“La dissimulazione è una industria di non far vedere le cose come sono. Si simula quello che non è, si dissimula quello che è”. Questa vecchia definizione seicentesca, che Benedetto Croce propose di nuovo all’attenzione degli studiosi, ripubblicando nel 1928 il trattato Della dissimulazione onesta di Torquato Accetto, in apparenza ha ben poco a che fare con il moderno concetto tecnologico di simulazione, le cui macchine (computer, simulatori di volo ecc.) pretendono, al contrario, di farci vedere “le cose come sono”, di prevedere un evento, o di riprodurlo, proprio nelle modalità secondo le quali si è verificato o presumibilmente si verificherà. La definizione di Accetto riguarda la psicologia, o meglio, dato che la psicologia come scienza ancora non esisteva ai suoi tempi, il modo di comportarsi per cui all’uomo saggio e prudente è consigliabile dissimulare le proprie opinioni quando queste, pur giuste, siano in contrapposizione con quelle di un ingiusto potere dominante. È questa, appunto, la simulazione “onesta”, necessaria alla salvaguardia dell’essere pensante nei confronti delle pubbliche prevaricazioni, e ben diversa dalla volgare menzogna, volta al tornaconto personale, che si potrebbe definire come simulazione disonesta.
Ma ha senso distinguere tra simulazione onesta e disonesta, a proposito della simulazione tecnologica moderna? Può mentire, o sbagliare, una macchina, a seconda degli interessi di chi la manipola? Questo è uno dei temi più interessanti che, a mio parere, pone Sully, il film che Clint Eastwood ha dedicato al pilota Chesley Sullenberger, detto Sully (interpretato da Tom Hanks), basato sul libro Highest Duty. My Search for What Really Matters, scritto dallo stesso pilota assieme al giornalista Jeffrey Zaslow. Il 15 gennaio del 2009, Sully salvò la vita di 155 passeggeri (di cui 5 membri dell’equipaggio), facendo ammarare sul fiume Hudson, in piena New York, il suo aereo con tutti e due i motori fuori uso in seguito all’impatto con uno stormo di uccelli, pochi minuti dopo aver decollato dall’aeroporto La Guardia. La compagnia d’assicurazioni, che non intende risarcire il valore dell’aereo affondato nel fiume, tende a dimostrare che Sully ha sbagliato a tentare quel rischioso ammaraggio, che uno dei motori ancora funzionava e che l’aereo sarebbe potuto tornare in un aeroporto vicino. A tale scopo, vengono effettuate simulazioni al computer e tramite simulatori di volo, basate su dati approssimativi e insufficienti. Sono queste le simulazioni disoneste che mirano, alterando la verità, a mettere in discussione la scelta compiuta da Sully.
Allora, la simulazione onesta che ad esse si oppone, ristabilendo la verità (almeno nei limiti in cui è possibile stabilirla), è proprio il film di Eastwood, simulazione in quanto film, e a maggior ragione in quanto film girato in IMAX digitale, ricco di effetti speciali (l’ammaraggio dell’aereo sul fiume, il suo schiantarsi sui grattacieli di Manhattan negli incubi di Sully). Si può considerare il cinema, salvo forse (e non sempre) quello cosiddetto documentario, come un gigantesco macchinario di simulazione, che al tempo stesso ha sempre cercato di dis-simulare questa sua natura. C’era sempre in esso, almeno fino all’avvento del virtuale, una presunzione di verità, dovuta alle sue origini fotografiche. I vari realismi hanno sempre cercato di valorizzarla, ma anche nei film più irrealistici si poteva almeno contare sulla trascorsa realtà di corpi, oggetti e spazi che, sia pure ampiamente manipolati, avevano fatto parte, in un dato momento, della realtà del set, al momento delle riprese.
Questa opzione realistica, già incrinata dagli effetti speciali più sofisticati, è venuta definitivamente meno con la elettronica, finzione d’esistenza di cose inesistenti, pratica dalla quale i registi della vecchia scuola, legati a una concezione classica del cinema (tra questi, certo, anche Clint Eastwood), hanno a lungo cercato di tenersi alla larga, utilizzandola il meno possibile. Lo stesso Eastwood ha dovuto utilizzare effetti speciali elettronici, e lo ha fatto in modo magistrale, per mostrare lo tsunami o gli attentati nella metropolitana di Londra in Hereafter (2010), ma in Sully la simulazione filmica, nella sua (verosimile) falsità, serve proprio da ricostruzione iconica d’una verità che altre simulazioni (tendenziose) tentavano di dis-simulare. L’aereo che plana sul fiume Hudson con i motori in fiamme è il prodotto artificiale d’un dispositivo elettronico complesso, che però si rivela il solo in grado di ricreare la verità dell’evento: e questa verità è il trauma, è la tensione, è la paura, è tutto ciò che caratterizza un evento nella sua tremenda, irripetibile unicità – l’evento, quale lo definisce Alain Badiou, come forza irresistibile che nasce da un punto di rottura e proietta l’uomo, all’improvviso, nell’impensabile e nell’inimmaginabile. È proprio quello che manca alle simulazioni di volo, in cui i piloti hanno potuto provare e riprovare decine di volte a familiarizzare con la situazione, senza alcun pericolo effettivo.
Il film, poi, va oltre: ristabilisce le coordinate umane del capitano Sullenberger, nei suoi dubbi e nelle sue debolezze, anche contro le manipolazioni dei canali mediatici (stampa, televisione, ecc.), che in parte (minoritaria) non chiederebbero di meglio che smascherarne il presunto bluff, e in parte (la grande maggioranza) vorrebbero a tutti i costi farlo passare come un eroe. Ma Sully non si sente un eroe, si sente solo come uno che ha cercato di far bene il suo lavoro, e quando la sua perizia viene riconosciuta, ed emerge l’evidenza che quella di ammarare era l’unica scelta possibile, ci tiene a dividere il merito con il suo secondo, con il resto dell’equipaggio, con i battelli che sono subito arrivati a caricare i passeggeri in bilico sulle ali dell’aereo e con tutti i cittadini di New York che hanno prestato i primi soccorsi. In questo, come eroe anti-eroe, Tom Hanks è perfetto.
Credo occorra sottolineare, però, anche un altro elemento del film, che collega la nota predilezione per i fantasmi di Clint Eastwood regista (perfino nell’universo del western), con gli incubi e le ossessioni che continuano a turbare non solo l’immaginario dei cittadini americani e di New York in particolare, ma anche l’immaginario del cinema di genere catastrofico, dopo l’11 settembre, specialmente in materia di aerei. Cosa teme Sully, quali immagini turbano i suoi sonni e si presentano addirittura in pieno giorno, se non quelle dell’impatto d’un aereo contro gli edifici di Manhattan, in una delle zone più densamente popolate del pianeta?
Un aereo che vola a bassa quota tra i grattacieli, e si schianta contro uno di essi: è questo il nuovo incubo americano, la ripetizione dell’evento inaudito, dell’evento che non si sarebbe mai pensato potesse accadere. Eastwood lo colloca come visione nella mente di Sully, ma quell’aereo sta volando il 15 gennaio 2009 o l’11 settembre 2001? L’evento opera un vertiginoso cortocircuito temporale: proprio perché irripetibile, minaccia sempre di ripetersi, anche quando, per fortuna, la catastrofe è evitata.
Riferimenti bibliografici
T. Accetto, Della dissimulazione onesta, Einaudi, Torino 1997.
A. Badiou, L’essere e l’evento, il melangolo, Genova 1995.
B. Martin, Difficult Men. Behind the Scenes of a Creative Revolution: From The Sopranos and The Wire to Mad Men and Breaking Bad, Penguin, New York 2014.