Antefatto: la terra dei figuranti

Per lungo tempo la presenza di attori siciliani sullo schermo è stata un elemento di colore, limitato a caratteristi per lo più comici, che affiancavano i divi in trasferta, con connotazioni fisiche molto marcate (Turi Pandolfini, Gino Buzzanca, Saro Urzì). La tradizione, anche linguistica, in cui situare le performance, era quella catanese, trasposta al cinema in anni lontani da Angelo Musco, e a essa dovevano conformarsi anche interpreti di altra provenienza, come Franchi e Ingrassia. I canoni di questa koiné vengono codificati dal doppiaggio, inseparabile dalle voci di Cesare Barbetti, Peppino Rinaldi o Corrado Gaipa.

Una prima linea di frattura, non a caso, è costituita dall’incremento del sonoro in presa diretta che, a partire da Mery per sempre (1989) di Marco Risi, permette l’utilizzazione di una nuova leva di attori non professionisti, giovanissimi, affiancati a Michele Placido e Claudio Amendola. In questo film emerge anche chiaramente il ruolo, fino allora rimasto sotterraneo, dell’agenzia di casting diretta da Enzo Castagna, pittoresco personaggio che nel 1995 sarà condannato per una rapina alle Poste di Palermo. A Castagna (che gestiva le comparse della Sicilia occidentale, mentre nella Sicilia orientale il settore era di competenza delle famiglie Cori e Torrisi) dedicheranno una serie di documentari Daniele Ciprì e Franco Maresco: Sicilia da Oscar (1990), I Castagna sono buoni (1994) e soprattutto Enzo, domani a Palermo! (1996).

La figura di Castagna è indicativa di una fase pre-industriale del casting locale, in cui la conoscenza del territorio costituisce il principale capitale cui le produzioni nazionali devono fare riferimento. Le agenzie di Castagna, Cori e Torrisi fungono sostanzialmente da fornitori di figuranti, più capigruppo che casting director: è questo il serbatoio che serve al cinema “romano”. Il lievito madre dell’amalgama, si potrebbe dire, cui aggiungere l’elemento pregiato dell’attore professionista. Non a caso i pochi protagonisti che vengono richiesti a Castagna sono bambini, che non proseguiranno la carriera: il Totò Cascio di Nuovo cinema Paradiso (1988) e Valentina Scalici e Giuseppe Ieracitano di Il ladro di bambini (1992).

Accanto ai non professionisti, prelevati direttamente dalla strada, un secondo serbatoio è il teatro popolare di fascia bassa (Tony Sperandeo, Mario Pupella, Lollo Franco) o più alta, legata alle esperienze del cabaret anni ’70 (Giacomo Civiletti, Giorgio Libassi), migrato nelle prime televisioni locali. Più saltuarie le cooptazioni dalla scena teatrale colta, che a Palermo si presentava spesso come rilettura mediata, lirica o espressionista, del mondo popolare. Pensiamo a uno dei grandi drammaturghi del tardo ’900 italiano, Franco Scaldati, e al puparo e cuntista Mimmo Cuticchio, destinati a saltuarie  apparizioni cinematografiche.

Lo studio di caso più interessante, per come attraversa le varie fasi del cinema italiano mantenendo una propria sostanziale irriducibilità alle sue forme di rappresentazione, è quello di Gigi Burruano, cantore a teatro della Palermo lumpen e consapevolmente in bilico tra alto e basso, presente come caratterista in decine di titoli italiani dell’ultimo trentennio, come una sorta di figura dell’eccesso, anti-realistica. L’attore siciliano è in generale, fino alla fine degli anni ’90, legato a ruoli di caratterista, alla raffigurazione di contadini, proletari o sottoproletari, e il confine tra professionista e non, nella percezione comune, resta labile. 

I figli dell’Accademia

È a partire dall’affermazione di Luigi Lo Cascio in due successive Mostre di Venezia che si osserva un cambiamento nel paesaggio attoriale. Nel 2000 I cento passi di Marco Tullio Giordana lo vede protagonista; l’anno dopo, in Luce dei miei occhi di Giuseppe Piccioni, che gli frutta la Coppa Volpi a Venezia, l’attore è calato in un contesto ambientale neutro e borghese. Lo Cascio ha studiato all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” ma è anche nipote di Burruano e proviene da esperienze di cabaret a livello locale (il gruppo “Le Ascelle”). La nuova generazione, nel film di Giordana, è incarnata da altri due diplomati dell’Accademia, Claudio Gioé e Paolo Briguglia, affiancati da attori della generazione precedente (Lucia Sardo, Burruano e Sperandeo). La novità del film (l’eroe antimafia non è uno straniero ma un “interno”) si specchia in una scelta di casting (il protagonista è un attore siciliano sconosciuto ma di formazione accademica). Una scelta resa possibile proprio da una leva di attori dal percorso di studi istituzionale, di estrazione borghese e spendibili come volti nuovi.

L’anno successivo il processo si replica al femminile con un’altra attrice semiprofessionista e sconosciuta, Donatella Finocchiaro, protagonista di Angela di Roberta Torre, pendolare dal punto di vista geografico (catanese, con una parentesi di pochi mesi nel teatro romano e un ritorno in Sicilia) e professionale (si divideva tra la pratica teatrale e una carriera di avvocato). Lo stesso anno esce il primo film interpretato da Salvo Ficarra e Valentino Picone, primi comici di rilievo dai tempi di Franchi e Ingrassia, spogliati di connotazioni troppo localistiche, e senza matrice popolare (il film, come i loro successivi, riutilizza un numero significativo di attori del cabaret e della televisione locali, da cui anche i due provengono). Sempre nel 2002, Respiro di Emanuele Crialese, con Valeria Golino, è idealmente l’ultima propaggine di quello che potremmo chiamare “amalgama coloniale”, con attori professionisti “nazionali” calati in un contesto di non professionisti o di professionisti locali. Nel film, segnaliamo, emerge il volto nuovo di Vincenzo Amato, confuso tra i non professionisti dell’isola di Lampedusa e in realtà singolare attore semi-professionista, scultore, figlio della cantante folk e regista Muzzi Loffredo, formatosi negli Stati Uniti dove aveva già partecipato al film precedente di Crialese.

Gli anni 2000 vedono dunque una assoluta novità: un territorio che fino ad allora non aveva fornito attori di rilievo al cinema italiano comincia a proporne in quantità sempre maggiore, mostrando in maniera chiara un’evoluzione nel reclutamento degli attori che è a sua volta spia di una mutazione dei modelli produttivi. Non è forse un caso che i due film con Lo Cascio segnino esattamente l’inizio di Rai Cinema e del progetto di un “cinema medio d’autore”, pronto ad assorbire le diversità regionali in una chiave di racconto psicologizzato, o di recupero nostalgico del passato recente. Subito dopo la creazione di un “cinema medio d’autore”, e ancor più di esso, a strutturare una leva senza precedenti di attori è la nascita di un filone di prodotti televisivi sulla mafia, inaugurato da Paolo Borsellino (2004) di Tavarelli e approdato alla lunga serialità con Il capo dei capi (2007). 

Se ci si sposta alla fine del decennio, altri dati fotografano un processo compiuto. Nel 2008, in Tutta la vita davanti, esordisce sugli schermi Isabella Ragonese, tipologia completamente nuova per fisico e cadenze, che ben si presta a rappresentare una generazione spaurita e sradicata. Nel 2009 va in onda la prima serie di Squadra antimafia, in cui la serialità, più che lunga, si fa virtualmente eterna. Le fiction sulla mafia siciliana finiranno col costituire una produzione a ciclo continuo che vede al lavoro decine di attori riconoscibili, i cui nomi magari sono poco noti al pubblico ma che ormai identificano il filone. A un primo spoglio, il parco attori che ruota intorno alle serie e ai film di ambientazione siciliana supera la cinquantina di nomi. Ad esempio David Coco, nell’arco di vent’anni, ha impersonato innumerevoli figure storiche della mafia e dell’antimafia: Pio La Torre, Gaspare Pisciotta, il pentito Leonardo Vitale, il commissario Ninni Cassarà, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, Piersanti Mattarella. 

Gli anni 2008 e 2009 sono anche quelli di un’esperienza effimera ma significativa, la soap Agrodolce, prodotta tra Termini Imerese e Santa Flavia, e per alcuni anni fonte di un notevole indotto per tecnici e attori locali (la soap, rubricata come progetto di formazione, consentiva di utilizzare il personale locale a paghe molto minori). Da lì proviene un parco di attori e caratteristi che sarà speso negli anni a venire, e lì si strutturano professionalmente alcune esperienze di casting director locali come Maurilio Mangano. Infine, sempre nel 2009 compare una sorta di “enciclopedia del nuovo attore siciliano”, Baaria di Giuseppe Tornatore, film corale che schiera, in ruoli a volte anche minimi, una sessantina di attori professionisti di varie generazioni. E indirettamente, sancisce la fine del modello-figurante, quasi un simbolico trapasso fisiognomico. Tornatore, infatti, non solo ricostruisce la sua città natale in scala 1:1 sulla sponda opposta del Mediterraneo, in Tunisia, ma si rende conto che anche i volti dei contadini di mezzo secolo prima li deve cercare lì, nel Maghreb, ad affiancare volti superstiti che evochino la Sicilia dei tempi passati.

Conclusioni

Studiare la presenza degli attori siciliani dell’ultimo ventennio osservandone il differente rilievo, il posizionamento e la formazione dà conto di un cambiamento unico in Italia, che vede un territorio fino a qualche decennio fa privo di nomi di rilievo e oggi ricco fino al sovraffollamento. 

Gli elementi del panorama sono in definitiva un cambio nel percorso di formazione (dal teatro dialettale e dallo street casting alle scuole di recitazione nazionali e al teatro di ricerca) e la caratterizzazione meno esotica, più “borghese” di stili recitativi e fisionomia, con conseguente spendibilità degli attori in una maggior varietà di ruoli, che affiancano un rinato filone di produzioni (specie televisive) sulla mafia. Un ruolo fondamentale, dapprima effetto e poi anche causa di questo cambiamento, è il reclutamento, il ruolo del casting director locali che hanno assunto un carattere sempre più professionale

Infine, questa dinamica illustra indirettamente anche l’indissolubilità dello studio dell’attore da quello delle dinamiche produttive e la necessità di una visione trasversale, che integri l’analisi degli stili di recitazione (comunque imprescindibile) con lo studio dei modi di produzione e dell’intreccio tra media. Le note che precedono sono la breve premessa storica a uno studio appena intrapreso. 

Riferimenti bibliografici
A. Aniballi, Intervista a Maurilio Mangano, Quinlan.it, 14 novembre 2014.
P. Armocida, A. Minuz, a cura di, L’attore nel cinema italiano contemporaneo, Marsilio, Venezia 2017.
C. Macchitella, Nuovo cinema Italia, Marsilio, Venezia 2003.
E. Morreale, La mafia immaginaria, Donzelli, Roma 2020.
Id., Ricordo di Gigi Burruano, “le parole e le cose”, 26 settembre 2017.

*L’autore ringrazia Chiara Agnello, Francesca Borromeo, Federica Illuminati, Maurilio Mangano e Marica Stocchi per le informazioni generosamente fornite.

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