È che le cose non stanno al loro posto. È questo che ci fa impazzire. Il mondo va a rotoli, ossia il mondo non se ne sta al suo posto, che poi non è altro che il posto che arbitrariamente abbiamo deciso che le cose debbano occupare. Per sempre. Il mondo è instabile, scrive Auro Michele Perego in Natura instabile. Ordine, entropia, divenire (Aguaplano Libri). Instabile vuol dire non stabile, il che lascia trasparire la nostra aspettativa – in realtà un pregiudizio metafisico – contraria, che il mondo invece sia appunto stabile, cioè continui ad essere come è “sempre” stato, cioè come l’abbiamo conosciuto la prima volta che l’abbiamo visto o come preferiamo che sia. Perché ciò che è “stabile” non è tanto stabile di per sé, quanto rispetto a quello che ci aspettiamo che sia.
Prendiamo il caso di un albero che sta diffondendosi sempre di più nel paesaggio italiano (e non solo), l’ailanto o anche albero del paradiso (Ailanthus altissima). È originario della Cina ed è capace di crescere anche nei terreni più poveri e degradati. Un albero rustico che in molti luoghi riesce a prendere il posto delle specie vegetali autoctone, ossia delle specie che vivevano in un certo luogo prima dell’arrivo dell’ailanto (ogni specie è stata, in qualche momento del passato, una specie non autoctona). Per questa ragione in molti Paesi del mondo è considerata una specie invasiva, una specie aliena che come tale dev’essere combattuta ed eradicata (senza molto successo, in verità, proprio perché è un albero capace di sopravvivere anche e soprattutto nelle situazioni estreme). Perché l’ailanto è così detestato? Perché cambia radicalmente lo scenario vegetale di un territorio, perché rende instabile, cioè mutevole, un paesaggio. Perché rompe la stabilità di un luogo. È questo il punto, in che senso un certo luogo, un sistema fisico, è stabile? La stabilità è la regola e l’instabilità l’eccezione, oppure è il contrario? In realtà ogni sistema fisico di una minima complessità è in qualche modo un sistema caotico, cioè un sistema di cui è molto difficile, se non impossibile, prevederne lo sviluppo nel tempo:
Una delle caratteristiche salienti dei sistemi caotici associata alla loro imprevedibilità è la forte dipendenza del loro comportamento dalle condizioni iniziali della loro evoluzione […]. Se immaginiamo di conoscere esattamente la condizione iniziale in cui si trova il sistema possiamo calcolare il suo stato a un certo istante successivo lontano nel tempo. Tuttavia se ora ripetiamo il calcolo specificando un po’ meglio la condizione iniziale, per esempio aggiungendo un ulteriore numero decimale al valore usato nel calcolo precedente, ecco che calcolando l’evoluzione del sistema per lo stesso lasso di tempo otteniamo un risultato completamente diverso. Possiamo ripetere ancora e specificare la nostra condizione iniziale arbitrariamente fino a usare la milionesima cifra decimale. Anche dopo l’ultima approssimazione, se aggiungiamo un’ulteriore cifra decimale e calcoliamo di nuovo l’evoluzione del sistema, potremmo ottenere un risultato completamente diverso. Piccolissimi cambiamenti nelle condizioni iniziali danno origine a stati finali ben distinti. Tale estrema sensibilità alle condizioni iniziali rende sistemi di questo tipo di fatto imprevedibili (Perego 2023, pp. 50-51).
Dire che un sistema è stabile, cioè che possiamo prevederne lo sviluppo temporale, significa allora che si tratta o di un sistema molto semplice, artificialmente semplice, oppure e soprattutto che si tratta di un sistema di cui conosciamo solo una porzione estremamente ristretta della sua storia. Torniamo al caso dell’ailanto, che per il tipico pensiero della stabilità ecologica rappresenta un elemento di instabilità del paesaggio italiano, in particolare di quello toscano. Prendiamo il caso di un tipico albero della toscana, il cipresso. Questo albero così “toscano” è sempre stato in Toscana? In realtà si ritiene che il cipresso toscano o cipresso nero (Cupressus sempervirens) sia arrivato in Italia – prima che esistesse l’Italia in quanto nazione, ovviamente, quindi prima dell’esistenza del tipico paesaggio italiano – dall’Asia Minore prima della colonizzazione romana, per cui è probabile che a importarlo siano stati gli etruschi. Mettiamoci nei panni di un italico che comincia a vedere nel suo paesaggio, in quello che per lui è “sempre” stato un paesaggio stabile e proprio per questo riconoscibile e familiare, qualche cipresso importato dagli etruschi. Probabilmente avrà considerato il cipresso un albero alieno, un fattore di disturbo per un paesaggio che, invece, è “sempre stato” diverso.
Si comprende così che ciò che è “stabile“, in realtà, è ciò che è stato deciso che sia “sempre” stato così. Si ritaglia una porzione più o meno estesa di un certo fenomeno temporale e si decide che questa porzione è quella definitiva, quella stabile, quella che non cambia nel tempo. Se tuttavia avessimo conosciuto le condizioni iniziali di quello stesso sistema ci saremmo accorti che quello che stiamo vedendo oggi avrebbe potuto essere molto diverso. Stabile vuol dire, allora, che ignoriamo quanto piccoli cambiamenti nelle condizioni iniziali avrebbero potuto dare vita ad un sistema completamente diverso:
Per descrivere come la dipendenza di un processo dalle sue condizioni iniziali possa portare a effetti completamente diversi nel lungo termine venne coniata la celebre espressione effetto farfalla. Essa descrive metaforicamente il minuscolo battito d’ala di una farfalla in un certo luogo come la potenziale causa di un tornado o di un fenomeno atmosferico maestoso e gigantesco che si manifesta in seguito e a grande distanza dal primo (ivi, p. 50).
Un fenomeno impercettibile come la perturbazione provocata dal battito d’ala di una farfalla può provocare un effetto gigantesco. Una instabilità minuscola in un luogo può così dare origine a una nuova, temporanea, stabilità da qualche altra parte. In effetti è questa alternanza creativa fra instabilità e stabilità all’origine dell’unico fenomeno che effettivamente permane sempre, il mutamento che non si arresta mai. Stabilità e instabilità sono due momenti estremi che esistono, in fondo, solo come “fotografie” che congelano un processo che non è mai fermo in uno stadio, se non appunto ai nostri occhi, rispetto alla nostra cecità nei confronti del tempo:
Nel 1902 venne pubblicato un articolo scientifico in cui il fisico britannico Sir James Jeans dimostrava che in una nube di materiale gassoso, se la densità di materia supera un certo valore critico, le forze di pressione non sono più in grado di contrastare il processo che porta il gas a addensarsi infinitamente, collassando infine in un punto. Quella che venne poi ribattezzata l’instabilità di Jeans sta alla base del meccanismo di formazione di stelle e galassie a partire dal collasso spontaneo di enormi nubi di gas e polveri chiamate nebulose. Questa nascita fa da contraltare al ruolo dal sapore distruttivo e catastrofico che l’instabilità può giocare a livello cosmico e planetario e con cui il nostro viaggio in questo libro ha avuto inizio. Immagino come cicli di creazione e di distruzione si susseguano a vicenda, come dalle polveri fluttuanti di sistemi solari in frantumi si possano formare nuove stelle nel firmamento, le quali – transitorie su scale temporali di miliardi di anni – tornino a dissolversi e poi a rinascere ancora come in un Eterno Ritorno. Nascita e morte animate dall’instabilità, il mutamento come unica costante (ivi, p. 129).
È una visione del mondo allo stesso tempo consolante – ci sarà sempre un ailanto che arriverà a disturbare l’armonioso paesaggio tramandato dal passato – e terribile, perché il cipresso è un albero nobile e meraviglioso, e non smetteremo mai di rimpiangere il tempo in cui dominava incontrastato fra le colline della Toscana. Tuttavia l’ailanto, come qualunque altro elemento di instabilità non smette di prodursi, e non perché non sappiamo come bloccare l’arrivo dell’intruso, perché il movimento vitale non si arresta mai, perché l’ailanto, e proprio perché disturba e si diffonde in modo prepotente, non è che l’ennesima manifestazione del “mutamento come unica costante” del mondo. Forse invece di contrapporre stabilità e instabilità sarebbe il caso di ragionare in termini di divenire, che è il tempo che accoglie al suo interno l’instabilità come momento – inevitabile e imprevedibile – che innesca il cambiamento:
La nostra è un’epoca in cui il Nuovo fa costantemente capolino tra le maglie sgranate del tessuto del mondo manifestandosi in diverse forme sociali, tecnologiche, di gestione del potere, di relazione tra gli esseri umani e tra questi ultimi e la natura. In tempi inquieti e turbolenti la forma di pensiero interpretativo offerta dalla teoria delle instabilità è più che mai attuale e viva come strumento che, pur con tutti i suoi limiti, rende conto dell’angustia e dell’impermanenza dello status quo e getta al contempo una tenue luce sul divenire che lo divora (ivi, p. 131).
Auro Michele Perego, Natura instabile. Ordine, entropia, divenire, Aguaplano Libri, Perugia 2023.