Offrire un proprio contributo alla categorizzazione critica, alla concettualizzazione teorica o alla costruzione di una o più storie del cinema non è certamente lo scopo principale dei festival cinematografici – o se non altro di ciò che ordinariamente i festival cinematografici credono di dovere o poter rappresentare. Che i festival possano tuttavia percepirsi come attori significativi di una costellazione assai più ampia e che la loro azione sia parte costitutiva dell’elaborazione culturale dell’arte cinematografica è cosa certo difficile da mettere in dubbio, sotto pena di non comprendere ciò che i festival che si ritengono tali – e cioè quelli che portano avanti una ricerca e offrono nella loro programmazione una lettura critica del cinema, e non un semplice catalogo di prodotti audiovisivi – siano oggi in profondità, dietro immagini di superficie apparentemente più leggere.
Le ragioni dell’una e dell’altra cosa sono molteplici, e se certamente da un lato pesa un sistema di finanziamenti che (almeno in Italia e fin nelle sue destinazioni amministrative più periferiche) tende a privilegiare la promozione turistica alla programmazione culturale, pensando e sostenendo le manifestazioni di fruizione cinematografica essenzialmente come strumento finalizzato a promuovere un territorio e incoraggiarne la frequentazione, dall’altro c’è il fatto che la progressiva trasformazione dei luoghi di fruizione del cinema, la rarefazione delle sale nelle città, l’omologazione della distribuzione tradizionale e naturalmente il mutamento delle abitudini di visione di chi ancora vuole accordare tempo e attenzione ai film fanno sì che oggi festival sempre più diffusi nel territorio rappresentino di fatto un circuito di visione e di distribuzione alternativo e capillare che è parte integrante dell’industria cinematografica. E che è anche, talvolta e forse meno occasionalmente di quanto si possa ritenere, un luogo cruciale per la riflessione e l’indagine su ciò che il cinema è o va diventando nella contemporaneità.
Nella loro dimensione evenemenziale – più o meno gioiosamente assecondata o sopportata – i festival cinematografici possono essere luoghi anomali di sospensione del tempo ordinario e di consumo, e hanno la capacità di costruirsi come luoghi di approfondimento (di incontro, di conoscenza e di relazioni autentiche) che guardano ben al di là dell’evento stesso. Potrebbe sembrare paradossale (e certo è raro) ma accade, e forse tutte le persone che per una ragione o per un’altra si trovano coinvolte nella concezione e nella costruzione di manifestazioni di questo tipo possono testimoniare di essersi considerate parte di questo meccanismo già da prima, sin da quando qualcosa che avevano avvertito nella semplice fruizione da spettatori è stata in grado di generare nelle loro esistenze meccanismi in qualche modo irreversibili.
Questo libro nasce da un evento (la decima edizione di un festival, prevista per la fine di maggio del 2020); da un impedimento (l’impossibilità di svolgerlo come previsto, per cause imprevedibili come lo scoppio di una pandemia); da un progetto (quello del Sicilia Queer filmfest e della piccola comunità che gli dà vita) e da un desiderio: offrire un contributo più lento e ragionato su una trasformazione che stiamo attraversando.
L’oggetto d’analisi è dunque il cinema contemporaneo, e in particolare i primi vent’anni del nuovo millennio. La prospettiva adottata è quella di uno sguardo orientato, innanzitutto geograficamente (l’Europa occidentale), per una ragione che è nello stesso tempo pratica e teorica: sulla cinematografia europea si è principalmente concentrato lo sguardo del nostro festival nei primi dieci anni della sua esistenza; per motivi contingenti, certo, ma anche per il fatto che l’offerta e la diversità del cinema europeo sembrava sufficientemente stimolante e nutriva una programmazione ogni anno ricca e diversificata. Tanto da metterci dinanzi a una domanda: è possibile ipotizzare che se gli anni Ottanta e Novanta sono stati (per ragioni storiche e politiche ben precise) i due decenni di un cinema queer nord-americano – a partire dalla proposta avanzata nel 1992 dal celebre saggio di B. Ruby Rich sul New Queer Cinema, che in qualche modo codificava una serie di movimenti nel cinema e permetteva di offrirne una cornice teorica, per quanto aperta – è possibile ipotizzare, dicevamo, che i decenni immediatamente successivi, dal Duemila in poi, abbiano visto emergere un cinema queer tutto europeo? La domanda accompagnava il nostro lavoro di programmazione e risultava stimolante da un punto di vista teorico.
Se da un certo punto di vista era certamente possibile rispondere affermativamente, ecco sorgere immediatamente altre domande connesse alla prima: di che cinema si è trattato dunque? E che cosa ha significato, di volta in volta, ridefinire il concetto stesso di queer al cinema per autori, autrici, persone che si occupano di studiare e commentare il cinema nel suo farsi, spettatori e spettatrici?
A partire da questa ed altre serie di domande – consapevoli della parzialità dello sguardo e senza alcuna pretesa di preminenza territoriale, ma desiderosi di alimentare una curiosità che eccede la nostra piccola realtà – ci è venuta voglia di chiedere a una serie di persone che nel corso di questi anni sono entrate in relazione con il Sicilia Queer di aiutarci a costruire innanzitutto una mappa: un movimento preliminare a qualsiasi tentativo di teoria più articolata. Muovendoci nell’ambito di un cinema che per lungo tempo e spesso ancora oggi si muove ai margini dell’industria tradizionale, abbiamo voluto chiedere a persone provenienti e operanti da/in otto paesi diversi dell’Europa dell’ovest di offrire il loro sguardo sulla cinematografia queer del paese in cui vivono, nella certezza di poter così mettere in comune alcuni riferimenti non necessariamente noti ai più.
Una mappa, dunque, ma anche un catalogo ragionato: di titoli, di nomi, di discorsi emersi in questi venti anni. E dall’analisi di questi nomi e titoli provare a far emergere delle storie, otto piccole storie del cinema europeo contemporaneo sotto la lente d’ingrandimento di quello che è… un genere? una forma? una pratica? come quello che va sotto il nome di cinema queer. Non c’è bisogno di sottolineare come ogni storia rappresenti un punto di vista, e per quanto informata e argomentata nasconde sempre dietro di sé molteplici altre storie possibili, tutte da scrivere. Ma il tentativo programmatico di questo libro è stato quello di coinvolgere e sentire il parere di specialiste e specialisti di formazione, professione e background diversi – soprattutto per il fatto che ognuno di loro è stato un incontro significativo per la vita del Sicilia Queer, che deve a ciascuno di essi, per ragioni diverse, un pezzo della sua crescita.
Critici cinematografici, programmer, distributori, studiosi e accademici (anche nascosti in questa sede dietro il ruolo di traduttrici e traduttori): questi, in breve, i loro profili. Ciò che ci accomuna tutti è una domanda sul cinema e un interesse specifico verso ciò che si definisce, in maniera non univoca né pacifica, cinema queer, al cui approfondimento questo libro prova a fornire un ulteriore contributo. Perché se è vero che il lavoro di programmazione di un festival è già un’operazione teorica e critica – ne siamo convinti –, offrire uno spazio ulteriore alla condivisione di saperi ci sembra un elemento imprescindibile dell’attività di politica culturale di un festival che provi a prendere sul serio il proprio lavoro.
D’altra parte, questo libro nasce anche dall’osservazione e dall’imitazione: in occasione del suo diciottesimo compleanno, il festival Queer Lisboa ha realizzato un libro fondamentale per chiunque sia interessato a conoscere nel profondo il cinema e la cultura queer portoghese, e volevamo che in occasione del suo decimo compleanno il Sicilia Queer provasse a farsi e a fare questo regalo, imitando lo spirito di uno dei festival che più abbiamo imparato ad assumere come punto di riferimento.
Chi avrà modo di leggere tutto il libro troverà dei riferimenti comuni ai vari saggi (Butler, Muñoz, Preciado, ma anche Mieli, Kosofsky Sedgwick, De Lauretis): essi rappresentano una parte significativa della costellazione teorica e filosofica attorno alla quale il cinema queer si è strutturato in questi anni, più o meno consapevolmente. L’emergere costante di riferimenti simili rappresenta un ulteriore invito all’approfondimento – e anche per questo ogni saggio presenta in conclusione una bibliografia essenziale. Abbiamo inoltre aggiunto alla fine di ogni capitolo una filmografia delle opere citate (indicando in neretto se e quando il film è stato presentato al Sicilia Queer). È potenzialmente un altro modo per ripercorrere a partire dai singoli film alcune possibili storie di questi vent’anni di cinema europeo – e anche un rapido test per verificare quanta familiarità avrà chi legge con alcuni dei nomi e dei titoli che vedremo essere tenuti in grande o scarsa considerazione dagli autori e dalle autrici dei vari saggi.
Era la nostra scommessa iniziale: chiedendo a chi scriveva di considerare quali film il Sicilia Queer avesse presentato nel corso di questi anni di trasformazione nel cinema contemporaneo, volevamo renderci conto soprattutto delle mancanze e di quello che avremmo potuto e forse dovuto tenere in considerazione; allo stesso modo, le filmografie costruite all’interno dei cataloghi del festival – disponibili gratuitamente on line e in molte biblioteche pubbliche, non solo italiane – e gli altri contributi teorici e di analisi delle varie sezioni del festival (dalla Carte postale à Serge Daney alle Retrovie italiane passando per le Eterotopie e le incursioni nelle arti visive e nelle letterature queer, oltre alle figure cui è stato assegnato sin dalla prima edizione del festival il Premio Nino Gennaro) potranno servire come ulteriore complemento di ciò che segue per chi dovesse stupirsi del fatto che, ad esempio, tra gli autori citati per il cinema italiano non si faccia cenno ai film del collettivo Canecapovolto o a quelli di Adele Tulli, o che per il cinema francese non si menzionino registe come Catherine Corsini, Marie-Claude Treilhou o il contestatissimo Abdellatif Kechiche, e così via. A ulteriore riprova della grande vivacità del cinema di cui qui è questione, la cui ricchezza è tutta da esplorare e sulla quale molte persone in tutto il mondo continuano a ragionare.
Andrea Inzerillo, a cura di, Atlante del cinema queer contemporaneo. Europa 2000-2020, Meltemi, Milano 2023.