L’insieme dei caratteri comuni imposti dall’ambiente e dall’ereditarietà a tutti gli individui di un popolo costituisce l’anima di questo popolo. Tali caratteri sono di origine ancestrale e pertanto molto stabili. Ma quando, sottoposti a diversi influssi, un certo numero di uomini si trovano momentaneamente riuniti, l’osservazione dimostra che ai loro caratteri ancestrali si aggiungono caratteri nuovi, profondamente diversi, da quelli della razza. Il loro insieme costituisce un’anima collettiva possente ma transitoria. Le folle hanno sempre avuto nella storia una parte importante, ed oggi più considerevole che in qualsiasi altra epoca. L’azione inconscia delle folle, sostituendosi all’attività cosciente degli individui, rappresenta una delle caratteristiche del nostro tempo (Le Bon 2004).
È la Prefazione di Gustave Le Bon a La psychologie des foules, l’opera che lo ha reso un classico nel panorama degli studi sui comportamenti collettivi. Metodologicamente ancora poco matura, piena di imprecisioni, previsioni fallaci, contraddizioni epistemologiche, è talmente calata nelle questioni che interessavano quegli anni e così densa di intuizioni e ipotesi suggestive sui destini e le derive delle azioni degli individui riuniti in gruppi, da essere stata ampiamente discussa e, spesso, recepita in vari campi delle scienze umane e sociali. Non a caso vi si sono cimentati studiosi come Sigmund Freud, di cui Le Bon è considerato un precursore, Carl Gustav Jung, Joseph Shumpeter. Molto feconda anche per la sociologia, La psicologia delle folle è stata significativa per molti studiosi. Tra i primi, Vilfredo Pareto, che la recensì nel 1900 e la consigliò in lettura ai suoi studenti, ne rimase chiaramente condizionato, tanto che nel Trattato adottò il termine «residuo» alla maniera di Le Bon per indicare l’insieme di istinti e sentimenti che si dimostrano persistenti nella storia dell’umanità. A seguire, ci ha hanno fatto i conti sociologi come Robert Park che, a partire da questo testo, e confrontandolo con il pensiero di Gabriel Tarde, propone la sua distinzione tra “folla” e “pubblico”. O come Theodor Adorno e Max Horkheimer, che ne Le lezioni di sociologia, pur criticando l’opera, evidenziarono come «dopo le esperienze degli ultimi decenni si [sia] costretti ad ammettere che, almeno alla superficie, le tesi di Le Bon sembrano aver trovato conferma in misura sorprendente anche nelle condizioni della modernità tecnica, in cui pure si era creduto di poter contare sulle masse umane ormai illuminate».
Così anche Robert Merton, che nell’introduzione alla traduzione del 1963 de La psychologie mise in evidenza come l’opera, pur ricca di pessime idee, quale quella di razza, per una media molto elevata fosse attraversata da idee buone e vitali. Lo stesso utilizzo del termine razza, che a lungo ha pesato sulla valutazione degli scritti di Le Bon, secondo Merton, non va inteso quale espressione di un pensiero razzista, ma come un termine impiegato erroneamente per intendere un tratto, un carattere sociale. Quella cultura di una società che prima o poi può essere scalzata da un’altra, come si evince dalle pagine dedicate al rapporto tra Occidente e Oriente. Infine, tra i sociologi che si sono confrontati con Le Bon, un ruolo importante lo ha avuto Serge Moscovici che, nel suo L’età delle folle, lo ha riabilitato dalle aspre critiche di Raymond Aron e ne ha rimarcato l’importanza per essere stato tra i primi a porre attenzione all’impatto dei comportamenti collettivi e di massa nei processi storici.
Fin dalle prime righe dell’opera che lo ha consegnato alla riflessione scientifica sono dunque chiari i punti essenziali e controversi del pensiero di Le Bon. In particolare, vi si rintraccia ampiamente la questione della pervasività esercitata dall’inconscio collettivo sulla razionalità individuale. Questione che Le Bon affronterà in tutti i suoi scritti, fino a Les opinions et les croyances, del 1911 (trad. it. Come nascono le opinioni e le credenze, Le Bon 2021). Ma su quale tipo di sapere si basano i comportamenti inconsci? Qual è il rapporto con la ragione? E con l’esperienza? Si può dire che nello scritto del 1911 Le Bon articoli il problema individuando nella fede e nelle credenze, e nel loro essere un prodotto dell’inconscio, irriducibili alla ragione e confuse per conoscenza, la condizione che incide sui comportamenti collettivi. Capaci di influenzare le azioni degli uomini, sotto l’influsso di elementi mistici ed emotivi che nessun pensiero razionale è in grado di mitigare, di svelare, di confutare, perché indipendenti da esso e legati a fattori che agiscono sull’inconscio – come prestigio, affermazione, suggestione e contagio – la fede e le credenze influenzano chiunque. Finanche lo scienziato.
Abbiamo visto fisici praticanti studiare sperimentalmente le radiazioni create solo dalla suggestione nella loro mente e accademici eruditi votare un premio considerevole per una scoperta che è improvvisamente scomparsa il giorno in cui gli osservatori, strappati dalla suggestione, hanno smesso di vedere il fantasma generato da quella suggestione […]. L’unica differenza reale tra una credenza scientifica, imposta dai fattori descritti, e le credenze religiose, politiche o spirituali imposte dallo stesso meccanismo, è che in maniera scientifica l’errore viene eliminato abbastanza rapidamente sostituendo la conoscenza alla credenza. Per certezze basate su elementi affettivi o mistici, dove non è possibile una verifica immediata, l’osservazione, la ragione, l’esperienza stessa, rimangono quasi senza effetto (Le Bon 2021, p. 414).
La credenza è dunque un atto di fede inconscia. Se la ragione vi si misura, non può nulla, perché la credenza è già formata. Se poi viene verificata dall’osservazione e dall’esperienza diviene conoscenza, ma ancora una volta a posteriori. Tanto che nulla può l’esperienza contraria di fronte a una credenza, perché la forza con cui la credenza si cristallizza si impone al sapere e alla memoria della stessa esperienza, che risultano sempre parziali e momentanee. Pure la scienza deve tradurre i risultati dell’osservazione in credenza per assicurare loro una durata. Anche perché la scienza ha come orizzonte una infinità di altre osservazioni possibili.
Allo stato attuale delle nostre conoscenze, scriveva Le Bon a conclusione de Les opinions, siamo guidati da tre ordini di verità: verità affettive e mistiche, verità razionali. Tutte e tre derivano da logiche diverse e non hanno una misura comune. Ma è nelle prime due, inconsce, che si trova la radice dei nostri comportamenti e delle nostre opinioni, individuali e collettive: esse arrivano a guidare la stragrande maggioranza degli atti della nostra vita quotidiana e nessun argomento razionale può limitarle, perché nessun argomento razionale può fermare gli impulsi attivati a tale livello. È l’impotenza della ragione di fronte al misticismo e alla emotività della credenza. Una argomentazione e uno spirito critico quanto mai attuale, e anticipatorio, se posto in relazione alla società contemporanea, imbrigliata tra scettici a oltranza e fideisti della scienza. Ma soprattutto messa di fronte a verità che mostrano ancora oggi tutta la debolezza del loro valore euristico e il loro tracimare nel regime delle credenze.
Riferimenti bibliografici
G. Le Bon, Psicologia delle folle. Un’analisi del comportamento delle masse, TEA, Milano 2004.
Gustave Le Bon, Come nascono le opinioni e le credenze, OAKS, Sesto San Giovanni 2021.