Mario Tronti (1931-2023) è stata una figura tra le più interessanti della riflessione marxista italiana dagli anni Sessanta in poi: diventato famoso per un testo divenuto rapidamente molto noto, molto letto e molto citato come Operai e capitale (1966), che ha inaugurato un genere politico-culturale specificamente italiano come l’operaismo, si è poi successivamente dedicato a una ampia produzione a metà tra riflessione politica, analisi ideologica, approfondimento filosofico – che alla fine è sfociata in una meditazione a tutto tondo sul nostro tempo, cui non sono estranei influenze e direttrici che con l’originario operaismo hanno – o meglio apparentemente avrebbero – poco a che fare, come il pensiero rivoluzionario-conservatore della repubblica di Weimar o la tradizione mistica del primo cristianesimo.
Consapevole della sua età avanzata e della fine che si stava approssimando, Mario Tronti ha scritto dunque questo libretto, dandogli un titolo dal sapore hegeliano, Il proprio tempo appreso col pensiero, e un sottotitolo laconicamente esplicativo, Scritto politico postumo. È un testamento politico-culturale? No, non nel senso di un rendiconto sistematico col proprio passato; sì invece, se lo si considera – come in effetti è – un “messaggio nella bottiglia” per il futuro. Il punto di approdo di questo piccolo testo, denso e lucido, è infatti chiaramente esposto nelle ultime due pagine, quando Tronti, sottolineando l’affinità elettiva «tra la libertà del cristiano e la libertà comunista», afferma conclusivamente: «C’è un miracolo teorico che solo una secolarità sacra può tentare di praticare. È tutt’altro che astratta, è ben concreta, una politica rivoluzionaria che metta in campo una “tensione creativa” tra la Città e il Tempio, tra il Secolo e il Sacro» (Tronti 2025, p. 141).
In questo modo viene visibilmente esposta la linea di pensiero che ha guidato tutta l’ultima produzione di Tronti (tra cui va ricordato La politica al tramonto, del 1998, e soprattutto Dello spirito libero, del 2015); una linea di pensiero sospesa – ma quanto affamata di prassi e di concretezza ideologica! – tra rivendicazione del pensiero comunista e spinta alla trascendenza (che ricorda simili prese di posizione di parte dell’intelligencija del PCI: si pensi prima di tutto a Claudio Napoleoni e al suo Cercate ancora. lettera sulla laicità e ultimi scritti (1990), o alle poesie e agli ultimi interventi di Pietro Ingrao, morto centenario nel 2015). Una tendenza che come si capisce informa di sé una fetta consistente della tradizione politico-culturale interna al PCI: è evidente infatti che il più grande partito comunista d’Occidente, nato, cresciuto e sviluppatosi nel paese culla del cattolicesimo romano, partito-massa che per cinquant’anni ha simboleggiato e praticato l’alternativa all’altro grande partito massa che di quel cinquantenario è stato gestore, come la Democrazia Cristiana, non potesse evitare di procedere a una riflessione teorica (e talvolta a una pratica di governo) che con quell’altro polo dovesse fare necessariamente i conti.
Tali conti gli intellettuali più avvertiti e militanti come Mario Tronti, poi, non potevano non farli anche con i movimenti antagonistici di ultrasinistra che hanno abitato il paesaggio ideologico italiano almeno a partire dai primi anni Sessanta, e grazie anche a figure come Tronti; il quale, specie negli ultimi anni della sua frenetica attività editoriale e di intervento nello spazio pubblico, non disdegnava un dialogo a 360 gradi con teologi e centri sociali, Senatori della Repubblica (lui stesso sedette sugli scranni di Palazzo Madama prima col PDS – diretto erede del disciolto PCI – e poi col Partito Democratico) e outsider della riflessione politica. A lui – filosofo dalla solida formazione hegelo-marxista – non dispiaceva, come ripeteva spesso, pensare “con Karl e Carl”, ovvero provando a realizzare una suggestiva e arrischiata riflessione politica tra Marx e Schmitt: sempre alla ricerca della “Grande Politica” per come si era declinata nel Novecento, e che ora invece vedeva nella polvere di un secolo che sembra incapace di scalare le grandi vette del pensiero.
Quella di Tronti rappresenta insomma una grande sfida al lettore: una sfida intorno ai concetti più abusati, che nella sua puntuta analisi ricevono una luce nuova, come il concetto e la pratica di democrazia («Non c’è più demos nel corpo della democrazia, ma perché non c’è stato più kratos nella sua anima», p. 113), o come l’annosa questione del rapporto tra rivoluzione e riformismo («È l’idea di rivoluzione che rende possibile la pratica del riformismo», p. 103); ma soprattutto Tronti rappresenta una sfida di riflessione intorno alla storia, una storia che «non è la freccia del tempo, ma il cerchio che gira e magari sale a spirale» (p. 86). Una figurazione concettuale, come si vede, che coniuga la prassi filosofica dell’idealismo tedesco tanto nota e tanto cara alla riflessione marxista del Novecento, con una ispirazione che potremmo definire “mistica” in senso molto lato; e che porta Tronti a citare in meno di centocinquanta pagine Marx e Thomas Mann, Dostoevskij e Gorbačëv, Gottfried Benn e Lenin, Reagan e Robert Musil, i padri del deserto e i comunisti romani degli anni Cinquanta, San Paolo e Machiavelli.
Una fila di nomi, e di figure, che però non sono frutto di un bric-à-brac intellettuale, o peggio di un desiderio di scandalizzare il lettore; bensì il prodotto, lucido e coerente, di un pensiero che, per rivolgersi al futuro cui aspira senza posa, deve necessariamente restare connesso al passato, a un passato articolato, complesso e dialetticamente incrociato tra molteplici tradizioni – funzionali, infine, alla rilettura (alla riarticolazione) della centralità del movimento operaio comunista che ha animato tutto il “secolo breve”.
Nella memoria del movimento operaio sta scritto, scolpito, per sempre, il passato, sia pur sconfitto, delle insorgenze che puntavano a scalare il cielo. Da questa memoria del passato si deve ripartire, per tentare ancora di conquistarsi un nuovo avvenire (ivi, pp. 141-142).
Mario Tronti, Il proprio tempo appreso col pensiero. Scritto politico postumo, a cura di Giulia Dettori, il Saggiatore, Milano 2024.