A undici anni dall’inizio e a sei dalla fine, Breaking Bad è tornata al centro del discorso pubblico grazie all’uscita del film El Camino, prodotto da Sony e distribuito da Netflix, scritto e diretto dall’ideatore Vince Gilligan. «Sequel, spin-off or postscript?» si chiede Zach Vasquez sul Guardian, e in effetti El Camino riprende gli eventi dalla fine della serie, ma non è un vero e proprio sequel, quanto un epilogo che sposta il punto di vista su Jesse Pinkman, il personaggio che è stato al tempo stesso il polo empatico della coppia formata da lui e Walter White, e metà debole, costantemente sottomesso e manipolato, destinatario di un accanimento fisico e psicologico costante, fino al climax intollerabile della prigionia in gabbia.
El Camino è più un commento aggiuntivo che un finale definitivo, ed è lo stesso Vince Gilligan a sollevare la questione dell’utilità del progetto e del posizionamento rispetto alla narrazione precedente. In una mossa inedita in epoca di complicate narrazioni transmediali, lo stesso autore e regista ha dichiarato che El Camino non è una tessera essenziale nell’economia dell’epopea Breaking Bad, la quale poteva dirsi già perfettamente conclusa con l’ultimo episodio Felina. D’altro canto Gilligan aveva per anni covato l’idea di un epilogo per rispondere alla curiosità su cosa avrebbe fatto concretamente Jesse una volta riguadagnata la libertà. Dall’idea originaria di un breve webisode (un formato che ha sempre fatto parte dell’universo espanso di Breaking Bad, solitamente in relazione alle linee più comiche della serie) si è passati rapidamente alla possibilità di un episodio, fino ad arrivare alla lunghezza di un lungometraggio.
Il titolo rimanda, naturalmente, al percorso di Jess da qui in avanti, ma è anche il nome della Chevrolet appartenuta al carceriere Todd Alquist, a bordo della quale fugge dopo che Walt ha compiuto la sua strage.
Fin dalla prima sequenza il film dichiara due intenzioni principali: da un lato la connessione profonda del presente con il passato – di Jesse, ma anche degli spettatori, chiamati a riconoscere la collocazione dei flashback ambientati in momenti sparpagliati nel corso delle cinque stagioni di Breaking Bad; dall’altro afferma che quel passato è ora manipolabile: Gilligan non si fa problemi ad aggiungere dialoghi, dettagli e persino porzioni importanti di storia in quelli che erano gli spazi del fuoricampo della storia principale. Se l’arco narrativo di El Camino si sussegue in ordine cronologico, i flashback ci riportano alla serie in ordine sparso, a cominciare da un dialogo crepuscolare tra Jesse e il suo mentore Mike Ehrmantraut, in cui il primo già esprime il desiderio di farsi da parte, abbandonare quella vita e fuggire altrove per farsene una nuova, arrivando addirittura ad anticipare l’Alaska come ultima meta: un piano che gli eventi di Breaking Bad portano a una violenta battuta d’arresto.
Il percorso riparte proprio dalla sopravvivenza di Jesse alla fine della serie, e dalla sua fuga disperata e catartica che in El Camino viene immediatamente riportata a una questione pratica e di sopravvivenza: l’arrivo delle forze dell’ordine, la conseguente iscrizione di Jesse tra i principali sospettati della strage, la necessità di procurarsi dei soldi, rendersi il più possibile invisibile, e poi sparire. Questi passaggi riportano nella storia personaggi che hanno legami emotivi e affettivi con Jesse: non è un caso che gli amici storici Badger e Skinny Pete non facciano domande quando se lo ritrovano alla porta di casa, e si producano in insperati slanci di lealtà; mentre più avanti i genitori di Jesse, precedentemente comparsi davanti alle telecamere per chiedergli di costituirsi, vengano invece strumentalmente usati dal figlio.
In una scena successiva Jesse irrompe in un appartamento che non ci è in alcun modo familiare: un flashback rivela che è casa di Todd, dove Jesse viene condotto dal proprio carceriere per farsi aiutare a risolvere alcuni imprevisti. Qui il film sceglie di approfondire il rapporto tra Todd e Jesse, in quella che è la concessione più significativa a una manipolazione retroattiva della narrazione.
Il momentaneo spostamento di Todd al centro della storyline ha però l’effetto di un depotenziamento della portata spaventosa del personaggio, la cui follia distaccata, funzionale a forme di violenza efferate e imprevedibili, prendeva forza dal posizionamento ai margini della storia, nel cono d’ombra di una malvagità tanto più raccapricciante perché scollegata da motivazioni apparenti. El Camino cerca di tratteggiare la relazione psicologica tra Jesse e Todd, vittima e carnefice, attraverso il contrasto: da una parte tra le azioni criminali e il peso emozionale, per il protagonista privato di tutto e sottoposto a continue torture, di banali gesti quotidiani (le sigarette, la zuppa); dall’altra tra la sociopatia di Todd e la sua affettazione educata, che però appare più artificioso e incline al grottesco rispetto alla serie.
La sequenza in cui il Jesse presente cerca il denaro nascosto nella casa di Todd è anche propedeutica all’introduzione di Neil, un personaggio assente in Breaking Bad. Neil è legato a uno degli aspetti più iconicamente tragici della prigionia di Jesse, è il saldatore che ha ideato e costruito il sistema sopraelevato di guide che permette a Jesse di spostarsi e cucinare metanfetamina pur rimanendo in catene. Jesse non è in cerca di vendetta (non è Walter White), ma la resa dei conti con Neil arriva puntuale, ancora una volta per motivazioni oggettive, quando il balordo criminale si rifiuta di eseguire la tutto sommato ragionevole richiesta di Jesse, che ha bisogno di poche centinaia di dollari per comprarsi una nuova identità. L’escalation violenta che ne consegue è la concessione più esplicita di Vince Gilligan alle proprie fonti di ispirazione, con un duello Spaghetti Western con tanto di montaggio di sguardi in primissimo piano.
Le due ore di El Camino si sviluppano dunque come un percorso a tappe nel presente e nel passato di Jesse Pinkman, ognuna delle quali introdotta da, o alternata a, un flashback che risponde a due funzioni: una esplicativa – i flashback contestualizzano gli spostamenti e le azioni di Jesse nel presente, in un modo a volte fin troppo didascalico – e una nostalgica, come espediente per riportare in vita alcuni personaggi di culto. Da un altro punto di vista i flashback sono suddivisi in due categorie: quelli che tornano su eventi e momenti familiari (Mike, Walt, Jane) e quelli che ricostruiscono da zero eventi in spazi narrativi assenti dalla serie (la giornata con Todd, e l’arrivo di Neil). La concatenazione narrativa fa leva principalmente sui flashback del secondo tipo, sui quali è costruita l’azione di Jesse: questo sbilanciamento lascia l’impressione che Gilligan abbia optato per la soluzione più facile, preferendo integrare la storia a posteriori anziché lavorare sui contenuti esistenti. È certo un modo per immettere nuovi elementi, ma anche rischiosamente meccanico.
In definitiva, El Camino si muove tra un ridimensionamento delle epiche macchinazioni della serie madre, più consone a un personaggio come Heisenberg che a Jesse, e l’intenzione di rendere lui, l’eterna spalla inaffidabile e meno intelligente, il protagonista della propria storia futura. Intorno, i riconoscibili richiami stilistici a Breaking Bad: la lentezza e i silenzi, i virtuosismi e il gusto per indizi e dettagli. La resa complessiva è discontinua e meno controllata, segnale di un’attitudine diversa di Vince Gilligan rispetto alla materia, mossa più dal desiderio di un omaggio affettuoso che dal furore creativo o da un senso di necessità di completezza.
Sembra allora corretto inquadrare il film prendendo ancora in prestito le parole del regista e autore: «I’m hoping people will take it for what it is: something that’s meant to be a gift to the fans, and a gift to Aaron Paul, who I truly believe deserves many more movies where he’s the star». Un regalo per i fan e contemporaneamente per Aaron Paul, un progetto interamente incentrato sull’attore e sulla sua performance (affermazione che sottintende la consapevolezza di una carriera mai più incappata in un ruolo con lo stesso potenziale di Jesse Pinkman).
Queste intenzioni dichiarate contribuiscono a rendere El Camino un prodotto anomalo, frutto di scelte e decisioni diverse dalla tipica estensione narrativa all’interno di un universo che preesiste e la supera. Questa anomalia è rimarcata dalla differenza rispetto a Better Call Saul, il prequel dedicato alla carriera dell’avvocato Saul Goodman, giunta in prossimità della quinta stagione. Non solo nel formato, una serie da un lato e un film di due ore dall’altro, ma anche nell’andamento narrativo, che nel caso di Saul è, almeno all’inizio, volutamente in discontinuità rispetto a Breaking Bad.
Entrambi i progetti si basano però su un deragliamento rispetto alle caratteristiche associate ai rispettivi personaggi nella serie madre, per motivi opposti: nel primo caso la possibilità di creare un personaggio dal nulla, nel secondo caso la necessità di mostrare le visibili conseguenze di un percorso già noto. Così come Better Call Saul rende umanissimo il personaggio sopra le righe di Saul Goodman, scegliendo un ritmo dilatato e un preciso focus relazionale tra il protagonista e gli altri personaggi, in El Camino Jesse diventa finalmente un eroe che agisce da solo e per sé, pianificando e agendo a modo suo: in questo senso rimane coerente con il significato di quell’ultimo confronto con Walter White, dove finalmente si sottrae al legame di sottomissione rifiutandosi di ucciderlo, come lui vorrebbe.