L’ultimo libro di Naomi Klein, Doppio. Il mio viaggio nel Mondo Specchio, rappresenta un’esplorazione profonda nella propria identità ed ebraicità e al contempo nella Storia, compiuta attraversando lo specchio come Alice, per vedere molto al di là delle immagini riflesse in superficie. Le due epigrafi iniziali evidenziano l’importanza di letteratura e cinema: «E alla fine comparve una paurosa moltitudine di copie perfette», da Il sosia (1846) di Fëdor Dostoevskij e “Quante copie ci saranno di ognuno?”, da Noi di Jordan Peele (film che ritorna anche in un parallelismo con Parasite di Bong Joon-ho). Costante anche il mistero, che culmina nell’epilogo di cui anticipiamo solo l’epigrafe: «Mi sorpresi agitato da un dubbio metafisico. Ero forse stato io l’impostore per tutto quel tempo? Ero io l’altro?», da Vie di scampo (1980) di Graham Greene. È il mistero del caso, delle coincidenze, di avvenimenti isolati che compongono un quadro personale dipinto da una mano invisibile con pennellate estemporanee apparentemente scollegate, ma pronte a manifestarsi nella loro coesione agli occhi di chi, a un certo punto della vita, abbia la capacità e/o la fortuna di metterle in relazione. Oppure debba constatarne l’evidenza, come avviene con le progressive deformazioni del ritratto di Dorian Gray nel romanzo di Oscar Wilde, prototipo, con Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson e William Wilson di Edgar Allan Poe, dell’esasperazione della dualità umana. Anche se il «merito di aver coniato il termine doppelgänger», si deve allo scrittore tedesco Jean Paul nel romanzo Siebenkäs (1796-1797) «per indicare “persone che vedono sé stesse”».
All’origine di Doppio ci sono più di quindici anni di scambi tra Klein e Naomi Wolf, che Klein considera “l’Altra Naomi” salvo rendersi poi conto di essere diventata lei “l’Altra Naomi”. Oltre a nome ed ebraicità, la professione è una delle caratteristiche condivise, in qualità di autrici di saggi di successo mondiale e giornaliste su prestigiose testate, mentre ciò che le differenzia sono i percorsi politici, pur partendo entrambe dall’attivismo di sinistra. Se Klein non lo ha mai abbandonato, Wolf è progressivamente passata da «portabandiera del femminismo degli anni novanta» e collaboratrice di Al Gore nelle presidenziali del 2000 contro George W. Bush, a divulgatrice di strambe idee complottiste nel terzo millennio, fino a diventare ospite sempre più frequente di Tucker Carlson e dello stratega di Trump Steve Bannon, del cui mondo complottista diffuso da War Room nel 2020 diventa la stella. Un episodio curioso avviene durante la prima manifestazione newyorkese di Occupy Wall Street nel 2012, quando Klein, da un gabinetto di un bagno pubblico, si sente attribuire da due manifestanti affermazioni di Naomi Wolf che lei non avrebbe mai fatto. Klein archivia il curioso incidente tra i già numerosi scambi trovati sui suoi social, ritenendo comunque che la sua identità personale non sia eccessivamente intaccata dalle continue sparate di Wolf – tra cui Edward Joseph Snowden, Ebola, tecnologia cellulare G5 e perfino nuvole create dalla Nasa per provocare ovunque «epidemie di demenza».
Un po’ per la pericolosità delle teorie antivax, un po’ per la rabbia di vedersi ormai relegata al ruolo di “Altra Naomi”, nel 2020 Klein si ritrova immersa nel mondo dei doppi in modo talmente maniacale da trascurare perfino gli affetti più cari. È come se fosse in balia di una sorta di vertigo – come «Hitchcock ha chiamato lo stato di profondo turbamento causato dal vivere in presenza del proprio doppelgänger» – o di zozobra, usato dal filosofo messicano Emilio Uranga per indicare «un’ansia esistenziale e una profonda angoscia» unite alla dilaniante incapacità di scegliere «tra due possibilità, tra due affetti».
Di volta in volta Naomi si confronta con personaggi che si affiancano a quelli di Wilde, Stevenson, Poe e Dostoevskij, vuoi perché il loro doppi «si distaccano dall’originale e assumono una pericolosa vita propria» – come nella fiaba ottocentesca di Hans Christian Andersen L’ombra, o nel film muto Lo Studente di Praga, o nei racconti di Carmen Maria Machado Il suo corpo e altre feste, o nel recente film Dual – Il clone di Riley Stearns – vuoi perché trovano un sosia concreto, come nei romanzi Il racconto di due città di Charles Dickens o L’uomo duplicato di José Saramago, da cui il film Enemy di Denis Villeneuve. Naomi cita anche il doppio che «rappresenta le strade non prese», come avviene nel multiverso di Everything Everywhere All at Once dei Daniels, e il simbolismo della duplice situazione dell’astronoma Kate Dibiasky in Don’t look up di Adam McKay: l’orgoglio per aver scoperto e dato nome alla cometa che poi si rivela essere la distruttrice del mondo rappresenta la nostra situazione di esseri umani «intrappolati nel cercare di perfezionare le nostre minuscole personalità mentre siamo al contempo consapevoli di trovarci negli ultimi anni in cui potremmo ancora evitare una fatale crisi planetaria».
L’esplorazione dei “doppi” nella Storia, ad esempio con lo splendido capitolo sull’autismo con cui concluderemo, deve molto al documentario in quattro puntate Exterminate all the Brutes che Raoul Peck trae dall’omonimo libro del 1992 di Sven Lindqvist. Se in ciascuno dei suoi precedenti film Peck aveva raccontato «un pezzo della storia violenta da cui è nato il nostro mondo», con questa serie la esamina a tutto tondo. Come già sintetizza il titolo, «una profetica frase di Cuore di tenebra» di Joseph Conrad, il tema riguarda «l’istinto omicida e annientatore» e «la mentalità suprematista» che hanno alimentato secoli di colonizzazioni e genocidi compiuti dall’Europa, e che Lindqvist e Peck estendono allo sterminio nazista degli ebrei. «Hitler non era l’altro malvagio dell’Occidente civilizzato e democratico, bensì la sua ombra, il suo doppelgänger». L’Olocausto è dunque uno degli atti finali di «una storia cominciata con i prodromi dell’inquisizione, con i roghi, le torture e poi l’espulsione di ebrei e musulmani», continuata con le cruente conquiste delle Americhe, di Africa e Asia, fino al ritorno in Europa dove Hitler, per sua stessa ammissione, ha utilizzato i metodi già sperimentati: «Razzismo pseudoscientifico, campi di concentramento, genocidio alla frontiera».
Una storia poi proseguita anche con l’oppressione palestinese, in un ribaltamento che non può essere descritto solo «come un disorientante conflitto etnico tra due intransigenti gemelli semiti». A tal proposito Klein si avvale anche di La città e la città, «l’inquietante romanzo» di China Miéville in cui «due metropoli occupano lo stesso spazio fisico, ma agli abitanti dell’una non è permesso riconoscere l’esistenza di quelli dell’altra», concordando tuttavia con l’autore sulla riduttività dell’interpretazione secondo cui il romanzo sarebbe «un’allegoria del rapporto tra Israele e Palestina».
Storia personale e collettiva si amalgamano come in Mr. Klein di Joseph Losey e Operazione Shylock di Philip Roth. La trasformazione che porta il ricco mercante d’arte parigino Alain Delon a ritrovarsi «in trappola, gradualmente inglobato nel proprio indelebile doppio etnico», è collocata su uno sfondo storico descritto fin dalla prima scena con con dettagli «agghiaccianti» sul modo in cui chiunque fosse sospettato di essere di discendenza ebraica, nel caso specifico una donna nuda di mezza età, venisse esaminato da medici impassibili alla ricerca di tratti somatici razziali. Nel capolavoro di Roth, invece, la vicenda dei due protagonisti, identici ed entrambi di nome Philip Roth ma profondamente diversi per ideologia, ha come sfondo i processi di John Demjanjuk, l’ucraino accusato di collaborazionismo coi nazisti, e la questione palestinese. Klein dice che «solo Roth sembrava aver compreso la gravità» della sua situazione, descrivendo «con una precisione chirurgica, molte delle trappole mentali e politiche che ho provato sulla mia pelle da quando i problemi con il mio doppelgänger sono aumentati di intensità. Il brivido con una versione grottesca di sé stessi. Il paradosso di difendere il proprio marchio personale. L’ombra fascista di noi stessi che i doppelgänger, possono rivelarci. Il modo in cui intere società possono avere sinistri doppelgänger». In Operazione Shylock Klein trova anche uno dei principali motivi dello scambio tra le due Naomi: «L’antisemitismo». Così come nel libro entrambi i Roth vengono alla fine identificati come un unico «Philip Roth l’ebreo», incarnazione dell’usuraio shakespeariano, le due Naomi sono lo stereotipo della «jewess», ossia l’ebrea colta e impegnata.
Siamo nel cuore della Storia e del pipikismo, «la forza antitragica», scrive Roth, «che rende insignificante ogni cosa, che ridicolizza ogni cosa, la banalizza, la superficializza». Facendo suo il vocabolo, Naomi descrive alcune pipikizzazioni subite, autocriticandosi ad esempio per non aver reagito a dovere quando Shock Economy veniva scimmiottato nel Mondo Specchio con «notizie prive di riscontro e volte solo a catturare consenso». Ma soprattutto Klein allarga la critica alla sinistra: durante il Covid ad esempio le voci progressiste sono state «troppo timide ed obbedienti» e hanno lasciato che Bannon, Wolf & Co. sfruttassero «l’indifferenza della politica nei confronti di Big Pharma» usando «teorie complottiste piuttosto che una documentata denuncia di scandali reali».
Per concludere qualche cenno sul capitolo sull’autismo, nel quale Naomi entra con grande rispetto del suo bambino di nove anni affetto da quel disturbo, convinta però dell’importanza di condividere con tutti esperienze vissute in scuole con diversi tipi di approcci e considerazioni e pregiudizi sul labile confine tra “normalità” e “diversità”. Come sempre i riferimenti sono anche letterari e storici e così Naomi ci racconta dei miti celtici e nordici dove i doppelgänger fanno alcune delle prime apparizioni. Sono i «magici changeling», bambini piccoli che le fate lasciavano al posto di quelli che rapivano per portarli nel loro mondo: doppi identici «se non per una qualche anomalia fisica o comportamentale da trickster, per esempio un carattere estremamente introverso, distaccato dal mondo», uno dei tipici aspetti dello spettro autistico.
I riferimenti storici riguardano il dottor Hans Asperger, tra gli scienziati dell’Ospedale Pediatrico Universitario di Vienna che negli anni prima del nazismo avevano elaborato metodi di terapeutici avanguardistici per i “bambini divergenti”, fino ad allora rinchiusi in istituti simili a carceri. Dopo l’annessione dell’Austria alla Germania nel 1938, Asperger, diventato il suo stesso dopplegänger, li definì “psicopatici autistici” e li incluse nel programma di uccisione di massa dei disabili. Uniche eccezioni quei pochi in grado di rendersi utili al regime poiché dotati di alcune particolari capacità, che vennero in seguito incluse nella definizione “sindrome di Asperger”. Le proteste di storici e scienziati portarono nel 2019 alla definitiva eliminazione di tale sindrome dal manuale diagnostico-statistico dei disturbi mentali e alla sua sostituzione con una differente terminologia.
Naomi Klein, Doppio. Il mio viaggio nel Mondo Specchio, La nave di Teseo, Milano 2023.