L’esperienza della visione su piattaforma ci ha abituati a una pratica all’apparenza innocua, quella di “saltare l’intro”. Le interfacce di tutti i principali servizi di streaming, infatti, presentano questa funzione, generalmente sotto forma di bottone posizionato in basso a destra, che permette di evitare i titoli di testa, consentendoci di rispondere nel modo più immediato possibile, con un semplice gesto, a quel desiderio di vorace fruizione che in parte accompagna le nostre visioni on demand. Eppure, limitandoci anche alla sola storia della serialità contemporanea, da Game of Thrones a Mad Men, i titoli di testa hanno spesso svolto l’importante ruolo di gestire «l’incontro tra il mondo narrato e lo spettatore, orientandone le aspettative e fornendogli suggerimenti e indizi in merito all’ambientazione, ai personaggi, al genere di riferimento» (Re, 2020). Nel caso di Esterno notte, i titoli di testa svolgono egregiamente questa funzione: dopo i primi minuti, in cui ritroviamo Moro in ospedale dopo la liberazione – avvenuta nel finale di Buongiorno, notte – i titoli di testa hanno il compito di traghettarci in questo nuovo formato audiovisivo, attraverso cui Bellocchio ha deciso di ri-raccontare uno dei momenti più importanti della recente storia italiana. Ed è significativo che, proprio in chiusura dei titoli, emerga dallo schermo nero una scritta rossa: “Una serie di Marco Bellocchio”. Insomma, ciò verso cui quei titoli di testa sembrano voler muovere lo spettatore è l’idea che quella storia, già raccontata, si confronti oggi con un altro formato, quello seriale. Attenzione spettatori – sembrano dirci questi titoli di testa – a dispetto di dove voi vi trovate (una sala cinematografica), della tradizione che evoca il nome di questo autore (Bellocchio), o di quello che c’è scritto su Wikipedia e finanche su alcune locandine, questo che state per vedere non è un film, ma è davvero una serie. E questo è uno, tra i tanti motivi, che rende Esterno notte un’opera molte importante.
In che modo, infatti, Bellocchio si confronta con quello che Aumont definisce l’ultimo avatar del cinema classico, ovvero la serialità? La prima mossa sembrerebbe quasi da manuale: Esterno notte si costruisce interamente intorno ai personaggi. Ogni episodio, infatti, presenta la prospettiva sulla storia di uno dei protagonisti della vicenda del rapimento e uccisione di Aldo Moro, a partire proprio da lui, il presidente della DC (Fabrizio Gifuni), colto in una sorta di luogo di soglia, tra la vita pubblica e quella privata, presentato, quasi agiograficamente, come l’unico spirito coraggioso, e perciò pazzo, in un’Italia attanagliata dalla paura e in fondo dall’immobilismo. Ma spiccano anche Cossiga (Fausto Russo Alesi), che nella sua visionaria ossessione, incarna l’unica possibile, ma irreale, via di fuga alla storia, Paolo VI (Toni Servillo) che si presenta come il rovescio della figura papale, il simbolo magnifico di una tragicomica impotenza dinanzi alla miseria della politica umana, e infine Eleonora Moro, una sorprendente Margherita Buy a cui spetta il compito di restituire, attraverso la dimensione familiare di questa storia, la tragedia collettiva che invece essa ha rappresentato. Se è vero che alcuni di questi personaggi «si iscrivono nella galleria del grottesco del cinema italiano» (Zucconi), è altrettanto vero che questo carattere grottesco incontra quella dilatazione narrativa, quella precipitazione verticale tipica della serialità complessa, che ha al suo centro il personaggio, spesso controverso, tutt’altro che eroico.
Ma il carattere, per dir così, “manualistico” del rapporto tra Esterno notte e il formato seriale si ferma qui, perché a partire da questa struttura la narrazione seriale presenta importanti elementi di vera e propria sperimentazione rispetto al formato stesso. Questi innanzitutto vanno ricercati nel modo in cui all’interno della narrazione viene inserito il dispositivo seriale. Di per sé, naturalmente, tale inserimento non è elemento di originalità, la serie è sempre un ritorno, mai uguale, della stessa matrice e, tipicamente, in questo processo di reiterazione degli elementi narrativi i personaggi evolvono, la storia si autoalimenta e con essa si espande il mondo in cui il racconto prende forma. Nel caso di Esterno notte, l’elemento seriale è dato dalla reiterazione dell’identico: la storia viene raccontata da più prospettive, quelle dei diversi personaggi, e nel racconto corale la narrazione si muove verso l’inevitabile fine. In questo movimento, tuttavia, essa indugia su alcuni momenti, reiterandoli e ripresentandoli, spesso nella loro forma di innesti, come ha scritto Francesco Zucconi. La matrice che viene replicata, dunque, è la messa in scena finzionale di una memoria iconografica e mediale e nella sua reiterazione si condensa il carattere tragico del racconto (De Gaetano). La storia viene raccontata e ri-raccontata e in questo suo procedere verso la fine, il mondo non si espande e non si apre a inaspettate via di fuga, né i personaggi mostrano lati o aspetti imprevisti. Tutto va secondo imperscrutabili e mai espliciti piani, la reiterazione di alcuni momenti narrativi, nella loro forma mediale, ne è la tragica conferma, e secondo questi piani Moro deve morire.
Ecco allora che il dispositivo seriale, nell’alleanza con l’innesto mediale, viene usato per raccontare la storia con una verosimiglianza, tipica della serialità, che marca anche l’enorme differenza tra Esterno notte e Buongiorno, notte. Questa alleanza tra mediale e seriale pone la serie di Bellocchio in quella che si può considerare forse un sotto-genere della serialità contemporanea, quello della miniserie storica. Negli ultimi anni questo rapporto, tra il formato della miniserie e il racconto storico, si è andato consolidando, mediato dalla prospettiva biografica e da questo uso sempre più marcato della memoria mediale quale elemento visuale e allo stesso tempo narrativo, quale luogo di scarto nell’ipermediazione del processo di serializzazione del racconto. Il caso più emblematico è la recente Winning Time, che racconta le vicende che portarono al primo successo dei Los Angeles Lakers, ma moltissimi esempi si potrebbero fare, anche limitandosi alla sola stagione seriale in corso, da The Offer a The First Lady.
Se è vero allora che la miniserie ben si presta al racconto di eventi storici, perché gli argini del racconto, i suoi limiti naturali, l’inizio e la fine, son già dati, Bellocchio si appropria di questo formato e lo scuote e lo mette alla prova proprio nelle sue fondamenta. Se la storia è il perimetro della narrazione mini-seriale, Bellocchio gioca con questo perimetro, con la storia stessa. Così l’inizio di questa nuova storia coincide con la fine visionaria di uno dei suo film più importanti, che nel frattempo, in questi quasi vent’anni trascorsi dalla sua uscita, è diventato elemento mediale e visuale tra gli altri che partecipa a quell’elaborazione collettiva del trauma dell’uccisione di Moro. E la fine, invece, viene affidata, in modo apparentemente didascalico, a quelle immagini d’archivio, in particolare quelle del funerale, di cui ora però non possiamo non cogliere l’aspetto finzionale, la messa in scena, pur nella loro autenticità – o meglio proprio nella loro autentica testimonialità (Montani 2022), quale esito di un lavoro che ha in Buongiorno, notte, e non solo nell’archivio televisivo, un’imprescindibile fonte documentale. Sin dai primi minuti di Esterno notte il perimetro si frantuma e non ha più contorni definiti capaci di tenere il racconto, che quindi deve avvitarsi in questo coro seriale che conduce lo spettatore ad una fine paradossalmente non scontata, eppure inevitabile. Di nuovo, Moro deve morire.
Senza eccessiva iperbolicità, credo si possa dire che Esterno notte è la più audace serie tv italiana finora mai fatta, proprio per l’inedita alleanza tra serialità, intermedialità e transmedialità. Essa mostra, qualora ci fossero ancora dei dubbi, che questo tipo di alleanza non riguarda mere logiche distributive (che pure hanno una loro legittimità), ma è una dinamica formale ed espressiva con un potenziale enorme e che le serie tv possono essere il luogo in cui tale potenziale precipita. Nel riprendere il racconto lì dove Buongiorno, notte si era interrotto, portando una serie in sala, nello scompaginare il perimetro della storia, nel costruire, sotto la spinta di una macchina corale, tipicamente seriale, un racconto che trova il suo senso innanzitutto in relazione a quel film di vent’anni fa (Tagliani), la serie di Marco Bellocchio fa qualcosa che non era mai stato fatto prima.
Riferimenti bibliografici
J. Aumont, Que reste-t-il du cinéma?, Vrin, Paris 2016.
P. Montani, L’immaginazione intermediale. Perlustrare, rifigurare, testimoniare il mondo visibile, Meltemi, Milano 2022.
V. Re, Chi ha bisogno della cornice? Sul ruolo dei titoli di testa nella streaming tv, in “Fata Morgana Quadrimestrale di cinema e visioni”, Cornice, n. 39, 2019.