La recente stagione pandemica, che tarda a concludersi, ha portato con sé parole “nuove”: congiunto, no vax, assembramento. In realtà, nessuna di queste parole è propriamente nuova ma, nel contesto e per il modo in cui è stata utilizzata, ha assunto nuove connotazioni. Il linguaggio pubblico – e i dibattiti spesso deprimenti che hanno contribuito a diffondere questi vocaboli – hanno così risemantizzato parole già esistenti, piegandole a nuovi usi e facendone in alcuni casi delle vere e proprie parole d’ordine. Anche la filosofia, dal canto suo, ha però la capacità – forse il compito – di inventare nuovi significati per parole già note: è l’idea deleuziana della filosofia come creazione di concetti, non creazione dal nulla ma appunto reinvenzione di termini dati. Attraverso queste parole vecchie-nuove, attraverso la creazione di concetti, la filosofia è in grado di orientare il pensiero mettendo in luce aspetti della realtà sempre sott’occhio e proprio per questo inappariscenti.
Ecco che allora il titolo del nuovo saggio di Felice Cimatti, Assembramenti, a un primo sguardo pare riferirsi proprio alla più recente attualità. L’autore stesso gioca con l’uso che del termine è stato fatto nel linguaggio politico e giuridico, citando il Decreto del Presidente del Consiglio del 26 aprile 2020 che appunto stabiliva il «divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di almeno un metro» (Cimatti 2022, p. 5). Il divieto di assembramento è al contempo, secondo l’autore, un dispositivo giuridico e un dispositivo metafisico, che sancisce un’idea dell’umano (l’individuo separato dalla sua rete di relazioni) e addirittura un’idea della realtà, vale a dire un modo generalissimo di concepire come è fatto il mondo. Con un colpo d’ala, nel corso del libro, si capisce che l’assembramento non è il termine chiave di una proposta meramente etico-politica schiacciata sull’attualità – il punto infatti non è primariamente entrare nella disputa giornalistica sulle misure adottate durante la pandemia – ma il vettore teorico di un generale ripensamento dell’ontologia ingenua che informa di sé la nostra visione del mondo.
Il vero bersaglio del saggio è infatti quella che Peter van Inwagen chiama Common Western Metaphysics, una visione del mondo secondo cui la realtà è composta da entità individuali che, solo talvolta e a certe condizioni, si riuniscono ed entrano in relazione tra loro. Contro il primato dell’individuale affermato dalla Common Western Metaphysics, Cimatti percorre un’«ipotesi ontologica» (ivi, p. 7) secondo cui in principio è l’assembramento, vale a dire l’incontro tra entità che non sono già di per sé individualizzate. Il ritmo stesso della vita è scandito da assembramenti, alleanze momentanee, saldature inaspettate tra elementi eterogenei che non sussistono autonomamente: «Il mondo coincide con il formarsi di assembramenti» (ivi, p. 17), in un regime di radicale contingenza.
In continuità con i suoi lavori più recenti, Cimatti individua nel linguaggio il principale strumento di articolazione del mondo e, proprio per questo motivo, il principale ostacolo a una esperienza diretta dell’immanenza della vita, qui intercettata attraverso la nozione di assembramento: «Il linguaggio nasce proprio per opporsi agli assembramenti» (ivi, p. 47). Il linguaggio infatti “ritaglia” il continuum della realtà delineando cose, oggetti singolari, che poi cerca maldestramente di rimettere in relazione. Il concetto di assembramento ci aiuta invece a capovolgere la questione: «È l’assembramento che produce le cose, non le cose l’assembramento» (ivi, p. 50). Uscendo dall’orizzonte individualizzante imposto dal linguaggio, l’assembramento si propone come un turbine (usando un termine di Michel Serres), affine all’agencement deleuziano e al suo divenire impersonale, non premeditato, accidentale, «testimonianza dell’agentività del mondo» (ivi, p. 129).
Ci sono almeno due aspetti che caratterizzano il libro di Cimatti, non solo come una riflessione sul concetto di assembramento ma come una reale pratica di assembramento: il primo potremmo dire teorico (sì, esiste qualcosa come una pratica teorica), il secondo estetico. Vediamoli in dettaglio. Ponendo a tema il primato dell’assembramento sull’individuo, dell’incontro sull’oggetto astratto, della relazione sulla sostanza, Cimatti si confronta con molti autori, filosofi ma anche scienziati e psicoanalisti, poeti e romanzieri, antropologi e artisti: tra i principali interlocutori teorici spiccano Merleau-Ponty (per il suo concetto di carne), Wittgenstein («l’“assembramento” è il mistico», ivi, p. 51), De Martino (per la coppia crisi della presenza/ethos del trascendimento), Deleuze, Lacan, Jung, Breton, Viveiros de Castro (con il concetto di multinaturalismo), Duchamp, addirittura Kant (richiamato per la nozione di etere) e Leibniz. Questi nomi, qui presentati solamente con uno sguardo di sorvolo, dicono qualcosa di importante circa la pratica teorica svolta in Assembramenti: non la disamina monografica di un autore, non una trattazione storica o una proposta ermeneutica né un vero e proprio dialogo o confronto tra posizioni differenti ma una pratica dell’incontro con concetti e autori che, via via, contribuiscono a definire l’ipotesi ontologica di cui il saggio si fa portatore. Come nello studio di un artista, Cimatti frantuma, riduce in polvere e mescola elementi teorici eterocliti preparando un colore che poi stende sulle pagine del libro.
E veniamo così all’aspetto estetico della pratica di assembramento realizzata nel saggio. Come abbiamo detto, assembramenti di autori, ma anche assembramenti di parole: diciotto lemmi scandiscono altrettanti capitoli, mettendo in scena una poetica della paratassi e della giustapposizione. Campo, incontri, fatto, crisi, sguardi, sorvolo, godimento, turbini, macchia, bellezza, differenza, cose, paura, parola, scarto, fuori, caso, resa: gli assembramenti sono questo e altro ancora. Ma oltre all’assembramento degli autori e dei lemmi, ogni capitolo è in sé un assembramento di parole e immagini, dal momento che in apertura di ogni sezione troviamo una fotografia:
Le immagini sono riproduzioni di fotografie che mostrano l’aver luogo di un “assembramento” fortuito. Anche se, trattandosi di fotografie, dietro il mirino c’è (stato) uno sguardo umano, e quindi forse intenzionale, si cercherà di prendere in considerazione queste immagini come se fosse stata la stessa situazione ripresa, in realtà, a fotografarsi. Come se fosse stato il mondo stesso a riprendersi (ivi, p. 7).
Attraverso il filtro della macchina fotografica è uno sguardo inumano e impersonale che dà a vedere diversi assembramenti possibili e fortuiti: una scarpa da donna quasi schiacciata da uno pneumatico, un guanto di plastica sull’asfalto, una FIAT 126 targata CZ parcheggiata in quello che sembra un vicolo del Sud Italia, un albero cresciuto inopinatamente in mezzo a un guard rail. Immagini umili, a volte enigmatiche, spesso tratte dalla vita urbana: nulla di altisonante o ricercato, gli assembramenti costituiscono la trama del quotidiano.
È nel suo essere “terra terra” che l’assembramento illumina la realtà di una luce insolita, capace di mettere in risalto la bellezza terribile del mondo:
L’assembramento mette in scena ogni momento questa situazione elementare, semplicemente. Un pensiero degli assembramenti è un pensiero che non si tira indietro di fronte alla cosa. È un pensiero selvaggio quanto l’“occhio selvaggio” del mondo. È solo un pensiero del genere che può cogliere la bellezza degli assembramenti, perché da un lato non si spaventa per la brutalità senza fronzoli del mondo, dall’altra tuttavia non smette di meravigliarsi di fronte alla creatività di quello stesso brutale mondo (ivi, p. 80).
Tornando ora all’innesco del saggio, vale a dire alle norme anti-Covid, ben si capisce come sotto la critica dell’autore non cada tanto e solo il divieto di assembramento, con le sue implicazioni politiche e sociali, quanto piuttosto l’ontologia soggiacente che, riconoscendo la realtà come composta solamente di entità individuali, perde di vista la stoffa vitale del mondo, costituita appunto da assembramenti. Ecco allora che l’orizzonte critico del saggio si sposta dalla gestione della pandemia all’ontologia, o meglio parte dal piano biopolitico – entro cui è stato abitualmente condotto il dibattito sulle misure relative al Covid – per approdare al piano metafisico. Qui si consuma un ripensamento dei rapporti tra etica e ontologia: «Prima vengono gli assembramenti, poi la loro valutazione. Prima le cose, sempre, poi i giudizi sulle cose» (ivi, p. 142). È questo il duplice esito, radicale, del saggio di Cimatti: da una parte l’affermazione di un realismo degli assembramenti, dall’altro la resa alla bellezza brutale del mondo.
Felice Cimatti, Assembramenti, Orthotes, Napoli-Salerno 2022.