A due anni dalla pubblicazione dell’edizione italiana di Object-Oriented Ontology: A New Theory of Everything (Carbonio 2021), che aveva introdotto nel nostro panorama filosofico l’ontologia orientata agli oggetti (OOO) dopo una prima circolazione limitata agli specialisti e a un ristretto numero di attenti osservatori della scena filosofica contemporanea, Graham Harman torna con l’atteso volume Arte e oggetti. Il filosofo statunitense offre così il proprio contributo nel campo dell’Estetica, in cui la OOO ha ricevuto particolari apprezzamenti (ricordiamo, tra l’altro, che Harman insegna presso il Southern California Institute of Architecture di Los Angeles). E lo fa in primo luogo compiendo un’interessante operazione di riconnessione tra i due modi prevalenti di considerare l’estetica, solitamente ritenuti alternativi: da un lato filosofia della sensibilità, dall’altro filosofia dell’arte. I presupposti della OOO – che già in precedenti fasi di elaborazione poneva «l’estetica alla radice della filosofia» (Harman 2021, cap. 2) – consentono di partire dal primo ambito, quello del rapporto con le «qualità sensuali» degli oggetti, per approdare al campo delle arti, con le quali la filosofia ha, secondo Harman, una particolare affinità, dovuta al comune carattere non conoscitivo. Ma andiamo per gradi.

Nel primo capitolo di Arte e oggetti Harman espone ancora una volta i capisaldi della OOO. Data la distinzione tra oggetti (O) e qualità (Q), Harman afferma che accanto agli oggetti e alle qualità sensuali (OS, QS) vi sono anche oggetti e qualità reali (OR, QR) cui mai si può accedere direttamente e che, in termini mutuati da Heidegger, risultano «ritratti da ogni relazione e discendenti in definitiva dai noumeni kantiani» (Harman 2023, p. 70). I quattro termini – oggetti e qualità, sensuali e reali – sono legati in differenti combinazioni; quella di pertinenza dell’estetica, che qui ci interessa, è la relazione tra oggetto reale e qualità sensibile (OR-QS), che per Harman coincide con la definizione di bellezza. «Per la OOO, il senso della bellezza non è un vago appello a un estetismo indefinito, ma è esplicitamente definito come la scomparsa di un oggetto reale dietro le sue qualità sensuali» (ivi, p. 72) e «con estetica la OOO intende la teoria generale di come gli oggetti differiscono dalle loro qualità» (ibidem).

Il rapporto tra oggetto reale e qualità sensibile, su cui si fonda l’estetica di Harman, è particolarmente evidente nel funzionamento della metafora e dunque in un ambito che potremmo definire retorico-letterario, la cui «teatralità» viene estesa all’intero campo delle arti, ricongiungendo come abbiamo detto la filosofia della sensibilità con la filosofia dell’arte. Contro il «letteralismo» tipico delle scienze, che mina dal basso e dall’alto (duomining) la consistenza ontologica degli oggetti riducendoli ai suoi elementi costitutivi o viceversa ai suoi effetti osservabili, la metafora attribuisce delle qualità sensibili (QS) a un oggetto reale (OR) che di per sé sfugge e cui tuttavia le qualità si attagliano in maniera enigmatica. L’esempio di Harman è la metafora – non particolarmente sofisticata – «una docente è come una candela»: ora, «non abbiamo una chiara idea di come sarebbe una docente con qualità-candela e, per questa ragione, non si tratta più di una docente OS presentata direttamente alle nostre menti, ma di una docente OR: un oggetto ritratto, una sorta di buco nero attorno a cui orbitano misteriosamente delle qualità-candela» (ivi, p. 78). Data la natura costitutivamente sfuggente dell’OR, cui vengono attribuite metaforicamente delle QS, «sono io, il lettore, l’oggetto reale che esibisce e così sostiene le qualità candela» (ibidem).

Di qui numerose conseguenze, sviluppate nei capitoli successivi attraverso il ripensamento del formalismo kantiano (cap. 2), la rivalutazione contra Fried della teatralità come principio generale dell’arte e, viceversa, del letterale come «autentica morte dell’arte» (cap. 3, p. 110), il recupero dell’intuizione di Greenberg (accostato a Heidegger e McLuhan) di un primato del medium o dello sfondo sulla superficie dell’opera d’arte (cap. 4), la ricostruzione critica del pensiero di alcuni teorici anti-formalisti come Rosenberg, Clark, Krauss e Rancière (cap. 5) e la distinzione tra movimento Dada, avversato da Harman, e surrealismo, capace in alcuni casi di sovvertire il letteralismo imputato al dadaismo. Tutto ciò conduce nel capitolo finale alla formulazione esplicita di uno «strano [weird] formalismo» le cui «cinque implicazioni» prevedono (1) la possibilità di considerare chiuse e autosufficienti anche espressioni artistiche considerate ibride e aperte, (2) il rifiuto dell’approccio politico e ideologico connesso alla “teoria critica”, (3) l’avversione nei confronti dell’arte pregiudizialmente anti-formalista, (4) la valorizzazione della molteplicità insita nell’opera d’arte (5) i cui diversi piani di articolazione, proprio come i “media freddi” di McLuhan, forniscono poche informazioni e invitano piuttosto a un intervento attivo e immaginativo da parte dell’osservatore.

È proprio il ruolo riservato da Harman all’osservatore che però pone alcuni problemi al progetto complessivo della OOO, cosa di cui peraltro l’autore è perfettamente consapevole. Lo «strano formalismo» di Harman infatti poggia su un presupposto la cui tenuta è da valutare e che costituisce la vera tesi di fondo del suo lavoro: «L’idea centrale di questo libro è, senza dubbio, anche la più strana: la convinzione che lo spettatore e l’opera d’arte si fondano in un terzo oggetto più elevato, con il corollario che questo terzo termine sia in grado di gettare nuova luce sull’ontologia dell’arte» (ivi, p. 254). Ricordiamo infatti come nella metafora, forma base di ogni artisticità secondo Harman, l’oggetto reale chiamato a sostenere le qualità sensibili attribuite all’oggetto sfuggente sia proprio l’io del lettore.

L’idea dell’opera d’arte come terzo oggetto ibrido tra opera e spettatore recupera alcune intuizioni di Bruno Latour e in particolare la sua teoria dell’attore-rete, e imprime su di esse il sigillo dell’ontologia piatta, in cui viene superato il dualismo moderno che vede fronteggiarsi soggetto e mondo: l’arte è semplicemente un tipo di oggetto ibrido, impuro, originato dalla confluenza e dall’interazione di osservatore e opera. Lo spettatore deve offrire la propria «partecipazione teatrale» e sostenere così la metaforicità di ogni opera, dalla letteratura alla performance art (cfr. ivi,  p. 128). Ma in questo modo, per ammissione dello stesso Harman, «io – che mi dichiaro realista – sembro aver ridotto l’opera d’arte a una correlazione tra l’opera e lo spettatore» (ivi, p. 129). Il fatto che la OOO non assegni a questa correlazione alcun carattere di unicità e che riconosca come il rapporto tra opera e spettatore non occupi un posto privilegiato rispetto al rapporto tra due oggetti inanimati o tra due elementi chimici non ci esime dal riconoscere che però, in campo artistico, proprio di questa correlazione tra umano e mondo, tra soggetto e oggetto, si parla.

Ne segue che la proposta di Harman – non solo in campo estetico, ma di certo qui in maniera evidente – pur cercando di assimilare alcune istanze tipicamente contemporanee (realismo, rifiuto dell’antropocentrismo, superamento di ogni forma di trascendentalismo e “correlazionismo” tra soggetto e oggetto), finisce per condividere alcune tesi riconducibili alla filosofia moderna – non sarà sfuggito il richiamo a Kant – e per sostenere posizioni non particolarmente innovative. Dirà l’autore: ma rispetto alla modernità non affermo alcuna unicità della relazione tra soggetto e mondo, l’ontologia piatta che adotto evita ogni forma di primato dell’umano. D’accordo, ma l’estetica orientata agli oggetti – almeno nella formulazione fin qui offerta – non parla che di soggetti umani che fanno esperienza di opere d’arte. Pur formando con esse un terzo oggetto ibrido, rimane l’impressione di una ricaduta in quelle filosofie “dell’accesso” di cui il realismo speculativo tenta di liberarsi. In poche parole, pur accettando l’ingombrante presupposto dell’esistenza di un oggetto reale affine al noumeno kantiano, nell’esperienza estetica il suo posto viene occupato proprio da quel soggetto che si tentava di eliminare e che invece è chiamato a «sostituire l’oggetto reale che si ritrae dalla nostra portata» (ivi, p.132).

Rimane infine la critica più radicale, già formulata da Felice Cimatti nel suo libro dal titolo Cose (2018): la OOO vorrebbe pensare le cose senza di noi ma le pensa sempre linguisticamente; vorrebbe metterci davanti a un mondo di cose e invece, per esporre le sue tesi, deve passare per un mondo fatto di nomi. «Un realismo veramente integrale» – scrive Cimatti (2018, p. 33) – «dovrebbe essere muto, mentre quello di Harman è davvero loquace». Una via alternativa avrebbe potuto cercare di cogliere lo sguardo degli oggetti su di noi, come nel «famoso esempio di Lacan in cui una sardina in scatola guarda verso di lui, come per suggerire una nuova eguaglianza tra soggetto e oggetto» (Harman 2023, p. 200): Harman, che ha evidentemente presente questo genere di percorso, lo rifiuta in quanto secondo lui ancora prigioniero di una forma di idealismo in cui gli unici due termini in campo sono soggetto e mondo, e «soprattutto, non c’è nessun discorso sugli oggetti che si guardano l’un l’altro» (ibidem). In realtà l’estetica orientata agli oggetti non prosegue in maniera significativa su questo sentiero, che pure indica. Per un’estetica dallo sguardo inumano, evidentemente, c’è ancora da attendere.

Riferimenti bibliografici
F. Cimatti, Cose. Per una filosofia del reale, Bollati Boringhieri, Torino 2018.
G. Harman, Ontologia Orientata agli Oggetti. Una nuova teoria del tutto, Carbonio, Milano 2021.

Graham Harman, Arte e oggetti, Mimesis, Milano-Udine 2023.

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