di ALEX PAGLIARDINI
Capisaldi dell’insegnamento di Lacan. L’orientamento lacaniano di Jacques-Alain Miller.
Un taglio d’ingresso
Non essendo per niente semplice entrare in questo Seminario di Jacques-Alain Miller, risalente al 1981-1982, da qualche mese disponibile in italiano con il titolo Capisaldi dell’insegnamento di Lacan (Astrolabio,2021), estraiamo un passaggio e usiamolo come taglio d’ingresso:
«C’è tutta una concezione dell’analisi che si muove al livello dell’omeostasi, che rifiuta il godimento che il sintomo comporta e che si pone come obiettivo al termine dell’analisi la restituzione del soggetto alla sua omeostasi, vale a dire di appiattirlo al livello a cui vivacchia. La domanda di analisi è sicuramente una domanda di restituzione dell’omeostasi da parte di un soggetto scombussolato dal godimento che il sintomo comporta, ma è certo che per Lacan il termine dell’analisi non comporta che si permetta alle persone di vivacchiare. Inoltre la posizione che esaspera l’esistenza del godimento non deve accentuarsi soltanto al termine dell’analisi ma in tutto il suo corso. Ciò comporta ovviamente che si vada contro corrente rispetto alla china analitica, a quella domanda di vivacchiare posta dal soggetto. Nella posizione etica dell’analista è sempre presente l’alternativa tra l’aiutare a ristabilire il livello di omeostasi e il mantenere al contrario viva l’esigenza che si vocifera nel posto del godimento» (Miller 2021, p. 191).
La fotografia di Miller
Si tratta di un passaggio che fotografa, certo parzialmente, ma anche immediatamente, la lettura di Miller dell’insegnamento di Lacan e della pratica che questo determina: in un’analisi si tratta di addentrarsi nel problema del godimento, dall’inizio alla fine, fin dove si deve e per come si deve.
Al contempo si tratta di un passaggio che ci permette di intercettare il tratto portante di questo Seminario e dunque, forse, di attraversare i due rischi che ne accompagnano la lettura. Il primo rischio è quello della nostalgia per un momento in cui l’insegnamento di Lacan, e probabilmente più in generale il movimento della psicoanalisi, era una potente polveriera. Il secondo rischio è quello della confusione, in quanto il Seminario è attraversato da una densità e problematicità alle quali non siamo più pronti, almeno nell’ambito psicoanalitico.
Allora, quale è il tratto portante del Seminario? Ci sembra essere il seguente. Per Miller l’insegnamento di Lacan è attraversato, dall’inizio alla fine, dall’opposizione, antinomia, separazione, eterogeneità, tra l’Altro e il godimento, e al contempo, è attraversato, dall’inizio alla fine, dall’articolazione, rapporto, inclusione, sovrapposizione, tra l’Altro e il godimento.
Detto altrimenti. L’incidenza dell’Altro, del linguaggio, del sistema significante, nel vivente, determina e causa, nel vivente, l’esistenza di una spinta, o meglio di un’insistenza costante, che è eccentrica all’Altro, esclusa dall’Altro, e al contempo è inclusa nell’Altro, articolata con l’Altro.
Il nodo
La teoria e la pratica psicoanalitica consistono nel maneggiamento, trattamento, ripiegamento, ribaltamento, rottura, dissoluzione, di questo nodo tra Altro e godimento, tra azione dell’Altro ed esistenza dell’insistenza costante. Ci sembra stia proprio nel maneggiamento di questo nodo l’operazione compiuta da Miller in questo Seminario. In che modo? La prima e ripetuta mossa di Miller consiste nel tracciare i bordi di questa insistenza e nominarli. Spostandoci su un bordo troviamo il desiderio, piegandoci su un altro abbiamo il godimento, i quali per certi versi sono esattamente la stessa cosa, la stessa insistenza, per altri sono cose diverse e lo sono “solo” perché hanno un rapporto diverso con l’Altro che li causa.
Chiamiamo desiderio quell’insistenza fatta di mancanza e dell’eccesso della mancanza, irriducibile all’azione dell’Altro e del significante e al contempo compatibile con questa azione e dipendente da questa azione. Chiamiamo godimento quell’insistenza costante e fissa che pur derivando dall’azione dell’Altro elude radicalmente le sue maglie, la sua trama, acquisendo così una propria autonomia che la fa declinare autisticamente.
L’Altro
La seconda e ripetuta mossa consiste invece nel tracciare il bordo dell’Altro, dell’azione dell’Altro. In questo modo, su un bordo abbiamo l’Altro come concatenazione differenziale di elementi, come funzionamento significante, che dunque determina un’insistenza metonimica, mentre su un altro bordo abbiamo l’Altro che si rovescia come voce, come godimento, come Super-io, e che dunque determina un’insistenza fissa. Allo stesso tempo, su un bordo abbiamo un Altro diviso, la cui azione dunque divide chi la subisce – a scanso di equivoci, chi la subisce è l’essere parlante, cioè parlato. Questo Altro diviso e che divide, non può che determinare un’insistenza divisa, permanentemente intermittente. Su un altro bordo ancora abbiamo un Altro che si inizia a far fatica a chiamare Altro, in quanto di altro inizia a non avere più niente, e che pertanto determina un’insistenza avviluppata su se stessa – e che proprio per questo iniziamo a chiamare Uno.
Il primato del godimento
Tracciando i bordi dell’insistenza e dell’Altro, avviene lo sbilanciamento, al quale abbiamo già accennato. L’insistenza che chiamiamo godimento diviene primaria: «Lacan fa del godimento una categoria fondamentale, vale a dire che il godimento non fa di per sé riferimento all’Altro. Quando il concetto primario è il godimento, l’Altro non vi è innanzitutto implicato» (ivi, pp. 238-239). Parallelamente, diventa primaria la declinazione dell’Altro, del significante, come voce, rumore, Super-io, dunque di un Altro che inizia a non essere più Altro, di un’azione del significante che inizia a non essere più dell’ordine dell’Altro, ma dell’ordine dell’Uno. Questo parallelismo è decisivo, il godimento è primario in quanto il significante è dell’ordine dell’Uno, il significante è dell’ordine dell’Uno in quanto il godimento è primario – se si perde di vista questo nodo, molto spinoso, si perde di vista la sostanza dell’insegnamento di Lacan e lo si piega inevitabilmente verso l’idealismo, verso l’Altro che tanto piace ai ben pensanti, quello dell’alterità, apertura, molteplicità, differenza ecc… – questo Altro rimane, e diventa, una categoria decisiva, ma secondaria – considerarla primaria è l’operazione caratterizzante la fesseria, la pastorale psicoanalitica.
Questo sbilanciamento allude a cose che Miller estrarrà dall’insegnamento di Lacan solo in seguito, il godimento che si divide a sua volta, da un verso il godimento come tale, dall’altro il godimento residuale, l’azione del significante che si divide a sua volta, come automatismo infinito da un verso (possiamo ancora chiamarlo Altro), come urto, incidenza, da un altro verso (se continuiamo a chiamare Altro ciò è per nostalgia, per serietà dobbiamo invece iniziare a chiamarlo Uno).
Lo sbilanciamento verso l’insistenza che chiamiamo godimento – ed è chiaro che se lo chiamiamo godimento è perché c’è soddisfacimento in questa insistenza – afferma da subito e inequivocabilmente che il godimento è causa del desiderio e che il desiderio è sempre una difesa dal godimento – quell’insistenza che chiamiamo desiderio è una difesa da quell’insistenza che chiamiamo godimento. Lo sbilanciamento verso l’insistenza del godimento afferma in modo secco che la pratica psicoanalitica è una pratica del godimento, o, per dirla meglio, del godimento come causa del desiderio, da un lato, e del godimento come ripetizione di sé, dall’altro lato.
Un significante nuovo
Il primato del godimento afferma inoltre che tutto ciò con cui ha a che fare la pratica psicoanalitica, ossia sintomo, fantasma, inibizione, angoscia, sublimazione, ripetizione, trauma, sessualità, non sono che variazioni dell’insistenza del godimento, e che la pratica psicoanalitica è una pratica, proprio e solo, perché forza queste variazioni verso l’accettazione del “sono godimento”, la quale è la perdita definitiva di qualsiasi sono e l’affermazione di una piega dell’insistenza del godimento, detto altrimenti l’invenzione di un significante nuovo per questa insistenza.
Un’analista
Forse si potrebbe iniziare a scrivere al femminile analista – un’analista anziché un analista. Perché al femminile? Perché in quest’ottica, cioè nell’analisi come forzatura delle variazioni del godimento verso un’affermazione del godimento, analista è colui, ma appunto sarebbe meglio dire colei, che presenta (non rappresenta) l’insistenza del godimento, colei che consiste esclusivamente, o quasi, in questa presentificazione del godimento che si vocifera, del godimento come tale – femminile è il significante che meglio intercetta questo godimento, sarebbe forse il momento di usarlo per questo e non per ideali di qualsiasi genere.
Su questa linea si potrebbe iniziare a intendere sul serio Miller che dice: «Agli occhi di Lacan de Sade ha fatto la passe» (ivi, p. 205).
Jacques-Alain Miller, Capisaldi dell’insegnamento di Lacan. L’orientamento lacaniano, Astrolabio, Roma 2021.