Gli uomini cadenzano il passo della marcia al ritmo di un canto che è, allo stesso tempo, richiesta di accudimento e derisione del totalitarismo fascista: “Un’ora sola ti vorrei, per dirti quello che non sai ed in quest’ora donerei la vita mia per te” (la canzone del 1938 è di Nuccia Natali). Gli uomini in divisa cadenzano il passo della marcia nel porto di La Spezia, il 29 settembre del 1940, pronti a partire per la missione “Agguato”, mentre tre donne li seguono da lontano, in silenzio, e solo con lo sguardo. Una di loro pensa che moriranno tutti e che in quelle bare resterà soltanto uno spreco di vita. È la Seconda guerra mondiale: gli uomini in divisa cadenzano il passo della marcia su quello del comandante Salvatore Todaro (Pierfrancesco Favino), battendo forte il tempo coi piedi sulla terra, resistendo al pensiero che il mare porterà loro la morte. Comandante, il film che inaugura la 80. Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, si inscrive nella storia recente, riportando alla memoria le vicende legate al Cappellini, sottomarino della Regia Marina italiana. Come mostra anche la scelta di scrivere il romanzo con Sandro Veronesi a partire dalle vicende raccontate nel film (2023), l’operazione di Edoardo De Angelis si emancipa da una semplice drammatizzazione per mostrare il carattere tragico dell’evento in tutta la sua complessità.
Attraverso molteplici riferimenti alla tradizione greca antica, Comandante adotta un lessico che, pur afferendo a un preciso contesto bellico, è in grado di dialogare in maniera efficace con il presente. Questa caratteristica si staglia chiaramente sin dalla scena in cui, come si anticipava poc’anzi, Todaro avvia il canto, come se fosse un inno, con il solo intento di dare conforto ai soldati e di infondere loro coraggio. È ancora Todaro a chiedere al cuoco Gigino (Giuseppe Brunetti) di assumere la funzione di “aedo” quando le riserve di cibo inizieranno a scarseggiare e sarà suo compito porgere i piatti con brodi e passati recitando i nomi delle ricette italiane che conosce, accontentando così l’ecosistema vario che condivide gli spazi del sottomarino nel segno della differenza. Infine, è di nuovo il comandante a dettare i parametri utili affinché tutte le differenze siano annullate in nome di uno scopo comune che è mantenere una dignità umana seguendo le leggi del mare, prima ancora che obbedendo agli ordini che provengono dalla terra.
Si tratta di un equilibrio tra gli elementi – acqua e terra – che già ne Il vizio della speranza (2018) era stato restituito dalla figura di Maria (Pina Turco) attraverso una mitologia che ruotava attorno alla maternità e alla morte, a cui qui fa eco la voce di Angelina (Arianna Di Claudio) che parla di Gigino come colui che accudirà i compagni con la stessa premura di una madre che sfama i propri figli, pur sapendo che moriranno. Ecco allora che l’acqua diventa metafora di un rigurgito amniotico, un utero disseccato che espelle il corpo che ha custodito per il solo scopo di salvarlo e portarlo alla luce. L’acqua accoglie, protegge e nasconde il sottomarino, nello stesso spazio in cui transitano i nemici dai quali ci si deve nascondere di giorno per non incrociarne il fuoco. A completare la quadratura degli elementi, manca l’aria che può e deve essere recuperata soltanto di notte, quando si torna a navigare a vista, restando sempre protesi a cogliere i segni di un possibile agguato che porta persino a fumare le sigarette al contrario, per non lasciare traccia del proprio passaggio.
È proprio in una di queste notti che Todaro e il suo equipaggio avvistano una nave mercantile che naviga a luci spente e che, pur battendo bandiera belga e, di conseguenza, pur essendo neutrale rispetto alle operazioni belliche, li attacca. Dopo poco, la flotta del Cappellini affonda il Kabalo e Todaro decide di non lasciar morire in mare i ventisei naufraghi che, prima vengono riforniti di coperte e generi di conforto, poi sono invitati a salire a bordo per essere sbarcati sull’isola di Santa Maria delle Azzorre, il porto sicuro più vicino, dopo tre giorni di navigazione in emersione. La decisione di Todaro, contraria a tutti gli ordini ricevuti e al protocollo dettato dalla missione militare, risponde alla sola necessità di non abbandonare gli uomini in mare. Il film riesce in maniera efficace a non mitizzare gli ideali politici del personaggio interpretato con intensità da Favino, bensì a metterne in evidenza i valori che rendono anche lui “un uomo di mare”, o un “padre di famiglia” come si sente quando ordina a tutti coloro che sono sul sottomarino – italiani e belgi – di prendere a schiaffi i due naufraghi che hanno tentato di sabotare il sistema elettrico contestandone lo schieramento politico.
Come già accaduto per Il cattivo poeta (Jodice, 2020), le storie come quelle di Giovanni Comini e Salvatore Todaro mostrano un’altra prospettiva su coloro che sono stati parte attiva nell’affermazione del fascismo in Italia, inaugurando così l’apertura di un immaginario in cui c’è spazio per un’alternativa che non sia la diserzione, bensì il sovvertimento dall’interno, l’azione del singolo contro l’ordine del superiore. Continuando a seguire questa traccia, è possibile considerare anche il modo in cui i soldati vengono presentati: sono uomini che amano e soffrono, decidono di salvare l’altro, come Vincenzo Stumpo (Gianluca Di Gennaro), corallaro di Torre del Greco che sacrifica la propria vita per liberare il sottomarino da una mina, oppure di Danilo Stiepovich (Arturo Muselli) morto nel combattimento contro la nave belga, entrambi insigniti con la massima onorificenza dal comandante in mare, quel suolo in cui è lui il solo a detenere il potere e il privilegio della memoria, laddove il pensiero è esercizio di sopravvivenza.
L’invito a pensare una storia che può anche essere altro è, del resto, introdotto dalle prime scene del film in cui Todaro, dopo aver ricevuto la visita di due medici che lo rassicurano sul suo stato di salute a seguito dell’incidente aereo del 1933, ascolta la moglie Rina (Silvia D’Amico) che gli racconta come sarebbe la loro vita insieme al figlio, se il marito prendesse la decisione del congedo. Mentre Rina descrive le loro possibili giornate future, il viso di Todaro cambia per un momento espressione, per poi tornare a guardare la realtà così come il comandante è abituato a fare: uomo di guerra, ma anche uomo capace di vedere le cose, e di prevedere persino la sua morte – in mare, ma nel sonno. L’aspetto oracolare è un ulteriore elemento di raccordo con la cultura della Grecia antica che si palesa, inoltre, in un’altra pratica rituale: colto dal dubbio, Todaro si rivolge a un sarto affinché possa leggere negli aghi la conferma del suo destino. In risposta, riceverà un foglietto con delle parole scritte in greco.
Come gli dirà qualche mese dopo Jacques Reclercq (Johannes Wirix), naufrago del Kabalo, si tratta di una genealogia – comune ai poemi omerici – in cui si narra di Sisifo, figlio di Eolo e padre di Glauco che, a sua volta, generò Bellerofonte “perfetto e senza macchie”. Colti dall’aura del canto e dalla sua potenza, tutti gli uomini – in tempo di guerra, e soprattutto in tempo di pace – dovrebbero rischiare l’innocenza di un gesto che prescinde da qualsiasi giurisdizione o competenza territoriale, semplicemente per rispettare quanto l’acqua trasmette come insegnamento e monito per chi non sa ascoltare: non si sopravvive alla navigazione se il transito viene forzato a non trasformarsi, secondo natura, nell’attraversamento da un luogo all’altro.
Comandante. Regia: Edoardo De Angelis; sceneggiatura: Edoardo De Angelis, Sandro Veronesi; fotografia: Ferran Paredes Rubio; interpreti: Pierfrancesco Favino, Massimiliano Rossi, Johan Heldenbergh, Arturo Muselli, Giuseppe Brunetti; produzione: Indigo Film, O’ Groove, Rai Cinema, Tramp Ltd., V-Groove, Wise Pictures; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia; durata: 155′; anno: 2023.