Forza lavoro 2
Smetto quando voglio – Masterclass (Sibilia, 2017).

Secondo la narrazione degli economisti del XVIII secolo, la grandezza del sistema capitalistico consiste nell’aver liberato la ricchezza da qualsiasi elemento oggettivo ed esterno (primo fra tutti la terra) e nell’averla situata all’interno dell’essere umano. Molto prima della mistificante rivisitazione dei neoliberali della seconda metà del ‘900, quindi, l’equazione capitale-lavoro-ricchezza rappresentava già un nodo gordiano di difficile soluzione. Karl Marx, che aveva intuito, con una lungimiranza che non finisce mai di stupire, le rivoluzionarie conseguenze di un tale slittamento, dedicando tutta la vita a costruire la sua critica dell’economia politica attorno a una sola categoria: la forza lavoro. Allo stesso tempo il lavoro nel capitalismo non possiede nessuna determinazione specifica: è la più vuota, generale ed astratta categoria che il pensiero abbia mai concepito. […] Questa non è definibile se non attraverso un’insoddisfacente tautologia: «Il lavoro come lavoro è lavoro» (Marx 1983, p. 319).

Con un’operazione autenticamente marxiana Roberto Ciccarelli nel suo nuovo libro, Capitale disumano. La vita in alternanza scuola-lavoro continua a inseguire la forza lavoro, portandola fuori nei luoghi in cui appare e si mostra evidente la sua potenza. Se nel testo precedente, Forza Lavoro si era dedicato al digitale, in questa nuova ricerca, che per stessa ammissione di Ciccarelli può essere letta senza soluzione di continuità con la prima, si concentra sul mondo della formazione con uno sguardo privilegiato all’universo della scuola, al tempo dell’alternanza scuola-lavoro.

Al centro resta sempre la categoria di forza lavoro in quanto fulcro imprescindibile a partire dal quale è possibile immaginare (si veda l’appendice sul ‘68) con gli studenti, dentro e contro la scuola, una proposta che dia vita alla produzione di un nuovo spazio etico: «Questo libro è un esercizio etico per prendere le distanze da ciò che siamo, aprendoci alle possibilità non ancora determinate dalle verità di qualcuno e imposte alla vita degli altri, ma presenti nel nostro vivere insieme» (Ciccarelli 2018, p. 11). Le scuole, oggi, si sono trasformate in sistemi professionalizzanti il cui unico scopo però non è tanto educare a una professione, ma inculcare il concetto di “occupabilità”.

Il modello dell’attuale scuola-impresa si propone di “allevare leve” di forza-lavoro, educandole alla messa a disposizione a lavorare. In questa formazione all’(auto)sfruttamento, l’alternanza scuola-lavoro rappresenta esattamente l’esperienza con la quale si manifesterebbe in maniera evidente la tendenza primaria del capitale. A più riprese si analizzano i vuoti giuridici creati dal «nuovo esperimento sociale, il più grande nella storia della scuola italiana» (ivi, p. 9), il cui acme è stato raggiunto proprio dalla Buona Scuola di Renzi (2015) grazie alla quale l’idea di aziendalizzazione della scuola si compie. Queste attività e forme di prestazione, che coinvolgono ben un milione e mezzo di studenti, di cui il libro offre esempi e statistiche, rimangono in uno spazio di anomia che introduce un importante problema di definizione e categorizzazione delle prestazioni: si va dal tirocinio allo stage formativo al vero e proprio impiego.

Attraverso l’esperienza dell’alternanza scuola-lavoro sarebbe possibile per Ciccarelli descrivere la figura del lavoratore contemporaneo: «Nella società della piena occupazione precaria siamo tutti in formazione continua perché vaghiamo nei gironi di chi cerca un lavoro e in questo ha trovato la sua occupazione. Nell’intermezzo tra un lavoro e un altro si moltiplicano le ingiunzioni a studiare, riqualificarci, inventarci, imparare un altro mestiere, creare l’impresa di noi stessi, aumentare il nostro capitale umano» (ivi, p. 9). Come dimostrano le richieste che ingiungono dagli annunci o dalle piazze, “cercare lavoro”, “volere un lavoro” significa semplicemente essere disposti a fare qualcosa, mettersi al completo servizio di un capitale. Lavorare, questo movimento obbligato di dover cedere il proprio tempo e la propria potenza, perde perfino il suo significato sociale di attività temporanea smaterializzandosi in un’esperienza morale dell’esistenza stessa e disegnando una curvatura etica-spirituale.

L’attenzione di Ciccarelli si focalizza proprio sull’insistenza dell’attivazione del soggetto, il quale fin da ragazzino, impara ad auto-gestire il proprio capitale umano attraverso diversi canali. Ad apparire rilevante non è il risultato, l’ottenimento effettivo di un posto, ma la dimostrazione di essere infinitamente assumibile rispetto a qualsiasi tipo di mansione. Al di là della formulazione del concetto di malleabilità, flessibilità – aspetti analizzati nel libro – si tratta di presupporre a monte che l’occupazione coincida con il prepararsi a lavorare, con la “formazione” a un qualsiasi impiego possibile ed eventuale, «occasionale, a termine, contingentato, intermittente, sottopagato» (ivi, p. 63). In ultima istanza, dunque, lavorare significa essere disposti a farsi sfruttare. Ne consegue, inoltre, che la formazione sarà sempre senza fine, poiché risponde alla necessità stessa del funzionamento del capitale di reclutare forze, persuadendoli «all’obbligatorietà della ricerca del lavoro» (ivi, p. 133).

Allo stesso modo Ciccarelli ricava l’aleatorietà e l’impatto surreale che si accompagna alla logica della formazione-lavoro contemporanea, ossia la competenza: «Pacchetti di nozioni “miste” e “trasversali”, mobili e adattabili per affrontare situazioni mutevoli» (ivi, p. 126). La competenza rappresenterebbe una norma pratica il cui contenuto e significato cambiano a seconda dell’applicazione nei rapporti di lavoro e all’uso nei vari ambiti di esistenza; per questo motivo è un concetto indefinibile e sfuggente. Di conseguenza si verifica una sorta di paradosso della competenza. Il soggetto sarà sempre manchevole di competenze perché non può possedere a priori, e quindi attraverso la formazione, ciò che deve rendere sotto forma di forza di lavoro sul mercato e che verrà riconosciuto solo successivamente e verosimilmente dopo un lungo periodo di prestazione gratuita di autosfruttamento. Questa natura contraddittoria della competenza rappresenta la cifra della subalternità, della subordinazione, dice Ciccarelli, in cui viviamo tutti.

Questa pedagogia del capitale insegna non soltanto un’etica del martirio ma soprattutto una morale dell’autosfruttamento: «L’obiettivo è creare la mentalità dell’imprenditore di se stesso in concorrenza con gli altri e sperimentarla già nelle aule scolastiche, perfezionarla nelle università, nelle agenzie di formazione e di valutazione esistenti nella cosiddetta economia della conoscenza» (ivi, p. 53). Questo è un libro su Marx oltre Marx, in cui si mostrano tendenze e crisi, facendo luce sui luoghi oscuri e impensabili dove si intessono nuove forme di sfruttamento e di estrazione gratuita della ricchezza. Del resto il capitalismo fa questo in continuazione: estende la categoria del lavoro, che assume nuovi volti, come il digitale o altre forme ibride e inedite; un lavoro costruito come un nuovo eppure sempre identico legame tra sfruttato e sfruttatore.

Riferimenti bibliografici
R. Ciccarelli, Forza Lavoro, DeriveApprodi, Roma 2018.
R. Ciccarelli, Capitale disumano. La vita in alternanza scuola lavoro. Forza lavoro 2, Manifestolibri, Roma 2018.
K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, Einaudi, Torino 1983.

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