Ecco, vicino al ceppo “cuore del mondo”, un uomo: lo vedo, sacro orrore su lui, curvo, prostrato. Figura di uno che implora. Le mani grondano sangue. Nel pugno, una lama fresca del colpo e una cima d’ulivo, una fronda che – cura devota – ampia fascia inghirlanda: ciocche lucenti di lana, se devo parlare più chiaro. Di fronte a lui, all’uomo, una banda mostruosa di donne. Assopite, posate sui seggi. No! Donne, che dico? Gòrgoni, anzi.
Eschilo, Eumenidi.
La storia del matrimonio tra pittura e letteratura è anche la storia di un divorzio. Tutta colpa, e tutto merito, di Édouard Manet e della nascita della pittura moderna (con Déjeuner sur l’herbe, 1863). Questa Marriage Story è tuttavia anche quella di una riconciliazione che non può che attuarsi sulla scena di una separazione necessaria, per eccesso di affinità elettive. Prendere alla lettera – au pied de la lettre – la mostra Bacon en toutes lettres, curata da Didier Ottinger al Centre Pompidou di Parigi, vuol dire osservare queste “scene da un matrimonio” dal di fuori, in una visione stereoscopica, capace di vedere contemporaneamente e separatamente.
La letteratura e la filosofia non possono spiegare o narrare il tragico nel visibile, né tantomeno essere le chiavi d’accesso alla “brutalità delle cose” che s’incrosta geometricamente nella pittura di Bacon, così come i trittici e i ritratti del pittore irlandese non possono e non vogliono illustrare la poesia e il pensiero di cui si alimenta tutta la sua opera. Lo spettro cronologico entro cui si colloca la scelta delle opere in mostra va dal 1971 al 1992. La scena è dunque calcata dai lavori tardivi di Bacon, realizzati dopo il 1971, anno della sua incoronazione pubblica alle Galeries nationales du Grand Palais di Parigi con una retrospettiva internazionale che sigillava il libro dei grandi dell’arte della seconda metà del XX secolo anche con il suo nome. Tragico sigillo, anticipato dal suicidio George Dyer, compagno di Bacon, la sera prima dell’inaugurazione.
La mostra va visitata nello spazio e nel tempo di una relazione impossibile, come un grande appartamento moderno abitato da due coniugi nella fase tramontante della loro storia matrimoniale. La letteratura vive separata dalle stanze della pittura, in sei camere oscure, posizionate lungo tutto il percorso espositivo, dove vengono letti testi in francese e in inglese di Eschilo, T.S. Eliot, Joseph Conrad, Friedrich Nietzsche, Georges Bataille e Michel Leiris. La voce registrata è diffusa come un’aureola sonora attorno alla teca dove sono custoditi gli esemplari dei libri – usati e logorati dagli occhi e dalle mani di Bacon –, e da cui sono tratti i brani recitati e diffusi in ognuna delle sei black box. La scelta dei testi provenienti dalla biblioteca di Bacon, e inventariati dal dipartimento di storia dell’arte e di architettura del Trinity College di Dublino, costituiscono nell’immaginario del curatore della mostra una sorta di batailleana Somme athéologique (Summa ateologica) che potrebbe così includere nel suo lemmario le voci “Furia”, “Desolazione”, “Orrore”, “Ebbrezza”, Basso materialismo”, “Tauromachia”…
Pittura e letteratura nell’opera di Bacon corrono insieme come due rette parallele distinte, mai coincidenti. Nell’esplorare l’allestimento s’incontrano poche informazioni riguardo questa precisa scelta curatoriale, tutte o quasi si trovano nel catalogo, e nei libri che altri grandi filosofi e scrittori hanno dedicato alla logica del visibile in Bacon (da Gilles Deleuze a Jonathan Littell). Bacon en toutes lettre è la storia di un montaggio delle attrazioni, violento e conflittuale, che va percorso senza sperare d’incontrare isole porose, spazi di dialogo. Immagine e testo s’influenzano, si accompagnano, si ridefiniscono in modi esigenti, ma sempre restando in camere separate.
Il trittico di Bacon, ispirato dall’Orestea di Eschilo (1981), dove la sanguinosa deformazione dei corpi è ricomposta e tamponata all’interno del sistema di griglie che la inquadra, è inevitabilmente attratto, come dal canto di una sirena, nel campo acustico aperto della voce di Domique Reymond, che legge un passaggio tratto dalla traduzione inglese (Penguin Books, proveniente dalla biblioteca di Bacon) della Trilogia – Agamennone, Le Coefore, Le Eumenidi – di Eschilo. Rimando diretto, ma rapporto imprevedibile con la sfera del visibile.
Come afferma lo stesso Bacon in un’intervista del 1979 con David Sylvester, la letteratura, in questo come negli altri esempi che si trovano in mostra, ha il carattere di un medium atmosferico, di un nembo infuriato che si stacca dal contesto d’origine per approdare sulla tela senza un nesso diretto di causa ed effetto: «Raramente mi è accaduto di fare delle cose direttamente ispirate da versi o poemi particolari. È troppo difficile partire da una certa poesia per farne della pittura; è l’atmosfera generale che m’impressiona» (Ottinger 2019, p. 20).
Dagli inni delle Erinni nella terza parte dell’Orestea, ai versi di T.S. Eliot, passando per i capitoli di Cuore di tenebra di Conrad, un ciclo d’ “immagini immediate” (come le definisce Bacon stesso nell’intervista con Sylvester) tradiscono il contesto letterario d’origine. Le fonti scritte, nell’atto del dipingere, non giungono mediate da una scelta ponderata: il ritmo della prosa e della poesia si riversa nelle macchie di colore sulla tela come atto di un delitto non premeditato.
Nel marzo 1939 Bacon assiste a Londra, al Teatro di Westminster, alla messa in scena di The Family Reunion di T.S. Eliot, Orestea moderna, opera bifronte come le Erinni/Eumenidi, tragedia della colpa e della redenzione, della furia e della benevolenza, dramma della paura del Tempo (storico e anche atmosferico), che nutrirà, insieme alla Trilogia originale di Eschilo, l’“atmosfera generale” addensata attorno ad alcune delle sue maggiori opere: dal trittico Three Studies for Figures at the Base of a Crucifixion (1944) a Three Figures and Portrait (1975).
Le Erinni continuano nel tempo a perseguitare Bacon. Solamente la lettura di Nietzsche, e il prodigioso dialogo tra Apollo e Dioniso, potrà placare il tribunale delle Nemesi. In alcuni dei più imponenti trittici baconiani, è proprio Apollo, “genio del principium individuationis”, a raffreddare per un istante la temperatura del divenire, dell’instabilità e della duttilità delle forme, in una “immacolata concezione” dello sfondo, tanto dal punto di vista cromatico che geometrico. In opere come Study for a Bullfight no. 1 (1969), si intuisce già il senso della logica della crepa, dello spostamento e della dissonanza che fondano la forza teorica di Miroir de la tauromachie (1938) di Michel Leiris, complice e amico di Bacon, tra i primi a svelare l’originalità della sua pittura.
Nell’Immaculée Conception (1930) Paul Éluard e André Breton scrivevano assieme un’opera centrale per comprendere la funzione della scrittura automatica come strumento di esaltazione della poesia pura, intesa al tempo stesso come poesia dell’eccesso. Nel 1982 Francis Bacon dipinge Water from Running Tap, opera in cui l’acqua scola immacolata dal rubinetto di un lavandino. Nello suo scorrere, in uno spazio che ricorda una casa di vetro, il filo dell’acqua si condensa in una nube di colori che sembra restituire, allo stato gassoso, le membra rosa di un corpo purificato, lavato dalla brutalità della pittura, dalla brutality of fact.
Riferimenti bibliografici
G. Bataille, Summa ateologica, Dedalo, Bari 1978.
A. Breton, P. Éluard, L’Immaculée Conception, trad. it. L’immacolata concezione, a cura di Giorgio Agamben, Gallino Editore, Milano 2005.
G. Deleuze, Francis Bacon. Logica della sensazione, Quodlibet, Macerata 2008.
Eschilo, Orestea – Eumenidi, atto I, Garzanti, Milano 2018, p. 203.
M. Leiris, Specchio della tauromachia e altri scritti sulla corrida, trad. it. a cura di Catherine Maubon, Bollati Boringhieri, Torino 1999.
J. Littell, Trittico. Tre studi da Francis Bacon, Einaudi, Torino 2014.
D. Ottinger, a cura di, Bacon en toutes les lettres, Editions du Centre Pompidou, Parigi 2019.
Bacon en toutes lettres, Centre Pompidou, Parigi, 11 settembre 2019 – 20 gennaio 2020.