Il radicale mutamento nei rapporti tra l’Europa orientale e quella occidentale, che avviene davanti ai nostri occhi, dà, forse, la possibilità di passare al sistema ternario comune all’Europa e di rinunciare all’ideale di distruggere “il vecchio mondo sino alle fondamenta, dopo di che” sulle sue rovine costruire il nuovo. Lasciare sfuggire questa possibilità sarebbe una catastrofe storica.
Così si esprimeva Jurij Lotman nel 1992 commentando il fatto che i cambiamenti in corso in Russia dopo il crollo dell’Urss si presentavano, ancora una volta, secondo una logica manichea, escatologica, che nulla di buono aveva prodotto nella storia del paese e nulla di buono avrebbe potuto produrre nel futuro.
Queste parole aleggiavano durante la quattro giorni del congresso “Lotman’s Semiophere” tenutosi a Tallinn e Tartu in occasione del centenario dalla nascita del padre della semiotica della cultura, avvenuta a San Pietroburgo (allora Pietrogrado) il 28 febbraio del 1922. Una celebrazione con centinaia di studiosi da 40 paesi diversi, che ha coinciso proprio con l’invasione dell’Ucraina voluta da Putin: un evento che in quell’Estonia in cui Lotman trovò il suo destino a causa dell’anti-semitismo staliniano e di cui appoggiò l’indipendenza dall’Urss nel 1991 ha finito per assumere un valore emotivo ed ideale ancor più intenso.
Gli sviluppi successivi sembrano confermare la cupa profezia lotmaniana: vale a dire quella di una Russia che, nonostante la sua grande cultura e le tante voci libere che l’hanno abitata e abitano, ripete per l’ennesima volta quel movimento di distacco, di definizione contrastiva, rispetto all’Europa occidentale, all’idea di democrazia pluralista, alla logica dei diritti umani, portando non solo morte e disperazione in Ucraina ma avvicinando tutti, se stessa compresa, ad un passo dal baratro di una nuova “catastrofe storica”.
Lotman non aveva certo in mente una occidentalizzazione della Russia. Anzi, vedeva con chiarezza le ingenuità e i paradossali effetti nazionalisti di un certo occidentalismo russo. Per lui si trattava invece di tradurre in chiave russa quei principi di libertà che peraltro ritrovava nelle vicende dell’amato e lungamente studiato Puškin e della rivoluzione decabrista del 1825, che in dialogo con le correnti ideali europee del tempo cercò di abbattere l’autocrazia zarista, abolire la servitù della gleba, superare lo stato di repressione e censura, creare una repubblica fondata su principi costituzionali, il tutto cercando di conciliare le nascenti idee liberali e socialiste.
Lotman non fu un pensatore politico né un dissidente. Nondimeno esercitò una sorta di opposizione silenziosa, di critica implicita al regime sovietico. Lo fece coltivando relazioni e amicizie con la poetessa dissidente Natal’ja Gorbanevskaja, con scrittori costretti all’esilio come Solzeničyn, con pensatori avversati ed emarginati come Bachtin. Lo fece “allegoricamente”, dedicandosi con passione allo studio della società e dell’arte russa ai tempi della fallita rivoluzione decabrista. Lo fece fondando quella disciplina, la semiotica della cultura, di cui a malapena in Urss si poteva pronunciare il nome.
Per quanto possa sembrare strano, come ho argomentato nella postfazione scritta per la nuova edizione del suo grande classico La semiosfera, la culturologia lotmaniana, con il suo intimo pluralismo, la centralità dell’alterità, dell’eterogenea e irriducibile complessità del mondo faceva paura proprio in quanto era intimamente incompatibile con il marxismo ortodosso dell’epoca, economicista e monologico. Certo, non mancava in Lotman la centralità vivificante della lotta, dello scontro, del contrappunto, che egli vedeva anche al cuore della creazione artistica: ma questa lotta per la memoria, per la coscienza, per la produzione di nuovo pensiero non poteva avvenire a scapito della pluralità ma solo attraverso essa.
Si trattava per Lotman di cogliere quella inesausta dinamica di generazione di significati, idee, mondi attraverso la traduzione dell’intraducibile, la messa in dialogo (contrasto, inscatolamento, raddoppiamento, rispecchiamento, analogia…) di elementi (testi, linguaggi, culture) differenti. Fino al punto di rendere in opera la coerente contraddittorietà della vita, dei vissuti, del vivente.
Tornando al pressante presente in cui siamo immersi viene in mente il film di Sergei Loznitsa Donbass, in cui le molteplici storie che si rincorrono sono tratte – tradotte e riassemblate – a partire da materiale video postato da persone comuni su YouTube e in cui il gioco fra realtà e finzione, fra spettacolo della guerra e guerra fatta di comunicazione, apre e chiude la narrazione. O ancora l’iper-semiotica vicenda dell’attuale presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelens’kyj, di cui si è parlato anche qui su Fata Morgana Web: attore comico divenuto presidente dopo aver interpretato il ruolo di un professore qualunque che diviene presidente (a causa di un imprevisto video virale) in una serie tv di grande successo in patria. O, infine, il modo in cui il conflitto, con le sue sanzioni e ritorsioni, con il suo incrociarsi con la pandemia e la crisi climatica, ha messo in evidenza una volta di più la fragile ma nondimeno effettiva trama di interdipendenze culturali-economiche-naturali di cui è fatto il mondo odierno.
Chissà cosa avrebbe detto Lotman dei parossistici esiti di quei meccanismi che con tanto acume studiava. Chissà cosa avrebbe detto davanti al fatto che oggi più che mai vita e testi, pratiche e rappresentazioni, si intrecciano come fossero una matassa senza capo né coda. E senza la possibilità di essere sbrogliata. Non lo sappiamo. Ma sappiamo che la sua idea di semiosfera, così profondamente legata a quella di biosfera, anticipa e ricomprende al contempo tanto l’idea ecologica di antropocene, quanto il web (e la comunicazione contemporanea più in generale) come luogo di infinite comunicazioni, immagini, testi in continua (e spesso confusa) evoluzione. E, soprattutto, anticipa l’idea che non si possa capire la realtà senza farsi carico della relazione fra l’una e l’altra, fra sfere ecologiche e mediologiche.
Come accade con ogni pensiero della complessità, un pensiero che anche per sfuggire alla censura si è sviluppato frammentariamente attraverso centinaia di saggi, non è semplice darne sintesi o prefigurarne gli esiti. Diversi libri stanno uscendo nuovamente in occasione di questo centenario: La semiosfera (La Nave di Teseo), Il girotondo delle muse (Bompiani), La cultura e l’esplosione (Mimesis). Sono il miglior viatico per prendere contatto con la vastità di interessi e il valore delle idee di Lotman, per intessere un dialogo attento, rispettoso, appassionante con uno dei geni del Novecento.
Nell’approcciarsi a queste (e altre) opere di Lotman vale tuttavia la pena prestare attenzione ad una riflessione che egli stesso fece durante un convegno in cui era stato chiamato a parlare dell’idea di eredità intellettuale. Il suo vivido ragionamento è stato riportato durante il convegno del centenario da Yuri Tsvian, con cui Lotman scrisse Dialoghi con lo schermo, una introduzione allo studio semiotico del linguaggio cinematografico. Suona più o meno così: «La gallina fa l’uovo e scappa via e noi restiamo a guardare l’uovo. Le nostre opere sono l’uovo ma l’arte è la gallina».
Ciò che vale per l’arte in generale vale anche per l’arte di pensare semioticamente, pensare la cultura, sviluppata da Lotman. Anticipando ancora una volta i tempi, Lotman ci ha sfidato ieri e ci sfida in questo centenario ad andare al cuore delle sue opere, e forse persino al di là di esse. Una sfida ad affinare, anche grazie ed attraverso lui, un pensiero realmente eterodosso, mai riduzionista, stereoscopico, capace di avanzare attraverso continui spiazzamenti del punto di vista: ritrovare il proprio nell’altrui e l’altrui nel proprio, la storia nel quotidiano e il quotidiano nei grandi eventi storici, le cose nei segni e i segni nelle cose e così via incrociando. Un punto di vista che non si limita a comprendere l’esistente ma anche a creare il nuovo attraverso traduzioni ancora da fare. Traduzioni certo arrischiate ed imperfette ma da cui non ci si può sottrarre.
Riferimenti bibliografici
J.M. Lotman, Il girotondo delle muse, a cura di S. Burini, Bompiani, Milano 2022.
Id., La cultura e l’esplosione, con testi di J. Lozano, Mimesis, Sesto San Giovanni 2022.
Id., La semiosfera, L’asimmetria e il dialogo nelle strutture pensanti, a cura di S. Salvestroni e F. Sedda, La Nave di Teseo, Milano 2022.
Jurij Lotman, 28 febbraio 1922 – Tartu, 28 ottobre 1993