Contrariamente alla promessa di brevità e alla forma narrativa scelta da David Foster Wallace per il suo catalogo di miserabili e misogini, racchiuso nella raccolta di racconti apparsa nel 1999, la serialità del nuovo millennio ci ha abituato ad intrattenere lunghe e a volte estenuanti relazioni con personaggi, soprattutto maschili, schifosi (Mittell 2017).

In riferimento alla produzione statunitense, l’inventario è alquanto variegato e ricco di sfumature: dalla fredda malvagità omicida di Toni Soprano, il boss de I Soprano (1999-2007), alla dubbia moralità e duplice personalità di Dexter Morgan in Dexter (2006-2013), fino all’abietto presidente degli Stati Uniti Frank Underwood, prima accompagnato e poi, nell’ultima stagione, rimpiazzato dalla moglie Claire Hale, in House of Cards (2013-2018). Anche l’Italia non è stata esente dal fascino per il male: Sky coproduce e trasmette prima Romanzo criminale – La serie (2008-2010) e poi Gomorra – La serie (2014-), adattando storie, ispirate a romanzi di successo, e rielaborando stereotipi criminali che rinnovano lo stile visivo e narrativo della serialità italiana. L’elenco potrebbe proseguire, evidenziando le diverse traiettorie morali e le diverse gradazioni etiche di protagonisti e comprimari, molto distanti da modelli eroici, che le serie tv hanno saputo mettere in scena. Ma questa manciata di personaggi esemplari è già sufficiente per mostrare la loro utilità nella costruzione di strutture narrative ampie e complesse. Il formato seriale contemporaneo si nutre di antieroi, delle loro sfaccettate biografie e degli stratagemmi che questi sono capaci di architettare per raggiungere i loro obiettivi.

La stratificazione narrativa innescata dai sentimenti negativi come la vendetta o il perseguimento egoistico del proprio benessere non respinge gli spettatori e anzi ne alimenta l’attenzione per la caratterizzazione dei personaggi e la curiosità verso le inaspettate evoluzioni della storia. Perché ci appassioniamo agli uomini malvagi o a figure afflitte da un passato traumatico che spesso si trasformano in cattivi senza scrupoli? Al di là dei processi di immedesimazione o di accuse moralistiche più o meno banali, sono soprattutto i meccanismi narrativi che sorreggono e fanno proseguire il racconto a sollecitare sia la cooperazione interpretativa dello spettatore, sia la riflessione sulle immagini e le storie che scorrono tra i nostri schermi.

Breaking Bad (2008-2013), Better Call Saul (2015-) e il film El camino (2019), assieme ai diversi mini-episodi collegati alle due serie, sono le costellazioni dell’universo narrativo ideato da Vince Gilligan e Peter Gould. Un universo che, anche grazie al successo del franchise, ha espanso progressivamente le sue cornici temporali e, al contempo, ha attuato uno scavo archeologico nei meandri della corruzione e del disfacimento morale che contagia e si fa strada, a differenti livelli di profondità, tra i diversi personaggi. Su ciascuno di essi grava il peso di un cambiamento in negativo: dalla parabola discendente dell’antieroe seriale per antonomasia, il professore di chimica Walter White che muta nel narcotrafficante omicida conosciuto con lo pseudonimo di Heinsenberg, all’involuzione dell’intraprendente e bonario avvocato Jimmy McGill in Saul Goodman, il difensore subdolo e con pochi scrupoli della criminalità, fino alla fuga di Jesse Pinkman dal suo passato, trascorso nell’ombra delle macchinazioni di Walt, e dalla sua prigionia.

La penultima stagione di Better Call Saul si apre e si conclude con profonde mutazioni nelle identità dei suoi personaggi principali. Come già preannunciato nell’ultimo episodio della quarta stagione, Jimmy cambia la sua identità anagrafica in Saul, inizia a indossare giacche e cravatte dai colori sgargianti e il suo biglietto da visita, sul quale campeggia il motto “Speedy Justice For You!”, finisce rapidamente nelle tasche dei criminali di Albuquerque. Nel personaggio interpretato da Bob Odenkirk, Jimmy ha sempre convissuto con il suo alter ego e la mutazione dei tratti esteriori è solo l’insorgenza definitiva di una duplicità che è costitutiva della sua personalità e di cui gli spettatori, in virtù della retrocessione temporale condotta in Better Call Saul rispetto a Breaking Bad, già conoscono le disastrose conseguenze. Nella quinta stagione si assiste invece a una trasformazione ben più radicale e, almeno in parte, inaspettata. Kim Wexler smette di essere soltanto una complice, spesso inconsapevole, dei raggiri e dei sotterfugi compiuti da Saul, abbandona la sua rettitudine di avvocatessa che alterna la consulenza per la banca Mesa Verde alle cause pro bono, e, seppur sorretta da uno spirito filantropico, sceglie di diventare un’abile manipolatrice dei destini altrui.

Al rientro di Saul dal viaggio, ai limiti della sopravvivenza, nel deserto (ottavo episodio), Kim smette di avere paura, di reagire per sopperire agli errori del suo compagno, non ha più bisogno di fingere di non sapere e inizia ad agire in anticipo, programmando con scaltrezza le sue prossime mosse, tra cui quella di screditare il suo ex-capo Howard. Libera dai timori e dai fardelli morali, Kim può finalmente prendere l’iniziativa ed essere pari, se non superiore, a Saul per ingegno e tattiche oratorie. Si tratta di una trasformazione preparata con cura, le cui avvisaglie possono essere rintracciate nell’arco dell’intera stagione. Si pensi al flashback che apre il settimo episodio in cui Kim, ancora adolescente, non perdona il ritardo della madre alcolizzata, o alla strategia, sulla quale sarà ancora Saul a prendere il sopravvento, per fermare i piani di espansione territoriale della Mesa Verde.

Lo spettatore osserva questi cambiamenti e, assieme ai vari comprimari, prova a comprenderne gli effetti. L’esercizio dell’attività scopica è tematizzato per ben due volte nella sequenza che fa da collante tra gli ultimi due episodi della quinta stagione. La prima volta si verifica durante il finale del nono episodio, con la soggettiva di Mike – braccio destro, suo malgrado, del pericoloso criminale Gus Fring – che, attraverso il teleobiettivo posto sul suo fucile di precisione, osserva e ascolta, grazie al cellulare volutamente lasciato acceso da Saul, il dialogo tra quest’ultimo, Lalo Salamanca, l’avversario di Fring, e Kim. La seconda occasione è collocata all’inizio del decimo episodio: dopo aver astutamente convinto Lalo della fedeltà di Saul, Kim guarda dallo spioncino della porta per assicurarsi che il narcotrafficante abbia definitivamente abbandonato l’appartamento. Queste inquadrature sono delle citazioni, abbastanza esplicite, a due tra gli sguardi più noti della storia del cinema: quello del fotoreporter Jeff e del voyeur Norman Bates, rispettivamente protagonisti de La finestra sul cortile (1954) e Psycho (1960). È dunque Hitchcock il maestro dal quale carpire non solo i segreti per generare la suspense a partire dalla cura dei dettagli ma anche per rivelare i meccanismi della visione e condurre una riflessione sulle capacità del soggetto di indagare tanto sul mondo che lo circonda, quanto sulle ombre che avvolgono la sua interiorità (Stoichita 2017).

Kim e Saul, nonostante i timori di quest’ultimo nei confronti delle trasformazioni che hanno coinvolto la personalità della prima, convergono verso un comune orizzonte valoriale e comportamentale. Il loro matrimonio, sancito attraverso un anonimo rito civile durante il settimo episodio, non è  solo un espediente legale per garantire a Kim di non testimoniare contro Saul e neppure uno stratagemma per costringere l’avvocato dall’abbigliamento improbabile a smettere di mentire tra le mura domestiche e di nascondere informazioni sulle sue consulenze legali. Formalizzando la loro lunga convivenza in un matrimonio, o meglio in un rimatrimonio (Cavell 1999), Kim e Saul hanno intrapreso la strada del riconoscimento reciproco, si sono affrancati dall’ipocrisia che illudeva entrambi di potersi muovere lungo e oltre i confini stabiliti dalla legge senza coinvolgersi vicendevolmente, hanno intrecciato i loro destini a un nuovo inizio. Kim ha scelto di assomigliare a Saul, o forse lo ha superato.

Riferimenti bibliografici
S. Cavell, Alla ricerca della felicità. La commedia hollywoodiana del rimatrimonio, Einaudi, Torino 1999.
J. Mittell, Complex tv. Teoria e tecnica dello storytelling delle serie tv, a cura di F. Guarnaccia e L. Barra, Minimum Fax, Roma 2017.
V.I. Stoichita, Effetto Sherlock. Occhi che osservano, occhi che spiano, occhi che indagano. Storia dello sguardo da Manet a Hitchcock, Il Saggiatore, Milano 2017.
D.F. Wallace, Brevi interviste con uomini schifosi, Einaudi, Torino 2016.

Better Call Saul. Ideatore: Vince Gilligan e Peter Gould; Interpreti: Bob Odenkirk, Jonathan Banks, Rhea Seehorn; produzione: High Bridge Productions, Crystal Diner Productions, Gran Via Productions, Sony Pictures Television; origine: USA, anno: 2015-in produzione.

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