Léo e Rémi presidiano la loro fortezza segreta quando, ad un tratto, sentono dei passi: qualcuno sta per invaderli. Come difendersi? Basta restare in silenzio e correre. Le sequenze iniziali racchiudono, nel contesto apparentemente spensierato del gioco e della fantasia, i maggiori turbamenti adolescenziali: Léo e Rémi corrono lasciandosi dietro l’angoscia persecutoria di perdere, nella trasformazione, l’unità del Sé. L’adolescenza, rappresentata come il luogo del disagio in cui lo scioglimento della simbiosi con l’adulto pone al centro il problema del Sé e dell’alterità, mette tutto in movimento e in trasformazione, al fine di costruire nuove identificazioni e prospettive, ed integrarle in un’idea armonica del Sé.
Grand Prix Speciale della Giuria al 75º Festival di Cannes, il secondo film di Lukas Dhont racconta un’amicizia estensiva e totalizzante tra due adolescenti, in cui è proprio lo stretto legame a servire come trampolino di lancio verso il segreto della propria identità. Infatti, la profondità della loro amicizia genera una nuova mente coabitata: una sorta di mente amicale che è molto più sicura e coraggiosa delle singole menti individuali e che aiuta, sia a pensare pensieri difficili, sia a relazionarsi con il gruppo degli altri. La fortezza fantastica, che è dall’inizio in poi circolarmente riproposta, interpreta il necessario bisogno di segretezza adolescenziale: ha la funzione di nuova cornice e custodia del Sé, facilitando la costituzione soggettiva dell’identità dei due ragazzi (Novelletto 1986).
L’inquadratura dei due accovacciati nel letto, mentre un raggio di luce li taglia obliquamente, corporizza il loro intimo legame: i corpi fremono, ma tacciono, non riuscendo a mentalizzare ciò che li attraversa. È proprio lo stretto contatto a dar vita ad un profondo rispecchiamento, che è rappresentato da un elemento simbolico ricorrente: il soffio. Se nelle prime sequenze è Rémi a soffiare in faccia alla madre o a soffiare nel suo oboe, nelle successive, è Léo a respirare e soffiare sul volto di Rémi: Léo sembra quasi assorbire l’individualità di Rémi, introiettando delle parti del suo Sé.
La relazione scaturisce dal riconoscersi reciproco, ed è vissuta in un’alternanza di legami e conflitti: di fronte al repentino cambiamento di Léo, che sceglie l’accettazione del gruppo, Rémi scoppia in lacrime aggredendolo. La conflittualità con le figure significative è talvolta uno strumento evolutivo, perché permette d’assumere un ruolo attivo, diventando un’occasione di contatto e di constatazione di differenze. L’assolutezza del loro legame, però, non accetta nessuna differenziazione e si sgretola immediatamente quando esibito nella dimensione sociale. L’inizio della scuola superiore è anche l’inizio di una crisi di connessione che condurrà ad un lento allontanamento: se all’inizio è quasi impercettibile, sarà poi destinato a cambiare per sempre la situazione.
È dalle considerazioni di Niobe Way (docente di Psicologica applicata alla New York University) in Deep secrets: Boys’ Friendships and the Crisis of Connection che Lukas Dhont trae dichiaratamente spunto. Way, nel suo saggio, riassume i dati raccolti osservando lo sviluppo dei ragazzi e le loro amicizie nella prima adolescenza: esse sono spesso contrassegnate da un intenso e fisico trasporto emotivo; tuttavia, col progressivo sviluppo adolescenziale, i ragazzi sperimentano una crisi di legame che l’autrice identifica come «crisi di connessione». Lo scontro con le pressioni imposte dall’odierna cultura ipermascolina produce un improvviso distacco emotivo e un negativo senso di indipendenza: sono le norme della mascolinità, definite nella seconda metà del XX secolo, a forgiare l’impulso moderno in cui la vulnerabilità emotiva con altri uomini è segno di sessualità.
Dhont mette in immagine come le conseguenze di questo irrigidimento possano essere definitive, basandosi sui dati che Way riporta nella sua opera: infatti, il tasso di suicidi per i ragazzi nella tarda adolescenza è maggiore rispetto al tasso delle ragazze, proprio a causa della forzata perdita del proprio linguaggio emotivo. Si rivela necessario, al fine d’evitare ciò, permettere loro di esprimere una gamma completa di capacità umane: essere empatici ed emotivi, avere amicizie intime ed esprimere il desiderio di averle. «La soluzione sta nella nostra volontà d’assumere un impegno morale ed etico per una fratellanza, una sorellanza e una comunità più umana, in cui avere relazioni di alta qualità, dove la nostra l’umanità comune sia riconosciuta e nutrita». (Way 2014)
Nel precedente Girl (2018), Dhont narra le difficoltà di un corpo in transizione, in cui un’identità sessuale già definita deve trovare la sua corrispondenza esteriore; in Close regredisce ad uno stato embrionale in cui l’identità dei due adolescenti è ancora un flusso indistinto. Lo spontaneo stato di indeterminazione di Léo e Rémi non può però esistere senza essere etichettato: le domande che, ingenuamente, le compagne di classe gli rivolgono testimoniano un’educazione improntata agli stereotipi e alle categorie prefissate.
Léo e Rémi, invece, almeno inizialmente, si lasciano trasportare da un flusso di emozioni libere e non classificabili, sperimentando una condizione di fluidità fisica e psichica. Attribuire loro un’identità sessuale, che è ancora in fieri, è degenerativo e sottrae la possibilità di auto-sperimentarsi e viversi nel flusso. Cosa sarebbero diventati Léo e Rémi? Non lo sapremo e non importa. Dhont espone tra le immagini la sua tesi: Léo e Rémy sarebbero diventati quello che erano destinati a diventare, nulla di più.
Nella seconda parte del film, Dhont cade nell’errore che aveva cercato di mettere in evidenza: dopo la morte di Rémi, il senso di colpa di Léo e Sophie (la mamma di Rémi, interpretata da Émilie Dequenne protagonista in Rosetta dei fratelli Dardenne) perde la sua portata spontanea ed espressiva, irrigidendo la fluidità di sentimenti non categorizzabili in forme prefissate. Nonostante ciò, dietro gli affanni e gli scatti improvvisi di Léo, che continua a correre nei continui pedinamenti della macchina da presa, si cela una specifica immagine di cinema che va da François Truffaut ai primi Dardenne.
In particolare, è emblematica la corsa di Léo verso il mare, poco prima del suicidio del suo migliore amico. Cosa intende trasmettere il regista? L’evidente omaggio a I quattrocento colpi (1959) di Truffaut potrebbe fornirci una valida interpretazione: come affermò Serge Daney, lungi da un finale speranzoso e risolutivo, si trattava della prima immagine di morte del cinema di Truffaut. L’improvvisa morte di Rémi è la deviazione della corsa, l’interruzione di un flusso che avrebbe dovuto avere il diritto di continuare a scorrere.
Riferimenti bibliografici
A. Novelletto, Psichiatria psicoanalitica dell’adolescenza, Borla, Roma 1986.
N. Way, Deep secrets: Boys’ friendships and the crisis of connection, Harvard University Press, Cambridge 2011.
Id., The friendship crisis: Why are boys so lonely and violent?, in “The Washington Post”, 2014.
Close. Regia: Lukas Dhont; sceneggiatura: Lukas Dhont, Angelo Tijssens; fotografia: Frank van den Eeden; montaggio: Alain Dessauvage; musiche: Valentin Hadjadj; interpreti: Eden Dambrine, Gustav de Waele, Émilie Dequenne, Léa Drucker, Kevin Janssens; produzione: Menuet, Diaphana Films, Topkapi Films, Versus Prod., VTM, RTBF; distribuzione: Lucky Red; origine: Belgio, Francia, Paesi Bassi; durata: 104’; anno: 2022.