Cos’è la relazione fra parole parlate e parole scritte? È un’idea diffusa che, in fondo, la lingua sia un fenomeno orale e che la scrittura sia stata sviluppata solo come una tecnologia per registrare il parlato. Filosofi come Jacques Derrida in Francia e Alva Nöe negli Stati Uniti hanno resistito a quest’idea e hanno invece asserito l’indipendenza e l’autonomia della scrittura nei confronti del parlato. Dobbiamo inoltre tenere in considerazione che la scrittura stessa sembra sia derivata da immagini, anche se molti sistemi alfabetici ormai hanno perso l’aspetto pittorico. Nei fumetti le nuvolette sono indicatori pittorici: esse indicano che le parole scritte rappresentano parole parlate. Quindi abbiamo la lingua parlata rappresentata dalla lingua scritta, e la lingua scritta rappresentata a sua volta da un’immagine della scrittura.

Così la confluenza dell’immagine, della scrittura e del parlato che ci offrono le nuvolette dei fumetti è una fonte feconda per fare filosofia in modo concreto. In questo articolo (che anticipa alcuni temi di un libro che sto scrivendo: A Certain Gesture: Evnine’s Batman Meme Project and Its Parerga!, cfr. https://simonevnine.com/the-batman-meme-project/) userò dei meme realizzati con quest’immagine tratta da un fumetto di Batman per muovermi fra due poli: il primato del parlato e l’autonomia della scrittura.

Un meme è spesso definito come “immagine con testo”. Ma cosa vuol dire “con”? Se mettiamo la nostra immagine con una colonna sonora, arriviamo a qualcosa che penso non sia un meme, anche se è un’immagine con testo:

Qui abbiamo invece un meme con le stesse parole realizzate in una modalità diversa: Robin dice: «Quando gli studenti scopriranno che tipo di persona veramente sei ti odieranno per sempre». Batman risponde: «L’ho fatto intenzionalmente», al che Robin dice «Ganzo!». Per sottolineare il fatto che si tratta di un’immagine della scrittura ho reso la parola “groovy” a mano, variopinta, perché così è… ganzo!

Consideriamo invece il meme seguente:

Qui il testo della versione precedente è presentato in un’immagine del testo in Braille. La scrittura è disegnata per essere vista, quindi un’immagine del testo che usa la scrittura ha tutta l’informazione che serve per essere decifrata. Scrittura e immagine vanno insieme. Ma l’alfabeto Braille è un alfabeto tattile. Un’immagine del testo che usa il Braille pittoricamente manca l’informazione più importante, la ragion d’essere del Braille. Scrittura e immagine qui non vanno insieme. Per la persona che non vede, il connubio è inutile, e il fatto che “groovy” sia lasciato variopinto quasi un insulto. Mentre la forma dei punti è, secondo Aristotele, un sensibile comune, cioè accessibile a più di una modalità di percezione (vista e tatto), il colore è un sensibile proprio, accessibile unicamente alla vista. Dunque, mentre nella versione precedente il colore aggiunge qualcosa al testo, questa seconda versione sottolinea che alla rappresentazione pittorica della lingua scritta manca qualcosa.

Consideriamo un altro esempio. In inglese il nome dell’oratore romano Marco Tullio si pronuncia “sisero”, anche se i Latinisti ci dicono che la pronuncia vera sarebbe “chichero” o, secondo la fonetica inglese, “kikero.” Pensiamo a un meme in cui Batman svolge il ruolo di un professore di latino che se la prende con lo studente Robin. Come potrebbe essere l’immagine di questo meme, considerando che, in inglese, tutte e due le pronunce del nome hanno la stessa forma scritta, “cicero”? Ecco una proposta:

La nota a piè di pagina, ovviamente, è un fenomeno esclusivamente scritto. Si possono leggere le note ad alta voce ma non si può parlare con le note. Nel meme usiamo la scrittura come rappresentazione del parlato, come indicato dalle nuvolette. Quindi, in un certo modo, è illecito mettere le note dentro le nuvolette. Usare le note sovverte il ruolo delle nuvolette, che è quello di indicare che la scrittura rappresenta il parlato.

Ma c’è di più. Nella misura in cui la scrittura alfabetica rappresenta il parlato, lo fa comunque in modo imperfetto. L’imperfezione è molto più evidente in inglese che in italiano (ed è per quello che abbiamo in inglese la parola “to spell” (specificare le lettere una per una per scrivere una parola) che non esiste in italiano). Ma anche se una lingua fosse completamente fonetica ci sarebbe comunque il problema che avrebbe le sue regole fonetiche. Lingue diverse, regole diverse. Ed è per questo che esiste l’alfabeto fonetico internazionale, un unico sistema per rappresentare in scrittura qualsiasi parlato. Le note in fondo dicono “Questa è una rappresentazione scritta del nome parlato….” usando l’alfabeto fonetico internazionale per disambiguare le due pronunce del nome “Cicero”. Vediamo ora un meme metafisico.

La frase alla base dice: “Le origini della metafisica neoplatonica”. Questa asserzione suggerisce che il meme offrirà una spiegazione, probabilmente umoristica, di queste origini. In due parole secondo la metafisica neoplatonica l’unica vera realtà è spirituale. Il mondo materiale è una immagine, o meglio, una riflessione di questa vera realtà. Questa metafora dello specchio è molto diffusa nel platonismo e nel neoplatonismo ed è quasi una chiave per capire questo approccio filosofico. Non è una sorpresa quindi che si veda nel meme uno specchio nella mano di Robin. Si capisce che la spiegazione umoristica delle origini della metafisica neoplatonica coinvolgerà un gioco di riflessioni.

Robin domanda a Batman: «Cosa c’è?», e Batman risponde: «Non c’è niente». È uno scambio quotidiano, anche banale. Ma Batman e Robin usano un idioma inglese che contiene la parola “matter”. Letteralmente: “Cosa è la materia?” e “Niente è la materia”. “Materia” vuol dire anche ciò che forma il mondo materiale. Nello specchio vediamo un’inversione speculare (imperfetta) delle parole di Batman che dice “La materia non è niente” invece che “Niente è la materia”. La riflessione può suggerire a Robin la dottrina neoplatonica secondo cui, appunto, la materia non è niente — il mondo materiale non è una vera realtà ma solo una riflessione del mondo spirituale. Attraverso la riflessione delle parole Robin arriva a una metafisica della riflessione.

Ma c’è una considerazione più profonda alla base, una considerazione che ha a che fare con l’immagine, la scrittura e il linguaggio parlato. Un’immagine può essere riflessa. Quando la lingua è scritta, si può raffigurarla (ma non sempre in un modo che le fa pienamente giustizia – ricordatevi la scrittura Braille) e quindi si può rifletterla. Quando la lingua è parlata, invece, le riflessioni non hanno nessun ruolo. La funzione delle nuvolette è di trasformare un’immagine in una rappresentazione del linguaggio parlato. La scena, quindi, è quasi un paradosso. Lo specchio ci costringe a trattare l’immagine del parlato come un fenomeno linguistico visibile, a sé stante. Per quel motivo vediamo riflesse nello specchio non solamente le parole scritte/parlate ma anche una parte della nuvoletta.

Un ultimo esempio è ispirato al koan zen in cui un maestro dice a un principiante: «Puoi sentire il suono di due mani quando battono l’una contro l’altra. Ora mostrami il suono di una sola mano che batte». La frase “Il suono di una sola mano che batte” viene tradotta in inglese “The sound of one hand clapping”. “Clap” vuol dire “applaudire” e fa rima con “slap”, che significa “schiaffeggiare”. Ecco dunque un meme dal titolo “The Sound of One Hand Slapping” (“Il suono di una sola mano che schiaffeggia”).

Ovviamente, contrariamente al suono di una sola mano che batte, il suono di una sola mano che schiaffeggia è ben noto. Ma questo effetto sonoro non fa parte del meme. Questi meme sono solamente immagini. Sono silenziosi. Quindi, in un meme, il suono di una mano che schiaffeggia è un paradosso, tanto quanto il suono di una mano che batte. Poiché le nuvolette servono a indicare il parlato, il loro essere vuote è un parlare silenzioso. Ulteriormente, il vuoto porta alla nostra attenzione il modo in cui il suono dello schiaffo è rappresentato nell’immagine del meme. Le linee suggeriscono il fruscio dell’aria quando Batman muove con rapidità la mano sinistra. Analogamente, le linee che emanano dalla faccia di Robin rendono visibile il contatto della mano, sia il suono che produce sia la forza con cui si scaglia.

Immagine, scrittura, parola, silenzio. Il linguaggio ci circonda in tutte queste forme. Ogni volta che queste modalità interagiscono, però, avviene un’interferenza. Si aprono possibilità complesse ed a volte appare lo spettro del paradosso. Questa interferenza è un locus produttivo per la filosofia del linguaggio e in questo articolo ho cercato di mostrare il modo in cui io, personalmente, filosofeggio sul linguaggio — lo faccio in modo pratico, non discorsivo, con i meme.

*Grazie alla dott.ssa Giovanna Pompele per il prezioso aiuto nella traduzione, e grazie anche al prof. Enrico Terrone per il suo aiuto nel preparare il testo per la pubblicazione. Il testo è la versione rivista di una conferenza tenuta il 24 ottobre 2019 presso il Museo di Arte Contemporanea di Villa Croce a Genova, organizzata dalla galleria Unimedia Modern di Caterina Gualco in collaborazione con il Dipartimento di Antichità, Filosofia, Storia dell’Università di Genova.

*Simon Evnine insegna filosofia all’Universita di Miami: sevnine@miami.edu. 

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