Il mondo non finisce mai, quel che finisce – come non si stancava di ricordarci lo storicista Ernesto De Martino – è un mondo storico particolare. Il mondo che finisce è solo l’esordio confuso di un altro mondo che sta cominciando. Secondo Maurizio Cattelan nel mondo che appena inizia a cominciare c’è un uomo che dorme sdraiato accanto ad un cane. Quest’uomo è un cinico, cioè il filosofo che vive come un cane. È propriamente il divenire-cane dell’uomo. Che quindi dismette la sua posizione di privilegio antropocentrico, e vive, appunto, come un animale. Non è certo casuale che Michel Foucault, nell’ultimo corso che tiene al Collège de France prima di morire (“Il coraggio della verità”) già additi il modello della forma di vita cinica come la vita del tempo che viene (il corso finisce nella primavera del 1984). Il “cinico” è l’uomo (ancora pienamente umano) che tuttavia prova a vivere una vita animale, una vita da cane (cioè una vita che non prende le distanze dalla natura e dal mondo). Il cinico è cinico non perché sia disilluso o spietato, piuttosto perché il suo parlare è, come nella comunicazione animale, diretto, senza equivoci né artifici retorici. Il cinico non dice la verità, incarna la verità. Con la vita cinica finisce l’antropocene.

Il tema di questo ultimo corso di Foucault è quello della parrēsia, cioè della schiettezza e della libertà di dire il vero, quindi non riguarda tanto la sincerità né l’attendibilità, quanto piuttosto il tentativo di azzerare la distanza fra dire e fare, fra parola e corpo, fra linguaggio e vita: «Il dire-il-vero del cinico, assume, in modo privilegiato, la forma di vita come testimonianza della verità» (Foucault 2011, p. 211). Conta solo la forma-di-vita, non le tue idee e tanto meno i tuoi giudizi di valore. Il cinico non dice come dev’essere vissuta la vita, la vive direttamente. La vita del cinico è l’unica vera reale, nel senso che è l’unica vita che prende sul serio l’idea di una vita umana non antropocentrica: «Il bios kynikos in quanto vera vita» (ivi, p. 223). Si tratta di una vita che è vera non perché non dice il falso (non è un vero logico/linguistico); è vera in senso esistenziale, perché è una vita al livello della vita, come la vive un cane, al livello del suolo, una vita completamente e pienamente animale. In questo senso è anche una «vita sovrana» (ivi, p. 234), cioè una vita che non è più sottomessa al potere trascendente della politica e dell’economia. È importante ribadire che la vita del cinico non è una vita etica, come se la questione del dire-il-vero realizzasse qualche principio superiore. Non può essere così, perché allora il cinico non sarebbe un cane, ma sarebbe solo qualcuno che si limita, in modo esteriore e grottesco, ad imitare il comportamento di un cane. La sua sarebbe allora una posa, un atteggiamento. Mentre il cane è un cane proprio perché né finge né tantomeno è sincero. Il cinico è davvero un uomo-cane. Il cinico è oltre l’etica, il cinico è un umano-cane:

Questa pratica della verità che caratterizza la vita cinica non ha semplicemente come scopo quello di dire e di mostrare ciò che è il mondo nella sua verità, ma quello – finale – di mostrare che il mondo non potrà raggiungere la propria verità – non potrà trasfigurarsi e divenire altro per raggiungere ciò che è nella sua verità – se non al prezzo di un cambiamento, di un’alterazione completa; il cambiamento e l’alterazione del rapporto con sé stessi. Ed è in questo ritorno a sé stessi, in questa cura di sé, che si trova il principio del passaggio a quel mondo altro promesso dal cinismo (ivi, p. 299).

Per questa ragione il percorso della mostra Breath Ghosts Blind di Maurizio Cattelan comincia con una scena di vita cinica, perché, come dice Foucault, «non può esserci verità che nella forma dell’altro mondo e della vita altra» (ivi, p. 321). Cattelan sceglie la forma di vita cinica perché è questa la vita che ci potrà portare fuori dal tempo che stiamo vivendo, il tempo del virus e del postanimale. È rilevante che “Breath”, il respiro di un tempo a corto d’aria, sia in un bianchissimo marmo di Carrara. La forma di vita cinica è terra terra, ma anche una vita fatta di un materiale antichissimo, dalla storia geologica complessa e intricata: ogni mondo non è che la trasformazione di un mondo precedente.

La seconda, terribile, tappa del percorso della mostra ci espone allo sguardo inquietante di centinaia di piccioni che ci fissano silenziosi dall’alto di travi e impalcature. Si tratta dell’opera Ghosts, nuova e definitiva versione di un intervento già presentato dall’artista in occasione della 47a e della 54a Biennale di Venezia, rispettivamente con il titolo Tourists (1997) e Others (2011). All’inizio i piccioni erano solo dei turisti, poi gli altri, ora sono finalmente soltanto fantasmi. Perché l’anno del virus ci ha fatto capire che gli animali non esistono, nel senso che non esiste – come ci ricorda Derrida – l’animale come l’altro dell’umano. La contrapposizione uomo/animale era confortevole e rassicurante, ognuno al suo posto, uno che comanda l’altro che subisce, un soggetto e un oggetto, chi mangia e chi viene mangiato. Dopo il virus – e i milioni di esseri umani che ha ucciso – sappiamo che non è più così. Il virus è il (quasi) vivente di cui sappiamo tutto (la pandemia era prevista e attesa) senza però saperne niente (infatti ci ha colto completamente alla sprovvista), come sappiamo tutto degli animali senza sapere nulla dell’enigma dei loro sguardi (quando, come i piccioni impagliati) hanno occhi. Oggi sappiamo che gli uccelli sono gli eredi del clade dei Maniraptora del Mesozoico. Gli occhi di vetro che ci fissano sono quelli antichissimi dei dinosauri. Come se i milioni di anni che si separano da quel tempo non fossero altro che una lunga parentesi, come se i dinosauri avessero sempre saputo che prima o poi il loro tempo sarebbe tornato. Sono loro che guardano noi, non è più il contrario. E siccome, dal momento che hanno deciso di non stare più al nostro gioco, non sappiamo più che cosa sono gli animali, per questo sono diventanti dei fantasmi, enigmatici e inafferrabili. Ecco perché dopo il cinico e il cane ci sono gli uccelli, perché il mondo dell’umano, quello indicato con il nome presuntuoso di Antropocene, è già finito. Nel nuovo mondo ci sono gli animali, c’è il virus, e c’è anche un essere umano, che dorme esausto per terra. Nel nuovo mondo c’è un respiro comune, senza mascherine, ché l’infezione è dovunque, quindi non ha più senso difendersi. La vita è un incrocio di respiri, una infezione reciproca.

La terza tappa del percorso della mostra di Cattelan, Blind, ci lascia in balia di un monolite nero (un’opera imponente di resina, legno, acciaio, alluminio, polistirene, pittura). Ricorda il monolite di 2001: A Space Odyssey, il film del 1968 di Stanley Kubrick: come quello, è una presenza incomprensibile che tuttavia mette in movimento la storia. Lo stesso vale per il mondo che è finito con quell’aereo che sembra incastrarsi per sempre nella sagoma nera del grattacielo. Come il sacco di Roma del 24 agosto 410 d. C. da parte dei visigoti di Alarico pose fine al mondo antico, così quell’attacco ha posto fine al mondo che la parte ricca del pianeta pensava ciecamente coincidesse con  l’insieme del mondo. Cattelan ci ricorda che la fine che stiamo vivendo è una fine che comincia allora, e non smette di finire. Una fine che non è tanto la fine di un potere politico ed economico, quanto la fine di un cieco e insensato progetto di controllo del mondo e della vita.

L’aereo, come il virus, è una cosa che si è rivoltata contro quegli umani che pretendono, invece, di controllare tutto, la natura e gli uomini, la vita e la morte, le cose e il mondo intero. E invece le cose smettono di fare le cose (“cosa” in fondo non vuol dire altro che: qualcosa al servizio degli esseri umani) e agiscono per conto proprio, così come il virus che è “saltato” da una specie all’altra fino a trovare casa, temporaneamente, nel corpo del sapiens. Ma l’aereo non si pilota da solo, c’erano degli uomini alla cloche, degli uomini che decisero di uccidere altri esseri umani innocenti. È vero, ma erano uomini che quel mondo che finì in quella mattina di settembre pensava non avessero alternative che l’invidia e il desiderio (ricordiamo la domanda che all’improvviso angosciò il mondo ricco: perché ci odiano? Ossia, perché non ci amano?). Improvvisamente un ordine del mondo si rivelò per quel che era, solo un ordine del mondo, uno fra i tanti possibili. Il nostro ordine, non l’unico ordine possibile. Per questa ragione dopo il cinico e il cane, e dopo gli eredi moderni dei dinosauri, viene la fine del mondo che credeva di sé d’essere la forma di vita umana definitiva. Non è così. Quegli sguardi ci sono sempre stati, solo che la nostra ottusa e cieca presunzione non riusciva a vederli. Per questo Cattelan ha collocato il monolite alla fine del percorso, nello spazio del Cubo, in una sorta di vicolo cieco. Come quell’aereo e quel mondo.

Ma siccome un mondo che finisce è solo l’inizio di un altro mondo, in realtà la sequenza si può leggere anche in senso contrario, dal presuntuoso monolite verticale al cinico e al cane stesi inermi a dormire in orizzontale. Dal cielo alla terra. Quello che Cattelan ci mostra è il tempo impensabile del postanimale. Dopo l’uomo e la natura, dopo il capitalocene e la pandemia, c’è ancora vita su questa terra. È una mostra piena di speranza, in fondo. Come già faceva il cinico di Foucault, Cattelan ci ricorda che una forma di vita diversa è possibile, è già possibile. Un barbone, un cane, dei piccioni. La vita non smette di viversi e cambiare. Forse stavolta l’abbiamo capito anche noi.

Riferimenti bibliografici
M. Foucault, Il coraggio della verità. Il governo di sé e degli altri II. Corso al Collège de France (1984), Feltrinelli, Milano 2011.

* Le fotografie che corredano questo testo sono di Agostino Osio e riprendono la sequenza delle tre opere di Maurizio Cattelan presentate alla HangarBicocca, Milano nella mostra “Breath Ghosts Blind” (15 luglio – 20 febbraio 2022): Breath (Courtesy l’artista, Marian Goodman Gallery e Pirelli. HangarBicocca), Ghosts (Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca) e Blind (Courtesy l’artista, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca).

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