Perfect Day (1972) di Lou Reed, Lighthouse (2012) di Patrick Watson, Altrove (2003) di Morgan. La storia raccontata da Francesco Bruni nel suo ultimo film viene scandita da queste tre tracce che, assumendo la funzione di controcanto emotivo, sospendono per qualche minuto la vita del regista Bruno Salvati (Kim Rossi Stuart) per lasciare lo spettatore da solo a confrontarsi con le immagini.

Con Perfect Day siamo nella stanza dell’ospedale in cui l’infermiere Nicola (di Bari, anche se ha nostalgia di Polignano di fronte a una Roma uggiosa), rimuove una ciocca di capelli dopo l’altra dalla testa di Bruno; così, scopriamo che quest’uomo ha un tumore del sangue e che sta per iniziare il ciclo di chemioterapia che precede il trapianto di cellule staminali che potrebbe salvargli la vita. Con Lighthouse, lasciamo l’ospedale ed entriamo nella casa del regista: il tempo di intercettare il suo sguardo assente durante una cena con l’ex moglie (Lorenza Indovina) e i due figli (Fotinì Peluso e Tancredi Galli) e poi Bruno ci porta di nuovo fuori, concedendoci la possibilità di entrare nel sogno in cui – da funambolo vestito di luce – percorre il confine che lo separa dalla morte. Altrove è il punto in cui si arriva, quella porzione di spazio e di tempo in cui Bruno non sa ancora collocarsi: nell’acqua del Tevere, lo vediamo un’ultima volta mentre sale su una barca, accolto dalla Dottoressa Laura (Raffaella Lebboroni) insieme agli altri “trapiantati”. Alla fine, ciò che emerge è una forma di comunanza tra noi e Bruno, una comunanza che ha il suono della domanda: cosa sarà?

Girato tra Livorno e Roma esattamente un anno fa, Cosa sarà? appare a tratti profetico del nostro presente, forse proprio a partire dal titolo che era stato scelto inizialmente: Andrà tutto bene. La formula che nei mesi scorsi abbiamo imparato a riconoscere come mantra consolatorio nei disegni dei bambini che ci ammonivano da ogni finestra – quasi a ricordarci la certezza di un futuro che ci sarà, anche se non si bene quando – è stata sostituita da un secondo titolo che, per una bizzarra e strana congiuntura tra finzione e realtà, rappresenta perfettamente la sospensione in cui ci troviamo in queste settimane. Con l’introduzione delle recenti restrizioni e la chiusura dei luoghi di cultura, non possiamo non abitare lo spazio di questa domanda.

L’evidenza di tale “sentire comune” appare con chiarezza in alcune scene del film che, pur essendo inserite in un contesto specifico e medicale, mostrano una profonda connessione con la nostra quotidianità e con le nostre paure: l’utilizzo della mascherina, della cuffia e del camice sterile per accedere a un ambiente igienizzato; il divieto assoluto per Bruno di aprire la finestra della stanza in cui è degente perché nell’aria ci sono virus per i quali lui non possiede più gli anticorpi necessari; infine, la proiezione del film nella sala cinematografica dell’ospedale in cui quasi tutti indossano le mascherine. Ma non sono soltanto questi aspetti a renderci partecipi della sensazione di spaesamento di Bruno.

Azzardando un’altra lettura di questo personaggio, riscontriamo la presenza di una frattura fondamentale risalente al periodo dell’infanzia, una frattura che lo accompagna e lo condiziona fortemente nel corso della sua intera esistenza. Ne è testimonianza l’esplosione dei ricordi che appaiono all’improvviso, disegnando una crescente separazione di Bruno dal resto del mondo: nella prima scena, lo vediamo mentre sta giocando nel giardino di casa con una macchinina rossa e una gialla, quando arriva un altro bambino che – dal cancello – gli chiede se può prenderle. Poi, il bambino sparisce portandole via con sé, insieme alla promessa che sarebbe tornato, mentre Bruno si trova incastrato in uno spazio dal quale non può scappare, privato della libertà di correre dietro a quello sconosciuto che gli ha sottratto ciò che aveva di più caro.

In un altro ricordo, sua madre (Elettra Dallimore Mallaby) gli dà i soldi per andare a comprare il latte, rassicurandolo che lei sarebbe stata lì ad aspettarlo al suo ritorno: quando Bruno entra nell’ascensore, preme il tasto del piano sbagliato e si trova in un appartamento vuoto. Vedendo che non c’è più nessuno, urla e piange fino a quando non accorre la madre dal piano di sopra, mentre la bottiglia di vetro cade a terra spaccata su un piccolo lago bianco. Bruno ha patito il fatto di essere stato considerato dai suoi genitori delicato e sensibile per conoscere la verità della vita e, in un certo senso, per affrontare la vita stessa. Sarà proprio uno dei segreti taciuti a donargli la certezza di provare a guarire: una figlia illegittima, Fiorella (Barbara Ronchi), nata dalla relazione del padre (Giuseppe Pambieri) con un’altra donna, accetterà di sottoporsi alle procedure mediche per la donazione necessaria a contrastare la patologia di Bruno.

Inoltre, grazie a questo incontro, il protagonista riuscirà a sanare anche il rapporto contrastato con il bambino che era. Appaiono quindi altri ricordi: il presunto “ladruncolo” di macchinine aveva mantenuto la promessa ed era tornato a giocare con lui; il Cicciobello ricevuto in dono per un Natale non era un modo del padre per metterlo alla prova, ma era destinato a Fiorella che, in quello stesso anno, aveva scartato un carro armato. In altri termini, c’è sempre stata un’altra parte della storia che Bruno aveva trascurato di considerare, troppo impegnato a preservare la sua fragilità emotiva, quella stessa parte che sembra emergere in maniera prepotente quando qualcosa di incontrollabile accade dentro al suo corpo. Cosa succede quando è il corpo – e non più noi – a riconoscersi fragile, a dirci in fondo che possiamo soffrire di noi stessi nella misura in cui non dobbiamo preoccuparci di curarlo?

Andando oltre i possibili giochi di parole che possono essere fatti sul nome del protagonista, è questo il paradosso che Bruni racconta, finzionalizzando un’esperienza che è appartenuta al suo corpo ma che non può essere la sua storia. In questo senso, Cosa sarà? compie un passo ulteriore rispetto a Scialla! Stai sereno (2011) e a Tutto quello che vuoi (2017): Bruno riesce a crescere da solo, senza affidarsi a una figura paterna che possa in qualche modo spronarlo, dandogli gli strumenti giusti per crescere. Non ci sono i libri con i quali Bruno Beltrame (Francesco Bentivoglio) cerca di educare Luca (Filippo Scicchitano) e nemmeno le poesie grazie alle quali Giorgio Gherarducci (Giuliano Montaldo), inconsapevolmente, lima il carattere di Alessandro (Andrea Carpenzano). In questo racconto, l’unico contributo che il padre di Bruno riuscirà a dare al figlio per la sua guarigione è una rivelazione sotto forma di enigma che, tuttavia, diventerà anche la sola via percorribile per camminare sul cornicione senza cadere giù.

Adesso Bruno ha imparato a passeggiare su una piccolissima porzione di spazio, bilanciando bene il peso del proprio corpo, mantenendo le braccia dritte per non perdere l’equilibrio. Si compone così, un altro ricordo di Bruno bambino che, una volta, aveva rischiato di precipitare dal balcone di casa sua, per un episodio di sonnambulismo che lo aveva spinto ad arrampicarsi sulla ringhiera. Ora, non sarà più la paura di cadere a guidarlo ma la consapevolezza che, qualsiasi cosa accadrà, non ci sarà mai nulla di certo.

Riferimenti bibliografici
R. De Gaetano, A. Maiello, a cura di, Virale. Il presente al tempo dell’epidemia, Pellegrini, Cosenza 2020.

Cosa sarà? Regia: Francesco Bruni; sceneggiatura: Francesco Bruni; fotografia: Carlo Rinaldi; montaggio: Alessandro Heffler, Luca Carrera; musiche: Ratchev&Carratello; interpreti: Kim Rossi Stuart, Lorenza Indovina, Giuseppe Pambieri, Barbara Ronchi, Raffaella Lebboroni, Nicola Nocella, Fotinì Peluso, Tancredi Galli, Elettra Dallimore Mallaby, Stefano Rossi Giordani; produzione: Palomar, Vision Distribution; distribuzione: Vision Distribution; origine: Italia; anno: 2020; durata 101′.

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