Il candore di un abito talare si confonde con il biancore niveo dello sfondo; vi spicca il disegno di labbra morbide e piene mentre da un risvolto della veste si offre il turgore sferico di un seno: è questa l’immagine-vessillo che annuncia l’uscita, in poche copie e in poche sale, nei cinema italiani di Benedetta di Paul Verhoeven, a due anni dall’anteprima al Festival di Cannes nel 2021. Ispirato alla figura di Benedetta Carlini di Vellano, il film si appoggia per la ricostruzione storica ad Atti impuri – Vita di una monaca lesbica nell’Italia del Rinascimento di Judith C. Brown (cui si devono opere come Gender and Society in Renaissance Italy) che ripercorre la vita della donna vissuta nel XVII secolo, badessa del convento di Pescia, in Toscana. Tanto basta a soffiare sul fuoco dello scalpore.

La narrazione prende avvio dalla consacrazione di Benedetta bambina a sposa di Cristo, compimento del voto espresso per la risoluzione di una grave malattia occorsale in tenera età; una ellisse di 18 anni, ce la fa ritrovare già adulta (Virginie Ebira). Visioni estatiche e controversi – ma mirabili – eventi che la riguardano le procurano la devozione delle consorelle e del popolo nonché l’attenzione non disinteressata delle autorità ecclesiastiche. Benedetta, malgrado la sua giovane età, giunge quindi a scalzare la reverenda madre (suor Felicita/Charlotte Rampling), non senza la fiera opposizione di Christina (Louise Chevillotte), la monaca figlia della badessa. L’accoglienza data a una donna del popolo – poi, suor Bartolomea (Daphne Patakia) – per sottrarla alla violenza del padre e dei fratelli, inserisce la linea omoerotica.

Con la seconda firma in sceneggiatura di David Birke, il nome del produttore Saïd Ben Saïd e la presenza dell’icona Charlotte Rampling, Benedetta ripropone la combinazione che ha valso al precedente Elle (2016) il prestigioso premio César, in una continuità che, secondo parte della critica, torna audacemente ad affrontare temi scabrosi, socialmente disturbanti ma forti, e necessari: dalla violenza sistemica, al desiderio e alla sessualità femminile. Su un diverso registro si muove la campagna di distribuzione che, nello scenario del film in costume, missa sapientemente intrighi di potere, scene di carattere saffico, evocazioni di blasfemia, sacre visioni, cavalcando le derive pruriginose del soggetto legittimate dalla cornice dei “fatti realmente accaduti”. Ancora, Benedetta sarebbe piuttosto un «joke» (Kiang 2021), un appariscente divertissement del poliedrico Verhoeven.

Nell’intersezione di queste direttrici, l’impianto filmico è accostabile quale allestimento dissimulante. A richiamarlo, il motivo della vanitas che balugina nel memento mori di scheletri saltanti all’ingresso cittadino dei Carlini, di fronte alla fabbrica dell’edificio religioso; riaffiora nell’accentuazione della “parti basse” della scena della latrina dove la protagonista e la “bella” suor Bartolomea, sua futura amante, commentano il piacere dell’evacuazione al suon di compiaciuti peti, oltre che nello scenario stesso della peste, rappresentata come grande livellatrice. Cogliendo il monito a non dare importanza ai sembianti, tolta l’appariscenza vorticosa degli orpelli, potremmo allora pensare a Benedetta come a un percorso di spoliazione e a uno sguardo lucido sulla radicalità dell’appartenenza.

Il primo prende, letteralmente, avvio dalla deposizione delle vesti eleganti, richiesto alla bimba al suo ingresso in convento, per approdare all’immagine di nudità guerriera della donna che, allontanatasi dalla città, dove è sfuggita al rogo e ai tumulti della piazza, si accinge a far ritorno al monastero. La soglia attraversata da Benedetta è anche l’asse di torsione da una concezione del mondo imperniata sul possedere a una dimensione di un appartenere non interrogabile. Insistiti sono infatti gli inserti sul principio di proprietà che cadenzano la parte iniziale: è nel nome del legittimo possesso che udiamo la piccola Benedetta intimare la restituzione della collana strappata dal collo della madre da uno dei banditi incontrati nella strada verso Pescia; al lascito familiare si appella, poco dopo, la novizia per opporsi alla requisizione della statuina devozionale della Madonna.

Per quanto apparentemente allineata alla logica espressa dall’interpellante, la replica che impone a Benedetta di pregare ora la statua del convento apre invece a uno spostamento dall’oggetto-bene all’oggetto-spazio di un simbolico-relazionale, in cui il mio confluisce nel nostro. La torsione è posta sotto l’egida della Madonna del latte della grande statua del chiostro che introduce un motivo parallelo rispetto a quello, successivo, delle visioni estatiche dominate dalla figura di Gesù. Ed è la Vergine-Madre (Blessed Virgin, appellativo mariano, riporta il titolo internazionale del film), nel crollo del basamento che sostiene l’effige, a soverchiare con il proprio corpo il corpo della piccola orante a lei affidatasi nella solitudine della sua prima lunga notte fuori dalla casa che l’ha vista crescere.

La supplice, del tutto illesa, non esita a volgere le proprie labbra alla mammella pietosa e a predisporsi a suggere la linfa dal capezzolo ligneo, accogliendo così l’istanza carnale dell’abbraccio mirabile. Da qui prende slancio il movimento iconografico che impegna il film, in cui il seno offerto si fa materia pulsante, principio di turbamento e di desiderio, esaltato tanto nelle scene erotiche quanto nella madonna galactotrofusa che, nelle vesti di una donna a servizio del Nunzio, fa zampillare, orgogliosa della prossima maternità, il seno già turgido di latte; infine, si riversa nella “scandalosa” immagine di locandina descritta nelle prime righe. Implacabile e pietosa è Benedetta, garante di salvezza a chi voglia a lei consegnarsi.

Nel segno di un consegnarsi spoglio di motivazione è sugellata l’alleanza finale tra Benedetta e suor Felicita, nel riconoscimento di un’appartenenza cui sono entrambe pervenute dopo aver conosciuto gli affetti terreni ed averli attraversati nella loro caducità: dal piacere del sesso al dolore per la perdita della figlia. Le due donne si ritrovano nella scena forse più intima e conturbante della pellicola, che vede l’anziana affidarsi all’antica nemica e questa approssimare il proprio volto intatto a quello dell’anziana, infetta e prossima alla morte, in una, sacra, conversazione che non è dato di udire. Entrambe fedeli, fino alla prova estrema, a quel luogo, spazio simbolico e concreto, che è tutta la loro esistenza.

È il senso insondabile di questa scelta che Felicita cerca invano di spiegare alla figlia e Benedetta alla sua giovane amante, prima di abbandonarla. Legata alla logica terrena, Bartolomea cerca il sì e il no delle cose, inveisce contro Benedetta che si sottrae a tale ordine del discorso e si rifiuta senza possibilità d’appello di partire lontano con lei. “Sei una bambina”, constata Benedetta – giunta ora a una maturità consapevole – di fronte allo sbigottimento disorientante che scuote Bartolomea a fronte dell’amica, che più non riconosce. La situazione si volge in figura, l’azione in gesto: da un lato Bartolomea esterrefatta e, pertanto, maledicente, dall’altro il sereno volgere le spalle per immergersi nella luce delle colline verdeggianti.

Riferimenti bibliografici
J. C. Brown, Atti impuri – Vita di una monaca lesbica nell’Italia del Rinascimento, ES, Milano 2005.
J. C. Brown, R. C. Davis, Gender and Society in Renaissance Italy, Routledge, London-New York 1998.
J. Kiang, Bless Us ‘Benedetta’, For Paul Verhoeven Has Sinned (Cannes Review), in “The Playlist”, 09/07/2021. https://theplaylist.net/bless-us-benedetta-for-paul-verhoeven-has-sinned-cannes-review-20210709/

Benedetta. Regia: Paul Verhoeven; sceneggiatura: David Birke, Paul Verhoeven; fotografia: Jeanne Lapoirie; montaggio: Job ter Burg; musiche: Anne Dudley; interpreti: Virginie Efira, Charlotte Rampling, Daphné Patakia, Lambert Wilson, Olivier Rabourdin, Louise Chevillotte, Hervé Pierre, Clotilde Courau; produzione: SBS Productions, Pathé, France 2 Cinéma, France 3 Cinéma, Topkapi Films, Belga Productions; distribuzione: Movies Inspired; origine: Francia, Paesi Bassi, Belgio; durata: 131′; anno: 2021.

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