dunkirk

Quanto dura un “evento”? Un’ora, un giorno, una settimana? Il tempo dell’evento è il tempo dell’Erlebnis, il tempo della coscienza, dell’esperienza vissuta. Per questo ha tante durate differenti, quanti sono quelli che lo stesso evento hanno vissuto. Un evento rompe il corso della Storia, esce fuori di essa e instaura una temporalità che non corrisponde affatto al succedere lineare e cronologico di singoli fatti.

La battaglia di Dunkerque diventa, nel film di Nolan, un vero e proprio evento e il racconto che lo restituisce non ha, o ancora meglio, non può più avere nulla a che fare con la Storia. È facile, se si assume questa posizione, tagliare corto con tutte le obiezioni che, da un punto di vista storico si possono avanzare al film. Ben lungi dal volersi confrontare con il tempo della Storia, il film è piuttosto il tentativo di inventare un nuovo ordine temporale, ottenuto dalla convergenza e dall’incrocio di Erlbenisse differenti: nello specifico, l’esperienza vissuta dai soldati inglesi che cercano di abbandonare la costa francese per ritornare in patria; quella dei civili che attraversano con le proprie imbarcazioni private il mare della Manica, per portare soccorso ai propri connazionali; e infine quella degli aviatori che solcano il cielo sopra lo stretto per cercare di respingere gli attacchi aerei dei nemici.

Appena dopo l’uscita sugli schermi americani, molto è stato scritto circa le ragioni per cui l’ultimo film di Nolan sarebbe un radicale ripensamento di uno dei generi più classici e riconoscibili dentro la storia del cinema mondiale: il film di guerra (si vedano, per esempio gli interventi di Kristin Thompson e David Bordwell).

Lo scarto dal racconto storico, nella direzione della trasformazione di un semplice fatto in un “evento”, è senza dubbio il dato più rilevante del lavoro di Nolan, che per certi versi non tradisce, neppure in questo caso, le ossessioni stilistiche dei suoi film precedenti. Come in Inception (2010) e Interstellar (2014), anche in Dunkirk, immaginare una nuova dimensione temporale significa dare una nuova forma allo spazio, che qui nello specifico assume i caratteri di un “tra”: la distanza che divide le due sponde della Manica, come quella che separa il mare dal cielo. In questo “tra”, il procedere della Storia si interrompe e accade l’evento, che non conosce progressività né sviluppo.

La battaglia di Dunkerque, dal canto suo, è una concretizzazione retoricamente efficace di tutte le possibili impasse della Storia: capitolazione disastrosa delle forze Alleate davanti all’avanzare dell’esercito tedesco, essa cambia di segno nella memoria storica degli inglesi, che trasformano simbolicamente la loro ritirata, in una vera e propria eroica vittoria morale.

È da questa sostanziale ambiguità che prende avvio l’operazione interpretativa di Nolan, che si spinge fino a non voler considerare la battaglia di Dunkerque alla stregua di un fatto storico, ma piuttosto come l’occasione per mettere in scena, con gli strumenti propri del cinema, l’accadere di un evento. Il film che lo racconta non può evidentemente più essere un film di guerra, codificabile in un genere, in cui una catena di azioni si susseguono in maniera lineare e conseguenziale. Ciò che interessa a Nolan non è quello che è successo a Dunkerque, ma l’esperienza vissuta da chi si è trovato su quel tratto di mare, in quel pezzo di cielo, quando la Seconda guerra mondiale era ancora lontanissima dal finire, ma aveva già scritto pagine disastrose.

Per lo stesso motivo, Nolan può addirittura scegliere di intitolare (oltre forse a un voluto cedimento a un qualche compiacimento nazionalista) il suo film Dunkirk, inglesizzando il nome della cittadina francese, sul cui territorio la battaglia ha avuto luogo, fra il 26 maggio e il 4 giugno 1940. Il film, infatti, non è il racconto di uno dei tanti tragici episodi della storia della Seconda guerra mondiale, ma la restituzione – attraverso una grandiosa messa in scena, così realistica da dichiarare, con ogni evidenza al suo spettatore, la propria funzione di ipermediazione (Grusin, 1999 e 2017) – di un vissuto collettivo, attraverso l’esperienza di soldati e civili inglesi, per i quali il nome di quel posto infausto sulla costa francese della Manica è Dunkirk, non Dunkerque.

Non è difficile credere a Nolan, quando dichiara che questo è fra tutti il suo film più personale. Il regista è in scena, insieme ai suoi personaggi. La loro esperienza vissuta diventa l’esperienza del regista, la sua propria Erlebnis. Così Dunkerque si trasforma in Dunkirk.

Non si impara nulla guardando il film, nulla che non sia già stato scritto in un libro di storia. Di un evento non si ha conoscenza, si può solamente fare esperienza. Un evento si vive, come fanno tutti i personaggi del film di Nolan, senza sapere cosa stia accadendo, eppure rimanendo dentro l’accadimento stesso. È questa la pretesa, per certi versi megalomane di Nolan, quella che fa di lui, in questo come in altri casi, un costruttore di potenti macchine di finzione, un vero e proprio illusionista/prestigiatore (si intitolava The Prestige un suo film del 2006): pensare di poter far vivere al suo spettatore l’esperienza di una battaglia “come” quella combattuta a Dunkerque. Siamo trascinati sul campo di battaglia sin dalla prima inquadratura del film, quando siamo costretti a seguire la corsa affannosa di uno dei soldati, in fuga dai tedeschi. Di quella battaglia il film assume fino in fondo la logica di violenza e la usa senza remore sul suo spettatore, tenuto in ostaggio per un tempo che è il tempo del cinema: il tempo della coscienza.

Certo la nostra non è una “vera” battaglia. Qui non c’è sangue, né morte. Quella battaglia è ormai, insieme ai feriti e ai caduti, consegnata alla Storia, a noi non resta che la sua simulazione. Della battaglia del 1940 si può avere conoscenza (è ciò che fa ogni racconto storico, in tutte le sue varianti, dalla storiografia al film di guerra, così come l’abbiamo conosciuto fin qui), della sua simulazione possiamo invece fare una “vera” esperienza. Una nuova forma di esperienza, che forse poco ha a che fare ormai con i corpi e con la carne, di cui il cinema contemporaneo comincia a darci prove significative. Dunkirk è una di queste.

Riferimenti bibliografici
J. D. Bolter, R. Grusin, Remediation. Competizione e integrazione fra media vecchi e nuovi, a cura di A. Marinelli, Guerini, Milano 2003.
R. Grusin, Radical Mediation. Cinema, estetica e tecnologie digitali, a cura di A. Maiello, Pellegrini, Cosenza 2017.

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