La commedia all’italiana rimane ancora la lente più efficace e potente per leggere il presente sociale e politico del nostro Paese. E ci dice che la scena pubblica e la vita italiana mettono in gioco sempre due elementi: da un lato le maschere, cioè i caratteri e dunque i “sentimenti” che da questi vengono incarnati, dall’altro le storie, cioè i “racconti” attraverso cui prende corpo l’immagine del futuro di una comunità.
In assenza di maschere e narrazioni nessun discorso pubblico né scena politica possono essere efficacemente costruiti. E questo diventa chiaro anche dai simboli presentati per le prossime elezioni politiche: c’è quasi sempre il nome – e dunque il carattere – del leader politico vicino al vero e proprio simbolo, che identifica la storia del partito (molto evidente nel caso della fiamma di Fratelli d’Italia). L’assenza del nome del leader sulla scheda non è un atto indifferente, oggi. E nei casi in cui la storia di un partito è breve, il carattere del leader è costretto a sovraesporsi: come vediamo nel cosiddetto polo liberale di Calenda e Renzi, dove la leadership assume espliciti connotati narcisisti.
I sentimenti hanno sempre un radicamento reale, definiscono il reale vero e proprio. Misurano sempre lo stato di un soggetto e di una comunità. Ed è proprio con questo reale, anche nei suoi aspetti più scabrosi (quando i sentimenti arretrano a pulsioni), che un progetto politico deve misurarsi. Il posizionarsi rispetto a questo reale, talvolta preso in carico e spesso cavalcato, talvolta espunto ed esorcizzato, definisce l’articolarsi della scena politica, e ci permette di capire meglio perché oggi la distinzione sinistra-destra va pensata altrimenti. Un altrimenti che già la nostra commedia aveva presentito e rappresentato, con uno sguardo sul quel misto di costumi, geografie, ideologie, pulsioni che definivano la società italiana e che scartavano le distinzioni politiche (come nelle commedie della Wertmüller).
Dunque, maschere e narrazioni. Sentimenti ed azioni. Quali sono questi sentimenti in assenza dei quali nessuna azione può essere convincente? E quali i valori e le azioni conseguenti? Indichiamone solo alcuni.
Tradizione. Il riconoscimento dell’appartenenza ad una tradizione comune rafforza la sicurezza identitaria e sociale. La Destra fa della tradizione e dei valori più angusti che la fondano – Dio, patria e famiglia – uno dei suoi punti di forza. La Sinistra non ha saputo contrapporvi molto e ha mantenuto solo attraverso la maschera di Bersani e dei suoi proverbi, come depositari di un sapere popolare, un legame con un passato condiviso. Tolto Bersani, nessun legame sentimentale con il passato è emerso. E senza un farsi carico, anche sentimentale, del passato, nessun nuovo può essere realmente immaginato. Ci si trova in una No Man’s Land.
Protezione. La richiesta diffusa di protezione sociale ha trovato risposta, tra le altre cose, nel reddito di cittadinanza promosso dal Movimento 5S. Alla base vi è un sentimento di fragilità individuale, economica e sociale. Qualsiasi cosa si pensi in merito, va riconosciuto come si tratti di una risposta ad un dato reale e ad un sentimento antropologicamente radicato nella cultura italiana. Rispetto a tale sentimento bisogna scegliere se alimentarlo o invece contrastarlo, o addirittura ribaltarlo. Quello che non si può fare è maneggiarlo come una sorta di dispositivo tecnico, ignaro della domanda che lo alimenta e della richiesta di “empatia” a cui si appella come risposta al “patetico” di una condizione di povertà (o al commedico quando tale condizione è simulata o quando il welfare diventa esclusiva ed ambita condizione esistenziale: da Checco Zalone a Ficarra e Picone).
Azione!. Esiste una richiesta anche indeterminata di cambiamento che sembra muoversi deliberatamente contro la resistenza delle situazioni. Una richiesta di agire per aprire il futuro, rescindendo i ponti con le situazioni date. Questo interventismo euforico e fibrillante, che passa soprattutto attraverso i social, e che spesso prende le forme di una fiducia urlata proprio perché al suo interno scettica, trova nelle maschere di Calenda e Renzi (letterali alazon o miles gloriosus) l’incarnazione. E nel nome stesso della lista risuona il “ciak” con cui si dà avvio ad una ripresa cinematografica di cui si vede però l’organizzazione convulsa del set.
Il passato della Tradizione, il presente della Protezione, il futuro dell’Azione: le tre dimensioni del tempo nel prendere forma di sentimenti e scelte politiche. Si tratta di rispondere a quel reale che brontola e minaccia, plasmato da sentimenti individuali e sociali anche rabbiosi, e che non può essere ignorato. Tenerne conto non significa necessariamente essere populisti, semmai non essere elitari (e questo è ancora il successo della nostra commedia a testimoniarcelo meglio di altro).
Le risposte ai problemi non prendono mai consistenza se staccate da un sentimento di fondo (oggi incarnato soprattutto dalla leadership) e da una narrazione complessiva del mondo che la politica deve operare (le cosiddette “promesse”). Certo nelle tre risposte si intravedono anche i rischi: che il passato sia oggetto di nostalgia, che il presente si areni in una stagnazione, che il futuro sia disancorato e dunque più astratto che reale.
E la Sinistra in tutto questo? Già da tempo ha eluso il reale e la sua scabrosità, archiviandolo come populista, e nascondendolo in cantina. Si è occupata di arredare un salotto, di apparecchiare la tavola nell’illusione che questo bastasse (e questo basta naturalmente, ma ad una parte minoritaria dell’Italia). E di governare questa tavola attraverso la capillare distribuzione di paure ed ansie (nascoste sempre da un ragionevole argomentare) per tenere legate a sé le persone: prima attraverso la radicalità eccessiva delle scelte fatte durante la pandemia, molto al di là del pur necessario rigore che la situazione richiedeva, determinate anche a compensare una sicurezza che sul piano sociale non riusciva a garantire, ora attraverso la paura del fascismo per l’eventuale vittoria delle destre.
Usare la paura non solo non serve a vincere, ma soprattutto proietta nuovamente sul paese e sulla cittadinanza un’immagine di sfiducia. Sia perché quel pericolo ha a monte non il leader politico minaccioso ma il vicino di casa spesso mansueto, sia perché in qualunque modo finiscano le elezioni, il futuro di una comunità si decide in tante forme (e non solo nel momento della delega) che vedranno protagonista l’intera cittadinanza e si attueranno nel campo ampio di una discussione pubblica. Costruire consenso alimentando paure è una sconfitta a prescindere.
Meglio riprendere allora ciò che è stato abbandonato, e trasformare il sentimento pervasivo di spaesamento per la presenza di un’alterità in una opportunità. Meglio riprendere allora lo ius soli, questione realmente epocale e dirimente, capace di trasferire su un piano geografico e territoriale quella consistenza presente come ius sanguinis solo sul piano temporale della tradizione. Una scelta che ribalterebbe il sentimento di resa davanti all’invecchiamento della popolazione, alla denatalità, e alla paura dell’altro verso il quale si riesce a sviluppare solo uno sguardo solidale e umanitario.
Solo così la scena politica potrebbe sottrarsi al gioco infinito di maschere della commedia all’italiana e avvierebbe quella “comunità di incontro” che più e meglio di altri ci ha raccontato il cinema americano.