Gianni Vattimo

Nel convento europeo si parla poco delle religioni. Nella struttura di una costituzione di Valéry Giscard d’Estaing non si trovano le parole cristianità, religione e Dio. La “carta dei diritti fondamentali” che dovrebbe essere inserita nella costituzione invece contiene un riferimento all’ “eredità spirituale e religiosa” dell’Europa. Lei stesso ha sempre sottolineato che democrazia e laicismo si siano sviluppati grazie all’eredità cristiana. Non sarebbe allora giusto nominare esplicitamente questa eredità cristiana, proprio per appoggiare democrazia e divisione di stato e religione? Se i “grandi racconti” della modernità che erano in massima parte negative verso la religione, hanno perso la loro plausibilità, non bisognerebbe ripensare i timori a proposito ad una menzione della religione e addirittura del cristianesimo?

Noi in Italia abbiamo avuto di recente una disputa sui crocifissi nelle aule scolastiche. La mia posizione su quel tema è: finche nessuno obietta, teniamoceli. Non so se è una grande esperienza religiosa, perché il crocifisso diventa come qualunque altro oggetto dell’essere conforme allo stato di cose. Dunque, forse è persino un danno. La questione della costituzione europea è un po’ la stessa: intanto primo, non so se nella costituzione italiana che è stata fatta con una maggioranza di cattolici dopo la seconda guerra mondiale, non so se ci sia un’allusione a Dio…

…in quella tedesca esiste e anche in quella americana.

Ovviamente, in quella americana certo. Mi domando se anche questo non diventi un segno di contraddizione. Se qualcuno obietta e dice: io così non mi ci sento, come possiamo metterla? È tutto un fatto anche questo di democrazia, non di fede o non fede. Io sono convinto che anche la laicità dello stato è importata dalla religione cristiana. Però riuscire a mettere in una costituzione l’idea che evochiamo la religione cristiana, perché ci ha preparato la laicità dello stato, è molto complicato visto che si tratta di mettere dei principi. Quindi le eredità religiose-spirituali dell’Europa io le trovo un po’ più convincenti. Oltretutto ci sono degli atei. Questi atei possono essere dei buoni democratici quanto noi cristiani. Dove li mettiamo? Già chiamarli religiosi-spirituali è complicato perché ci potrebbero essere dei materialisti puri. Però anche affermare il materialismo non è una cosa che fa la materia, è scritto nei libri, ci sono tipi che lo predicano, quindi: tutto sommato religioso-spirituale mi va bene.

Mi pare più importante dal punto di vista culturale. Oggi i conflitti religiosi o etnici in Europa, là dove ci sono, invece di essere limitati o attenuati da un ricordo così nella costituzione, sarebbero certamente aumentati. Ora, però, la tradizione religiosa in che senso può contribuire ad attenuare questi conflitti? Riconoscendo reciprocamente tra pensiero laico e pensiero cristiano le radici comuni, le provenienze, il che significa nella filosofia quello che faccio io. Non necessariamente deve diventare un’affermazione politica che in questo momento comunque suscita più disaccordo di quanto faccia accordo. Dobbiamo anche considerare questo. Cosa farebbe Gesù Cristo in questa situazione? Direbbe: sentite, se questo vi fa tanto arrabbiare, lasciate perdere. Non siamo mica qui per scannarci come ai tempi delle crociate.

Nessuno dei presidenti americani si è richiamato a Cristo, ma tutti si sono richiamati a dio. Questo dio è da una parte il dio di una religione civile, ma dall’altra parte ha tratti che appartengono chiaramente al dio del vecchio testamento. Il Suo concetto di secolarizzazione non va meglio insieme ad un’allusione a Cristo che a Dio? In questo caso si avrebbe un’America più “maschile”, più violenta con un riferimento a dio e un Europa più debole e meno violenta con un riferimento a Cristo…

Se dovessi io scrivere da solo la costituzione dell’Europa, forse ci penserei di più. Siccome questo però deve essere una cosa accettata comunemente, credo che valga di più proprio in questo caso, più che il principio della verità, il principio della carità. Cioè: è per amore del mio prossimo, compresi i musulmani, gli altri, ecc., che io non insisto su questa roba. Poi devo dire anche che la costituzione degli Stati Uniti è stata fatta nel Settecento e questo rispecchiava una condizione storica diversa. Notiamo che gli Stati Uniti poi, quando si sono costituiti, tutti erano d’accordo su quello. E poi via via gl’immigrati che venivano, venivano più o meno obbligati, per ottenere la cittadinanza, a giurare su quella costituzione. Se gli Stati Uniti dovessero darsi una costituzione oggi, precedendo quella precedente, non so se la farebbero in questo modo. Soprattutto perché il giorno che dovessero fare un’assemblea costituente, dovrebbero esserci rappresentate tutte le minoranze, cattoliche, protestanti, musulmane, ebraiche. Quindi sostanzialmente penso che le costituzioni hanno anche un significato storico. Per esempio, la costituzione degli Stati Uniti per noi non serve in questo momento perché la nostra storia è diversa. (Come le memorie di casa: uno mica cambia la casa quando muoiono i genitori e deve ricominciare di nuovo. Tira avanti con gli stessi mobili, e ci si sente bene, man non, se la dovesse scegliere da zero, forse si se la farebbe arredare da qualcun altro, farebbe costruire la casa da Philip Johnson, un postmoderno assoluto ecc.)

Lei ha descritto la carità come il limite della secolarizzazione. È una affermazione di fede, questa, o si tratta di una affermazione filosofica, cioè che si può fondare in modo razionale?

La carità non é un principio teorico. Questo è il punto, e questo è anche una grave difficoltà. Ma Gesù Cristo, si, ha predicato anche la carità, ma nessuno si è convinto in base a delle argomentazioni, ma in base al fatto che ci è stata una comunità che lui ha costruito intorno a sé e che era fondata su questo principio, che però non è un principio dimostrato: abbiamo scoperto che la carità va bene, adesso la applichiamo. Era una faccenda più complicata ed è complicata anche per me, se ci penso in puri termini filosofici. Cioè: come si aderisce a una filosofia? Perché uno viene convinto? Ma come diceva Fichte, la filosofia rispecchia ciò che uno è. Era una affermazione deterministica? Nel senso: tu sei alto e biondo e hai una filosofia alta e bionda, se sei piccolo e bruno, no. Credo che sia una presa di coscienza realistica, cioè, che c’è un rapporto tra quello che ci appare ragionevole, che io teorizzo, e qualche cosa d’altro della mia vita che non è derivato da ciò che teorizzo. Naturalmente l’incontro col giovane ricco di Gesù è: Gesù vistolo, lo amò. Non è che gli ha detto: ti dimostro che Dio è uno e trino ecc. e tu di conseguenza…

Non so, è stato un altro tipo di rapporto. E così il rapporto tra il principio della carità e i contenuti non è che c’è un principio teorico che limita altri contenuti teorici. C’è una prassi che io assimilo per sentimento, per irrazionalità, perché sono stato persuaso da ciò che mia mamma… perché se no mi picchiava, oppure perché ci sono delle persone a cui voglio bene, che professano quella religione. Però questo io non lo risolvo. Sono solo convinto che effettivamente la verità di una teoria è da me accettata o anche argomentata e provata sulla base di una specie di appartenenza originaria. Questa appartenenza non è un’appartenenza rigida. Io mi muovo sempre dentro un ambito in cui posso scegliere, sono nato cristiano, battezzato, ma potrei farmi musulmano. Però anche il principio in base a cui mi farei musulmano sarebbe perché poi mi sono abituato a vivere con dei musulmani, sto bene con loro… O un harem, per esempio, cosa che effettivamente potrebbe essere utile, per tranquillizzare. C’è un bel libro di Jean-Luc Nancy, L’expérience de la liberté, che mi ha impressionato anche se ne ho letto poco, dove lui insiste su una cosa che io ho sempre pensato ma non ho mai articolato bene, del resto non si articola, perché siccome sembra scandaloso, uno non la dice, la pensa, e sta lì: la libertà non è un fatto teorico ma un fatto pratico. Come fanno i popoli a diventare liberi? Dimostrando al principe che la libertà è un diritto? Il principe se n’è sempre infischiato di questo. Andando sotto il palazzo del principe con i forconi, dicendo: vogliamo la nostra libertà.

Persino la teoria dei paradigmi di Kuhn è un riconoscimento di questo. Certo, l’ermeneutica lo è. L’ermeneutica dice: La comprensione è interpretazione di un precompreso, che la verità è articolazione interna di una prensione preliminare che ci è data con noi. Non ci è data nel senso che siamo nati così e via. Ma ci è data come la lingua, la lingua non l’abbiamo mica imparata studiando la grammatica. Le altre lingue le impariamo con una grammatica, però è scritta nella nostra lingua materna. Io credo molto che questo non significhi irrazionalismo, significa storicità che possiamo sempre continuamente articolare. Gran parte di “Sein und Zeit” di Heidegger intornia questa roba qua. Io sono un progetto gettato, geworfener Entwurf, questo vuol dire: sono capace di progettarmi a partire da condizioni che non ho stabilito io e mi progetto tanto meglio quanto più riesco a fare di necessita virtù, cioè, apprendere quelle condizioni e farne strumenti per me. Lui allora distingue l’eredità del passato fra Tradition e Überlieferung. Tradition è quella del tradizionalismo. Quello che è stato è stato, io devo solo essere fedele a quello. Überlieferung è un passato che mi si trasmette come un insieme di possibilità, in cui io posso scegliere, sempre standone dentro, perché non sono il padre eterno, non mi faccio da me. Hegel sapeva anche questo, quando diceva che bisogna consumare tutte le premesse. La famosa battuta che Hegel dice una sera in un banchetto con gli studenti: bisogna digerire tutto, verkauen, zerkauen[5], non so…

 …verdauen…

…quello è un po’ così. Però intanto quello che mangi anche nella dialettica hegeliana, diventa te, ma tu non lo puoi assimilare completamente. Quando hai mangiato pane e salame tu sei più pane e salame, certo, trasformato. Allora tutto questo è complicato ma indica la finitezza. Per questo tutto sommato i giusti del vecchio testamento potevano essere giusti. Perché non si tratta di contenuti precisi che devo buttar via, accettandone altri. Si tratta di un modo di vivere dentro la propria finitezza che se ne rende responsabili, che la trasforma, ecc. ecc. Certo, il principio della carità non può essere argomentato come un principio teorico. Ci si può persuadere attraverso discorsi persuasivi, retorici, come se io cercassi di convincerti che la nona sinfonia è meglio che una canzonetta, cosa potrei fare? Si vede che la struttura della canzonetta è molto più semplice e la nona è molto complicata. Però dovrei anche farti accettare l’idea che una struttura più complicata è meglio che una struttura semplice. E come farei? Attraverso un’altra struttura, attraverso un altro ragionamento? No, facendotela ascoltare più volte, portandoti in concerti, facendoti vedere che il pubblico delle canzonette sembra più cretino del pubblico dei concerti, delle cose così, ma certo mai dimostrando attivamente la cosa. Penso che questo comunque è uno degli ossi duri della filosofia…Tutta la modernità è stata, sì, un arrivo a Descartes e poi un abbandono di Descartes, da Kant, Hegel, ecc., sono tutti modi di riconoscere questa sorte di appartenenza, gli a priori Kantiani, la storicizzazione hegeliana, Heidegger…

Ancora una domanda a proposito della secolarizzazione: Da qualche anno si comincia a parlare dell’era post secolare (postsäkulares Zeitalter).

Ah si, siamo già in un postsäkularen Zeitalter?

Habermas ne ha parlato per esempio.

Cosa vuole dire, postsäkulares Zeitalter? Non ho mai capito cosa vuole dire di preciso…

Habermas si mette tra due correnti: da una parte, nelle scienze naturali, nella tecnica, specialmente nelle tecniche genetiche, la secolarizzazione va avanti, si estende all’uomo e provoca una assoluta strumentalizzazione dell’uomo, (nella quale anche la carità non vale più). Dall’altra parte bisogna contare, anche in reazione a questo, con la durata delle religioni e delle chiese. La società post-secolare si colloca tra le due.

Io penso che questo corrisponda benissimo all’idea Habermasiana del fatto che bisogna difendere la modernità in qualche modo, che la modernità è un progetto non completo. E che quindi a un certo punto non sia la carità quello che limita la secolarizzazione, ma qualche cosa d’altro, insomma i diritti del 89 gira e gira, cioè: anche questa idea che adesso la tecnologia, la secolarizzazione è arrivata ad un punto in cui minaccia l’umano e che quindi non possiamo più immaginarci solo sulla linea della secolarizzazione, perché qualcosa deve pur resistere, mi sembra sempre una cosa troppo poco audace. Per esempio: Habermas applicherebbe questo in terreni come la bioetica, dove, in fondo, un po’ paradossalmente, oggi le chiese cristiane sembrano difendere il nocciolo umano contro la disumanizzazione.

Io sono più ottimista, più nietzschiano in questo caso, cioè penso che per esempio anche clonare gli individui in base a che cosa dovrebbe essere contro la legge naturale? I gemelli esistono. Quando una signora dà alla luce sette gemelli tutti gridano: miracolo! Sono contenti. Non è che dicono: sette? No, al massimo uno o due. La Lettera sull’umanismo di Heidegger era anche questa. Fino a che punto possiamo anche essere radicalmente umanisti, che poi, l’umanismo era anche poi l’ideologia della società borghese dell’Ottocento. Quando Adorno, per esempio, critica le canzonette in fondo critica quella gente che non ha potuto imparare a suonare personalmente, non capisce bene la struttura musicale, si lascia portare. Ma questo è proprio una roba da salotti borghesi, cioè, se tu non appartieni a quella categoria lì, sei un poveretto. Non ho una teoria da contrapporre, però penso che finché non è minacciata l’anima, cioè la libertà degli individui, la capacità di rispondere, si può andare dove si vuole, compresa la manipolazione genetica, compresi gli embrioni.

Certo, dici, un clone sarebbe libero? Ma anch’io mica sono nato per mia determinazione, non ho deciso io di nascere. Quindi, a rigore, si tratta sempre di praticare la nostra finitezza in modo che sia possibile trascenderla, cioè, in modo che io che sono un progetto gettato, ma sono anche un progetto. Io per ora non ho altri principi che questi. Dobbiamo discutere di aborto? Si, ma chi lo chiedo, se una signora deve abortire o no? Prima di tutto a lei. Non pretendendo di ascoltare la voce dell’embrione che non so se ce l’ha. Certo, è una potenzialità di vita, ma allora, siccome c’è stata l’evoluzione nel mondo, anche uccidere una scimmia è grave perché potrebbe sempre diventare un umano.

Ma è veramente grave uccidere una scimmia! Dalla teoria dell’evoluzione si può anche concludere di rafforzare i diritti degli animali.

Questo lo credo anch’io. Però: Noi normalmente non riconosciamo diritti di voto agli scimpanzé. Allora: Non dobbiamo ucciderli, infatti li uccidiamo il meno possibile. Però, per esempio, uccidiamo ancora le mucche. E i microbi? E i moscerini, dai quali sembra che il dna sia più simile al nostro? Insomma, si fan degli studi sul dna dei moscerini, il quale è semplice ma anche molto simile a quello umano, e non so, è una cosa che complica la vita. Io continuo a pensare che bisogna riconoscere la libertà fondamentalmente a coloro che possano rivendicarla. Ma i deficienti? Gli handicappati? Certo, ma allora riconosco la libertà a molti di coloro che gli stanno intorno. Poi, la mia libertà comprende anche il fatto che non voglio vivere in una società dove si uccidono i deficienti e gli handicappati. Però non che loro portino una natura di cui io devo essere il difensore perché la capisco meglio di loro. Se no, a questo punto, posso anche convertire per forza al cristianesimo i primitivi delle foreste che invece credono gli spiriti, perché anche loro non capiscono di cosa si tratta.

Per cui è complicato, ma secondo me è più umano, più cristiano, più caritatevole, fondarsi sul principio della libertà. Preferisco pensare che questo principio è un risultato di un’ulteriore più piena secolarizzazione del cristianesimo, piuttosto che un limite che dice: no, adesso basta con la secolarizzazione, dobbiamo riconoscere i diritti fondamentali. Io credo che i diritti fondamentali sono anzitutto quelli di organizzarsi una vita sulla base dei diritti esplicitamente riconosciuti. Ma questo è secolarizzazione. Quest’idea di un post secolare mi sembra leggermente bigotto…Non so cosa ne pensi Sloterdijk di questo, ovviamente dirà che è una pazzia. Io poi non sono sempre d’accordo con Sloterdijk, ma l’idea che possiamo spingerci un po’ più in là, purché rispettiamo il principio della libertà, ma non i principi di certi limiti che ci sembrano naturali, come dice la chiesa, su questo io sono piuttosto dalla parte di Sloterdijk.

Habermas direbbe che, chi è stato manipolato e lo sa, comincia ad altercare con le intenzioni dei suoi designer. Il fatto che queste intenzioni siano anche incorporate in modo genetico lo porta in una asimmetria permanente verso i suoi creatori, in differenza dell’educazione verso la quale mi posso liberare.

C’entra sempre questa idea che Habermas ha, però, di riuscire a figurarsi un ideale di non manipolazione. Se mio padre fosse stato un ubriacone io verosimilmente sarei meno intelligente. E poi tutte le manipolazioni sotto cui è passata l’umanità? Cosa ne so io se gl’influssi della luna non mi manipolano. Voglio dire: naturalmente io mi arrabbio se so che uno mi ha trasformato in modo di fare di me una macchina per uccidere. Non sono neanche tanto sicuro di potere mai avere un’idea chiara di che cosa avrei potuto essere perché io sono fatto di condizioni. Quello che mi preoccupa in Habermas è sempre quest’idea di poter sapere com’è la natura non manipolata, la società non opaca. Questo comporta sempre il pericolo che ci sia una categoria non manipolata che mi spiega anche in che senso sono stato manipolato. Ma non sarebbe anche una manipolazione? L’ermeneutica è prendere sul serio quello che gli altri mi dicono, cercando di convincermi, che magari hanno torto, che sbagliano. Se poi comincio a sospettare non solo che io sono stato manipolato, ma che tu sei stato manipolato, è finita, perché è molto più facile pensare che io non sono manipolato, ma tu lo sei, quindi devo remanipolarti a mia volta. Trovo che ci sia una contraddizione di base in questo.

Nella parte opposta a Habermas si trova Boris Groys che dice: nell’era della tecnologia genetica tutto dipenderà da una decisione, se uno si definisce uomo o no, che la nostra libertà dipende dalla auto-interpretazione. Andrebbe anche Lei fino a questo punto?

No, non fino a questo punto, ma sempre nel senso che non devo produrre altri individui che siano meno liberi di me.

Ma qui entra di nuovo la natura.

No, non é la natura. Se mi sento libero avrei il dovere di rispettare tutti gli altri come interlocutori del mio livello. Quindi non dovrei produrre un individuo, un clone come deposito di organi di ricambio, perché è come se creassi uno schiavo. E creare uno schiavo è per me immorale, è come violare l’imperativo kantiano che poi è l’imperativo di carità. Se io amo l’altro, posso anche tentare di amare l’altro mentre mi riproduco. Si dice alle donne incinte di non fumare, per esempio, perché se no il bambino nasce deforme. Questo mi sembra il rispetto per l’altro. Tutti i lavori di manipolazione genetica, clonazione, potrebbero anche essere per me immorali, quando non sono fatti in vista del mantenimento e del potenziamento di quelle qualità che io considero positive. In questo senso è vero. Sempre con un po’ di dubbio. Se potessi fare un clone capace di partire per marte domani e di viverci là, potrei avere qualche dubbio se sia giusto produrlo o no. Ma certo, è come un gioco di bilancia. Se potessi creare un individuo umano immortale che può viaggiare per lo spazio, andare a vedere cosa c’è su marte, anche se poi non lo dice a me, con qualche limitazione della sua libertà, qualche rischio… vorrei vedere chi si rifiuterebbe di farlo. Non so se mi spiego. È sempre un problema di prudenza, non c’è un principio assoluto.

Sono convinto che essere una persona con degli impulsi è bello, ma sostenere che non si deve cambiare questo modello perché è il meglio di tutto, io già su questo avrei dei dubbi. Naturalmente, se la sperimentazione porta gravi rischi che poi non si possa tornare indietro, ovviamente non la faccio, ma è una questione di prudenza. Anche dire che Dio è una persona non so se è un complimento o è una bestemmia, perché gli attribuisco solo quello che io ho di meglio. Ma il buddismo direbbe che questo è una blasfemia. In questi terreni qui che non riguardano più solo la mia determinazione individuale, ma altri individui, posso muovermi paradossalmente soltanto in base alle leggi, cioè in base ad un incontro con gli altri. Questo è fondamentale. Del resto, la pena di morte nel passato si è sempre distinta dall’ assassinio, perché era decisa da un tribunale che rappresentava una comunità, un autorità. Io credo che su questo potrei persino ridiventare sostenitore della pena di morte, perché è vero che noi abbiamo sempre da fare con la vita e la morte. Allora l’idea di dire, non dobbiamo toccarla…Si, però, quando per esempio devi salvare uno dei due gemelli siamesi, ci sono sempre delle situazioni…

Allora lì si tratta di attenuare la responsabilità individuale, rivendicando una responsabilità collettiva, una legge, una consultazione dell’altro, così, quando una donna vuole abortire, io non sono dell’opinione che dice: vuoi abortire? Fallo. Ma c’è il consultorio, ci sono quelli che dicono: ma no…, guardi…, che stia attenta che…, dopo di che, se lo vuole fare… Come se uno si vuole suicidare. Non posso legargli continuamente mani e piedi…Lo persuado, discuto, gli do da mangiare e da bere, lo rivesto, poi se si vuole buttare dalla finestra, che si butti. Però hai ragione: Ci sono delle situazioni, in cui devo calcolare il meglio possibile le conseguenze. Quando la cosa riguarda solo me, posso, tutto sommato, gestire la mia libertà più o meno come voglio, senza limitare quella degli altri. Quando riguarda qualche cosa di più, anche gli OGM, per esempio, che si diffondono sull’aria e modificano le coltivazioni, su questo io ci devo andare cauto, perché riguarda tutti. Perciò devo prendere decisioni comuni, argomentare, discutere, vedere vantaggi e svantaggi.

Leggendo i suoi scritti ho visto una parallela tra secolarizzazione da Lei e decostruzione da Derrida. Entrambi sono concetti principali e entrambi vengono limitati da principi religiosi: da Lei come cristiano si tratta della carità, cioè di un principio cristiano, da Derrida si tratta di un principio più ebraico, cioè da giustizia.

A questo non ci avevo mai pensato, che la decostruzione potesse sembrare la secolarizzazione, perché la secolarizzazione a me sembra sempre come una “Weiterkonstruktion“, più che come una “Dekonstruktion“. Sospetto sempre che in Derida ci sia l’idea di raggiungere un “Nullpunkt“, un punto originario che lui sicuramente non raggiunge, perché la scena è sempre doppia, cioè, anche se arriviamo a l’arché c’è sempre una duplicazione originaria. L’idea non è tanto un’idea favorevole verso la storia, “geschichtsfreundlich“, ma è piuttosto “geschichtsfeindlich“, cioè, è un’idea alla Rousseau. Sempre un’idea che si sono stratificate delle cose, rispetto a cui noi dobbiamo prendere le distanze, mentre io voglio costruire delle altre stratificazioni. Nietzsche sarebbe dalla mia parte, cioè, non è togliere le maschere, ma costruire altre maschere, simboli sempre nuovi.

Derrida non sarebbe del tutto contro questo, ma cosa fa lui quando decostruisce? Risale a delle situazioni diverse, mostra delle componenti differenti, con il risultato però sempre che, secondo il tono della fenomenologia francese, alla fine c’è una specie di epoché. Non c’è un impegno, e questa è la difficoltà. Sì, certo: l’idea della giustizia è ancora una volta molto ebraica, cioè è tornare ad una specie di comando originario, di alterità originale. La giustizia poi, secondo lui, sarebbe l’apertura all’altro, e in questo sono d’accordo. Però questo altro è così generico, così poco storico che al limite potrebbe anche essere Hitler. Glielo già detto qualche volta. Naturalmente è paradossale, però uno, la cui alterità è garantita, che non è soltanto la ripetizione di un vecchio nemico… Io ho un modello, cioè: se l’atro che arriva è troppo dissimile da Cristo, non lo accetto, perché c’è una cesura nella storia ecc. ecc. Lui non ce l’ha. Rimane sempre un po’ come un prendere le distanze dalla scena di questo mondo che è sempre ambigua, per cui il risultato della costruzione, se non vuole essere la scoperta di un principio puro, è sempre il ritrovamento di una oscillazione. Ma l’oscillazione, c’est la vie. Cioè: a cosa mi serve? Per questo preferisco la secolarizzazione.

*Intervista realizzata a dicembre 2002, inedita in italiano. 

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