Tra i registi più proliferi dello scenario attuale un posto speciale è riservato al francese Quentin Dupieux, che – complice una durata spesso molto breve – conta un totale di sette lungometraggi realizzati dal 2018 ad oggi. Questi film sono accomunati da una serie di elementi produttivi e narrativi ricorrenti che vanno a delineare una sorta di cinema episodico e antologico, che gravita attorno ad un tema, tesi, concetto, di volta in volta differente in virtù del quale prendono forma opere con i caratteri del divertissement. Che sia una grande mosca ammaestrata, un’ossessione per i vestiti di pelle o una scala che permette di andare avanti nel tempo, il cinema di Mr. Oizo tendenzialmente mostra la volontà di mettere in scena un’unica idea bislacca e ironica a sostegno di tutto l’insieme.

Un cinema divertente e divertito che si concretizza attraverso due componenti che sembrano dare consistenza e identità alla poetica di Dupieux: metacinema e surrealismo. Ecco perché la realizzazione di un film sulla – o sarebbe meglio dire “con la” – figura di Salvador Dalí, alle prese a sua volta con la realizzazione di un film su sé stesso, appare come un traguardo raggiunto fin troppo in ritardo. Il lavoro svolto su Dalí quale icona surrealista permette di conferire alla presenza dilagante del surreale una giustificazione narrativa e di far sì che possa intrecciarsi con il discorso metacinematografico.

Esplicativa la prima apparizione. Il pittore fa il suo ingresso camminando in un lungo corridoio di un hotel in direzione videocamera. Ad ogni cambio inquadratura, però, nonostante continui a camminare imperterrito con passo deciso, la sua distanza non sembra mutare rispetto alle donne che attendono il suo arrivo, dando l’impressione di un corridoio infinito che stride con l’effettiva scenografia. Il surrealismo che Dalí – e Dupieux con lui – porta con sé irrompe quindi nella forma influenzandone la struttura: non è soltanto Dalì a fare il suo ingresso nello schermo, quanto piuttosto il concetto stesso di surrealismo e di rifiuto della ragione.

Se Luis Buñuel in Quell’oscuro oggetto del desiderio (1977) utilizzava due attrici estremamente diverse – dai tratti somatici al colore dei capelli – per la rappresentazione del personaggio di Conchita, Daaaaaali! si immette nella tradizione cinematografica surrealista rilanciando la posta in gioco tramite l’impiego di ben cinque attori differenti per l’interpretazione di Dalí, riconoscibili all’istante e di varie età: dal giovane all’adulto, dall’anziano al vecchio in sedie a rotelle. Gli interpreti si alternano all’interno delle scene arrivando addirittura a sovrapporsi – attraverso l’irruzione di un’interprete nelle scene di un altro – senza rispettare una chiara motivazione se non quella di giocare all’interno delle (non) regole del surrealismo.

Dupieux abbandona allora l’esposizione lineare di Doppia pelle (2019) o Mandibles (2020) e quella episodica di Fumer fait tousser (2022), per tornare a lavorare con un impianto anarchico a scatole cinesi come in Réalité (2014). L’approccio dada alla narrazione si combina coerentemente – sempre se di coerenza si possa parlare in questo contesto – con l’aspetto onirico che aleggia dall’inizio alla fine. Durante una cena un vescovo racconta a Dalí un bizzarro sogno che si basa sulla realizzazione di un piccolo quadretto realizzato dall’artista, con protagonisti l’uomo di chiesa e un cowboy dotato di fucile. L’escamotage del “sogno perenne” e del “sogno nel sogno” viene sfruttato come pretesto per dar corpo alla dimensione surrealista del film – ora nella forma ora nel contenuto, volendo considerarli due fattori distinti – alimentata dall’utilizzo della continua ripetizione dei medesimi segmenti narrativi.

Ad essere innanzitutto surreale è dunque la stessa struttura dell’opera, le sue stesse componenti come la scelta degli interpreti e le soluzioni di montaggio. Svincolato dalle tradizionali e lineari regole narrative, il senso di divertimento che si cerca di trasmettere passa in prima misura dalla dimensione strutturale di Daaaaaali! piuttosto che da azioni ed eventi propriamente mostrati e raccontati. L’insistenza sull’espediente della ripetizione investe l’intero tessuto narrativo ed è messa in luce in maniera efficace da quel “sogno che non vuole terminare”, da quella reiterazione – ai limiti dell’estenuante – della scena rivelatrice in cui il vescovo annuncia la (apparente) fine della digressione onirica. Una fine che sembra non sopraggiungere mai realmente. C’è davvero una separazione tra sogno e realtà? Esiste un reale che non sia macchiato dal surreale?

Questa ripetizione diventa anche ripetizione metacinematografica: non soltanto un sogno nel sogno nel sogno, ma anche un film nel film nel film come avveniva in Nonfilm (2002). Così come i confini di inizio e fine sogno vengono meno in un’imprevedibilità espositiva, anche i confini tra il film che guardiamo e il film realizzato all’interno della narrazione sono abbattuti. Il film che osserviamo coincide e al contempo non coincide con il film realizzato a livello diegetico. A fare da collante tra le due o più dimensioni subentra la figura del pittore che – in quanto simbolo, incarnazione, del surrealismo tout court – ha il potere di controllare l’impianto narrativo e muoversi al suo interno, di manipolare e dirigere la finzione scenica e le sue regole.

Nelle battute finali, Dalí è in campo ad osservare su un piccolo televisore il film che si sta realizzando (e che noi stiamo guardando) e alla scritta «fine», in veste di regista del tessuto surreale dell’opera, impone delle modifiche che si realizzano mediante un’ennesima reiterazione continua della scena: indossare una camicia differente, essere da solo nell’inquadratura, avere l’ultima parola prima della conclusione. Tramite l’insistenza per la ripetizione dai risvolti stranianti, Dupieux sembra quindi realizzare uno dei suoi film a tesi più divertiti (ma non più divertenti), ragionando su sé stesso in quanto regista erede del surrealismo e sulle declinazioni del concetto di surrealismo cinematografico. E quale modo migliore per farlo se non con l’aiuto di (alcuni) Salvador Dalí.

Daaaaaali!. Regia: Quentin Dupieux; sceneggiatura: Quentin Dupieux; fotografia: Quentin Dupieux; montaggio: Théodore Julia; interpreti: Édouard Baer, Pio Marmaï, Gilles Lellouche, Anaïs Demoustier, Pierre Niney, Jonathan Cohen, Alain Chabat, Didier Flamand; produzione: Atelier de Production, France 3 Cinéma; distribuzione: Diaphana Distribution; origine: Francia; durata: 77′; anno: 2023.

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