come un vero e proprio cambiamento di cosmologia. Il ragionamento potrebbe sembrare paradossale e bizzarro: come può essere che diveniamo finalmente capaci di sciogliere le catene che rendono la nostra azione inefficace nel momento in cui ci rendiamo conto di non essere gli utilizzatori privilegiati del Mondo? I suoi padroni? Ma forse è proprio l’apparente bizzarria a costituire la sua forza, a implicare un cambiamento necessario. In particolare, si tratta di prendere coscienza di quanto dipendiamo dal nostro ambiente, di come siamo immersi nella molteplicità dei viventi che ci aiutano a sopravvivere. Si tratta dunque per Latour di una necessità di riconoscimento dei nostri legami, ma allo stesso tempo di accoglierli positivamente perché sono proprio questi ultimi a liberarci. I legami ci fanno capire che non siamo soli, che abbiamo degli alleati nella lotta per la sopravvivenza di Gaia. Ci permettono di dire che c’è ancora speranza.

Ecco perché l’aspetto forse più rivoluzionario dell’ultimo libro lasciatoci in eredità da questo grande maestro è il suo tono gioioso. Quella di Latour è una metafisica della gioia, la sua spiegazione può portare al superamento delle comuni passioni tristi che ad oggi bloccano l’azione politica, perché egli scopre che con la tristezza nulla è possibile, che tale sentimento conduce all’immobilità. Si tratterà allora di compiere una traslazione di quello che era l’interrogativo politico fondamentale rintracciabile in Spinoza: non più chiedersi perché l’uomo desidera la libertà ma accetta la schiavitù, quanto piuttosto comprendere che è la consapevolezza della nostra dipendenza alla Terra, del nostro agganciamento ad essa a poterci liberare, l’obiettivo è fare un buon uso di tale dipendenza quale matrice «di una concezione estesa della solidarietà e dell’emancipazione» (ivi, p. 32). Questa è la scoperta di Latour, noi siamo profondamente legati a Gaia e sono proprio i legami a poterci liberare. Con un gesto che rovescia l’assunto principale dell’illuminismo europeo è possibile ora affermare che l’emancipazione non è altro che il riconoscimento della nostra dipendenza e co-implicazione.

Riferimenti bibliografici
B. Latour, Politiche della natura. Per una democrazia delle scienze, Cortina, Milano 2000.
Id., Facciamoci sentire! Manifesto per una nuova ecologia, Einaudi, Milano 2023.
F. Aït-Touati, A. Arenes, A. Gregoire, Terra-Forma. Manuel de cartographies potentielles, B:42, Paris 2021.
J. Lovelock, Gaia. Nuove idee sull’ecologia, Bollati Boringhieri, Torino 2021.

B. Latour, Facciamoci sentire! Manifesto per una nuova ecologia, Einaudi, Milano 2023.

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