“Un’opera ancora urgente”: la formula d’uso che, in quarta di copertina, introduce la recente edizione Feltrinelli (2023) di Cultura e imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto coloniale dell’Occidente di Edward W. Said a trent’anni dalla sua pubblicazione è sostenuta dai riverberi spettrali emanati dagli assetti geopolitici del presente, in cui il riconoscimento di retaggi e persistenze traccia una linea di continuità tra le edizioni. Al contempo, l’avverbio espone un arco temporale che si fa misura di uno statuto acquisito, in cui il portato del pensiero dell’autore rischia di assestarsi.

Significativa, al riguardo, la rinuncia al consistente apparato di commento che affiancava l’edizione per la collana Orienti di Gamberetti del 1998. Nella pre e postfazione, rispettivamente a firma di Joseph A. Buttigieg e Giorgio Baratta, accanto all’autorevole inquadramento nell’alveo germinativo del pensiero gramsciano, le annotazioni sul raggio di impatto dei lavori di Said e sulle forme controverse della loro ricezione riflettevano, pur nei modi della constatazione, l’effervescenza e la temperatura del confronto che, sollevato dall’urto “tellurico” di Orientalism (1978) e dall’assordante presa di parola di The Question of Palestine (1979), continuava a richiedere, trasversalmente, di prendere posizione tanto all’interno del dibattito accademico quanto nella sfera pubblica e politica.

La fortuna editoriale italiana dell’intellettuale cresciuto nell’ambito della comunità palestinese arabo-cristiana, transfuga che fa dell’esilio un vessillo, morto a New York nel 2003, si inscrive nella svolta impressa dallo «straordinario» e «terribile» anno 1989 (Baratta 2023, p. 397). Agli inizi degli anni novanta escono Orientalismo (Bollati Boringhieri,1991; Feltrinelli, 1999) e La questione palestinese. La tragedia di essere vittima delle vittime (Gamberetti 1995); seguono le più tempestive pubblicazioni di Dire la verità. Gli intellettuali e il potere (Feltrinelli 1995) e, a qualche anno di distanza, di Cultura e Imperialismo, nella citata edizione Gamberetti, per la traduzione di Stefano Chiarini, fondatore della casa editrice, e Anna Tagliavini, ai quali si deve anche la versione, rivisitata, di Feltrinelli.

La scansione del panorama italiano ricompone in un quadro sinottico il processo compositivo di Cultura e Imperialismo che, nella sua introduzione, Said indica quale ripresa e sviluppo dell’interrogazione del nesso cultura-impero solo in parte confluito in Orientalismo e in seguito elaborato in cicli di conferenze tenute negli anni ottanta negli Stati Uniti ed altrove. Nel dichiarare l’intento di testare la dimensione sistemica del progetto di dominio europeo attraverso l’esame di testi su Africa, India, parte dell’Estremo Oriente e Caraibi, ascrivibili ai canoni cosiddetti africanisti o indianisti, l’autore raccoglie le obiezioni sollevate sul carattere circoscritto del lavoro precedente.

Al risalire di Orientalismo alla Grecia antica – dove si ravvisa nell’«immediatezza drammatica» del ritratto delle donne asiatiche in lutto dei Persiani di Eschilo il principio di oscuramento del dispositivo rappresentazionale—, subentra in Cultura e imperialismo una messa a fuoco sul XIX secolo da cui approdare ai successivi nuovi ordini mondiali sino alle contestuali questione palestinese e Guerre del Golfo. Dal romanzo europeo ottocentesco, quale espressione estetica pregnante dell’ordine imperialista nelle implicazioni intessute con la forma della nazione – secondo una direttrice che porta da Benedict Anderson a Homi Bhabha –, Said insegue la traslazione di quei dispositivi discorsivi di impianto dicotomico, poggianti su retoriche civilizzatrici e su quelle «figure della razza» (Giuliani 2015), atti a predisporre e supportare politiche egemoniche, constatandone l’indefessa vitalità negli scenari mediali odierni, tra cui il cinema. Se la prima parte si propone come ampliamento di Orientalismo, a saggiarne la tenuta, la seconda propone una riarticolazione dell’approccio concettuale che apre alle pratiche di resistenza culturale e politica marcandone il carattere non episodico e l’incisività di lungo corso in grado di rimodulare “destini” disegnati nei copioni dominati.

Lungi dal costituire una giustapposizione di carattere meramente contrastivo, la sezione introietta la forma contrappuntistica. A partire dalla valenza scardinante e rivelatrice dell’agentività storica altrui – «non è mai accaduto che la partita dell’imperialismo vedesse in campo un invasore occidentale attivo contro un indigeno non occidentale passivo e inerte» – l’innesto mira alla ricomposizione degli oggetti culturali e della nozione stessa di cultura quali risultante dinamica del campo di tensioni che vi si dispongono, passibile di qualificarsi in relazione ai modi delle interazioni, date o percepite: da campo di battaglia in cui le diverse cause «si mostrano alla luce del sole e si contrappongono», ad arena teatrale («a sort of theatre») in cui la prossemica si fa performativa (Said 2023, p. 16). Se, lavorando sul dettaglio, lo sguardo analitico mette a fuoco ora questo ora quell’attore e le coreografie di volta in volta illuminate od oscurate, la destinazione del suo procedere è tuttavia la scena incubatrice di drammaturgie alternative da quelle in essa rappresentate.

Lo spazio del «contrappunto», generato dal e tra il movimento delle linee, si coniuga con la categoria del «lontano» cui rispondono l’interrogazione letteraria della prima parte – le modulazioni dei rapporti tra Occidente metropolitano e territori d’oltremare – e la selezione testuale. La presenza di opere – come Grandi speranze di Dickens (1861) o Mansfield Park di Jane Austen (1814) –, apparentemente incongrue all’angolazione analitica dichiarata in quanto tradizionalmente collocati all’interno della storia metropolitana, è indotta da una volontà di scartare le evidenze per guardare all’“oltre” nel suo statuto di presenza che insiste, preme e, soprattutto, partecipa alla modellazione dell’universo narrativo.

Se nei trent’anni intercorsi dalla sua pubblicazione il dispiegamento critico e informativo di Cultura e imperialismo, nutrito dal vaglio metodologico cui è stato sottoposto, è divenuto riferimento condiviso tra discipline e orientamenti di studio, persiste l’urgenza posturale che cadenza l’intera riflessione di Said: di “un essere nel mondo” che, tenacemente, fa del mondo l’orizzonte del proprio posizionamento; un luogo da cui costantemente sporgersi come antidoto alla velleità di comprenderlo. Di qui il rifiuto della perimetrazione nazionale di autori e opere del pensiero e delle arti, nonché della loro riduzione a una rappresentatività identitaria che reclama una fedeltà esclusiva e pertanto escludente (a ciascuno «i propri classici prima di quelli degli altri paesi»), condivisa dai nazionalismi «difensivi e di reazione» (Said 2023, p. 34). Di qui l’estraneità a processi di cancellazione, per un «secolarismo» che fa dell’intreccio – brutale – delle storie il solo terreno su cui costruire.

Riferimenti bibliografici
B. Anderson, Comunità immaginate, Manifestolibri, Roma 1996.
G. Baratta, Individuo e Mondo. Da Gramsci a Said, in E. W. Said, Cultura e imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto coloniale dell’Occidente, Gamberetti, Torino 1998.
H.K. Bhabha, Nazione e narrazione, Meltemi, Roma 1997.
J.A. Buttigieg, Postfazione, in E. Said, Cultura e imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto coloniale dell’Occidente, Gamberetti, Torino 1998.
G. Giuliani, Il colore della nazione, Le Monnier Università, Firenze-Milano 2015.
E.W. Said, Orientalism, Pantheon Books, New York 1978.
Id., The Question of Palestine, Times Books, New York 1979.
Id., Culture and Imperialism, A. Knopf, New York 1993.
Id., Representations of the Intellectual: The 1993 Reith lectures, Vintage, New York 1994.

Edward W. Said, Cultura e imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto coloniale dell’Occidente, Feltrinelli, Milano 2023.

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