G.W.F. Hegel non è mai stato in Italia. Come altri grandi intellettuali dell’epoca, il filosofo di Stoccarda era profondamente affascinato dalla pittura, dalla letteratura e dalla musica italiana, tanto da aver considerato, durante gli anni trascorsi a Jena, la possibilità di intraprendere un vero e proprio “viaggio d’arte” (Kunstreise) nei territori del sud. Ciò nonostante, per ragioni diverse, tra cui le complicate condizioni politiche e religiose in cui versava la penisola, il progetto non trovò attuazione, assumendo sempre più i contorni di una costruzione estetica irrealizzata.

Da una simile premessa biografica prende avvio il volume Approssimazioni. Echi del Bel Paese nel sistema hegeliano. Wirkungsgeschichte della filosofia di Hegel in Italia (Mimesis 2022), a cura di Francesca Iannelli, Federico Vercellone e Klaus Vieweg. Il libro si compone di una poliedrica raccolta di saggi, accomunati dall’obiettivo di «individuare, ripulire dalla patina del tempo e valorizzare» (Iannelli, Vercellone, Vieweg 2022, p. 15) i singoli tasselli di un quadro che rimane ancora oggi vasto e segmentato. D’altronde, se è vero che Hegel non ha mai varcato i confini nostrani, appare ad ogni modo evidente la forte influenza esercitata dalla cultura italiana nei suoi scritti. Si tratta perlopiù di un insieme di tracce, indizi e risonanze che, pur non presentando la struttura di un’opera compiuta, accompagnano in maniera costante la vita del filosofo tedesco. Parimenti, per un singolare gioco dialettico incentrato su reciproci scambi e affinità, l’eredità hegeliana è particolarmente fiorente lungo lo Stivale, dimostrando, com’è noto, la propria fecondità anche in ambito artistico e politico. Ecco, allora, che all’analisi del legame tra Hegel e il Bel Paese si aggiunge un’indagine sull’accoglienza italiana del suo pensiero estetico-filosofico: proprio nell’incontro tra queste due linee di ricerca, infatti, s’inserisce la possibilità di percorrere «nuove inesplorate narrazioni» (ivi, p. 20).

Nello specifico, è all’interno delle celebri lezioni berlinesi tenute da Hegel tra il 1820 e 1829 che i riferimenti al patrimonio italiano, fondati «sulla ricezione di una lunga serie di opere d’arte» (Vieweg 2022, p. 116) e sulla lettura delle Italienische Forschungen (1827-1831) di Carl Friedrich von Rumohr, acquistano un precipuo valore. Segnatamente, l’attenzione del filosofo è rivolta all’opera di Rossini, autentico «punto di riferimento» (Welsch 2022, p. 267) per l’elaborazione di un’estetica musicale, alla pittura di Leonardo, Raffaello e Michelangelo, senza tralasciare un vivo interesse per i testi di Boccaccio e Ariosto. Eppure, a fronte della grande ammirazione nutrita dal filosofo tedesco per la produzione artistica italiana, il rapporto che lo lega ai territori a sud delle Alpi non è privo di tensioni e asperità.

In questa direzione, come scrive Francesca Iannelli, il giudizio di Hegel sull’Italia «appare marcatamente bipolare, con toni che si potrebbero definire manichei» (Iannelli 2022, p. 60): da un lato, infatti, essa «è presentata come il regno del caos e dell’assenza di diritto» (ibidem), dall’altro si configura come «la culla della bella individualità (schöne Individualität) e dell’arte bella (schöne Kunst), nonché la custode della bella religiosità (schöne Religiosität) e della più bella fioritura dell’eticità (Blüte der Sittlichkeit)» (ibidem). Una valutazione inflessibile, questa, che racchiude al proprio interno il carattere conflittuale delle relazioni tra Italia e Germania. Secondo il pensatore tedesco, infatti, mentre la prima nazione si fonda in buona sostanza su ciò che è soave e delicato, mostrando, al contempo, una certa inclinazione per la sensualità, la seconda si distingue spiccatamente per una vocazione spirituale e filosofica.

A tale riguardo, entrambi i paesi intravedono nella diversità «che abita il proprio altro» (Jullien 2012) l’elemento mancante per raggiungere un’illusoria coesione tra mondano e spirituale. Agli occhi del filosofo tedesco, in particolare, la penisola tratteggia i confini di una tensione mai del tutto sopita, identificandosi con il passato, più che con il futuro. Ed è nell’impossibilità di giungere a una sintesi tra queste due dimensioni che è racchiuso il cuore del contrasto osservato da Hegel: simbolo della civiltà, «custode dei riflessi, delle ombre, dei fantasmi del classico» (Iannelli 2022, p. 61), l’Italia non possiede gli strumenti per emanciparsi dalle sue debolezze in ambito religioso.

Se, pertanto, non è dato sapere con certezza quali cambiamenti avrebbe prodotto, nell’estetica di Hegel, un viaggio nelle regioni del Bel Paese, è evidente, però, il segno distintivo lasciato dal suo pensiero in autori del secondo Novecento italiano come Valerio Verra, Gianni Vattimo e Giorgio Agamben. Proprio quest’ultimo si contraddistingue per una marcata vicinanza all’itinerario compiuto dal pensatore tedesco, sviluppando in chiave originale la celebre tesi della fine o “morte dell’arte”. Al proposito, nello scritto giovanile L’uomo senza contenuto (1970), Agamben afferma che, come nella casa in fiamme diviene visibile per la prima volta il problema delle fondamenta, così l’arte, raggiunto il culmine del suo destino, lascia trasparire il proprio disegno originale. L’immagine del fuoco, che richiama alla mente l’incendio del padiglione d’oro descritto da Yukio Mishima nel romanzo omonimo, dà così risalto a tutta la sua potenza espressiva, offrendo spunti preziosi per un’indagine sull’estetica. In questa cornice, l’attività del pensiero è paragonabile alle fiamme che distruggono gli elementi solidi e materiali dell’arte, corrispondenti alle pareti dell’edificio, «esponendo l’idea che sta alla base della creazione artistica: il progetto» (Farina 2022, p. 348). Tuttavia, mentre nel sistema hegeliano le fiamme non cessano di ardere, permettendo così all’arte di rivelare continuamente nuovi significati, nella prospettiva aperta da Agamben, «il fuoco dell’estetica brucia per intero l’edificio dell’arte con il solo risultato di ottenere, dopo le fiamme, un’altra forma di esperienza, nuovamente auratica e nuovamente originaria» (ivi, p. 361).

Un confronto originale con gli scritti hegeliani emerge altresì dall’opera di Carla Lonzi, che nei diari Taci, anzi parla (1978), affronta il problema dell’autocoscienza in una cornice femminista. Intrecciando memorie collettive, racconti, sogni e poesie, l’autrice ripercorre «una lunga storia di assenze, di condizioni traumatiche all’interno di una storia canonizzata e monumentale della quale è necessario comprendere la costruzione» (Subrizi 2022, p. 381). Da questo punto di vista, l’autocoscienza, intesa non tanto nei termini di uno spazio delimitato, quanto piuttosto come orizzonte di ricerca aperto, assurge a dimensione politica ed esistenziale, con la consapevolezza che «soltanto nello scambio e nell’ascolto possa avvenire una crescita della soggettività» (ibidem). In netta contrapposizione con il testo Sputiamo su Hegel (1970), vero e proprio attacco sferrato dal collettivo Rivolta Femminile al sistema patriarcale, Lonzi, nei diari, intravede le potenzialità dischiuse dai concetti di autocoscienza, riconoscimento e dialettica: nel dialogo con altre donne e nella scrittura, frammentata e discontinua come la memoria, la storica italiana recupera il ruolo salvifico della parola, autentico «potenziale dinamico attraverso il quale la soggettività si riconosce» (ivi , p. 392).

Proprio dall’incontro mancato con il Bel Paese, dunque, è possibile rintracciare, attraverso una lunga serie di corrispondenze, l’origine del legame profondo con la cultura italiana. Così, se quest’ultima ha esercitato un forte ascendente nel pensiero del filosofo di Stoccarda, d’altra parte l’esperienza italiana ha saputo cogliere nell’estetica hegeliana un potente stimolo alla riflessione critica, senza rinunciare a proporre nuovi orizzonti di comprensione. Contribuendo a ricordare che «il lavoro dell’arte può essere un lavoro sui fondamenti stessi della costruzione della cultura e della sua storia» (ivi, p. 396), l’opera di Hegel rimane un inesauribile laboratorio concettuale nel panorama filosofico contemporaneo.

Riferimenti bibliografici
G. Agamben, L’uomo senza contenuto, Quodlibet, Macerata 1994.
G.W.F Hegel, Estetica, Einaudi, Torino 1976.
F. Jullien, Quella strana idea di bello, il Mulino, Milano 2012.
Y. Mishima, Il padiglione d’oro, Feltrinelli, Milano 1986.

Francesca Iannelli, Federico Vercellone, Klaus Vieweg, a cura di,  Approssimazioni. Echi del Bel Paese nel sistema hegeliano. Wirkungsgeschichte della filosofia di Hegel in Italia, Mimesis, Milano 2022.

Tags     estetica, Hegel, Italia
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